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Quale futuro per il non profit?

23/04/2014

Si torna a parlare di impresa sociale, ma le proposte legislative in campo sembrano mirare solo all'appiattimento del nonprofit alle logiche di mercato, e rischiano di essere l'ennesima occasione sprecata

L’impresa sociale torna ad essere terreno di confronto politico. Tutto nasce da una proposta di emendamento al decreto legislativo 155/2006, primo firmatario Luigi Bobba, agganciata al provvedimento “Destinazione Italia” promosso dal Governo Letta. L’emendamento non è passato.

Oggi Bobba è sottosegretario al Lavoro e alle Politiche sociali del Governo Renzi e la sua proposta è destinata ad essere ripresentata presto. Il tema è, tra l’altro, fortemente dibattuto anche all’interno dei Gruppi di lavoro dell’Advisory board per la Task Force italiana sulla Social Impact Finance, di cui si è già scritto (1).

L’approccio a questa materia è sempre stato vittima di forti interessi materiali di pochi (la Compagnia delle Opere su tutti), basso livello di razionalità e incompetenza di molti (spesso a sinistra), inconsistenza del confronto politico, facile preda di sterili ideologizzazioni.

Va ricordato che la norma che ora si vuole modificare è stata sofferto parto di quel Governo Berlusconi Bis (2001-2006) che passerà alla storia come uno dei peggiori della Repubblica e su cui gravano le principali responsabilità per come la crisi globale scoppiata nel 2007 ha travolto l’Italia. Fa una certa (triste) impressione oggi andare a rileggere la pagina che nel 2001 la Compagnia delle Opere acquistò sul Corriere della Sera in appoggio al neoeletto Berlusconi, auspicando - tra l’altro - proprio una nuova legislazione a «sostegno delle organizzazioni non profit». Sta di fatto che perfino quel ricco e potente endorsement rischiò di fallire, la legge arrivò proprio in fine di legislatura (marzo 2006) e fu una pessima mediazione tra poche buone idee e gli istinti animali delle peggiori corporazioni.

In sostanza, la legge non fu né una razionalizzazione della confusa e stratificata normativa in materia di welfare e nonprofit (come qualcuno all’inizio sperava), né tantomeno una revisione in senso “sinceramente” neoliberista del nostro sistema di politiche sociali. L’effetto potenzialmente dirompente della normativa in tale direzione, cioè l’ingresso delle società di capitali nei settori nevralgici del welfare, fu infatti sterilizzato dal mantenimento - anche per le forme societarie speculative - del divieto di distribuzione degli utili. Nei fatti, pertanto, la norma rimase a metà del guado, condannando l’impresa sociale a vivacchiare senza molte prospettive (2).

I decreti attuativi successivamente emanati da Paolo Ferrero, Ministro della Solidarietà sociale del Governo Prodi Bis (2006-2008) nel frattempo subentrato, furono il frutto della consapevolezza di questi gravi limiti di fondo della legge, della mancanza di forza politica adeguata per modificarla (il Governo cadde da lì a pochi giorni), e della pragmatica e responsabile valutazione che sarebbe stato comunque utile consentire un avvio sperimentale delle norme (3).

Di impresa sociale, in seguito, si è parlato sempre meno. Sono rimasti i seminari per addetti ai lavori e i bassissimi numeri di una sezione del Registro delle imprese decisamente poco appetibile per chiunque. Le statistiche periodicamente diffuse da Unioncamere (tipicamente in occasione delle Giornate di Bertinoro organizzate da Aiccon) continuano a confondere nozione “letteraria” e normativa di impresa sociale, mettendo in un unico calderone cooperative sociali, altre imprese nonprofit in genere e le vere e proprie imprese sociali ex lege, che sono però poche centinaia (4).

Negli ultimi mesi qualcosa è cambiato. Sarà per il nuovo vento di privatizzazioni che ha iniziato a soffiare da Letta in poi, sarà per la spinta - nella stessa direzione - che viene dal G8, via Cameron, in materia di impact finance, sarà per la totale assenza di idee di una classe politica alla disperata ricerca di modi per segnalare la propria esistenza. Così il dibattito ha ripreso a crescere e così è arrivata la proposta di Bobba. Quest’ultimo, già presidente delle Acli, a lungo portavoce del Forum del Terzo Settore, vice presidente di Banca Etica per molti anni, in teoria avrebbe tutto il background per scrivere una riforma della materia coerente e razionale. Invece, ancora una volta, ci si trova di fronte ad un testo che tratta solo aspetti parziali della normativa e - si deve presumere in buona fede - sottovaluta le grandi ricadute di tipo civilistico e fiscale delle disposizioni proposte, che appaiono almeno un po’ “allegre” (5).

La principale innovazione della proposta Bobba è la possibilità per l’impresa sociale di distribuire i profitti, con un tetto analogo a quello previsto per le cooperative. Un’innovazione in sé apprezzabile, se fosse inquadrata nel modo giusto (6). Invece agli estensori del testo è mancata questa lucidità. A partire dalla previsione - sotto vari aspetti incomprensibile - che tutti i soggetti nonprofit che svolgono “attività economica organizzata” assumano automaticamente la qualifica di impresa sociale (con tutto ciò che ne deriva). Per arrivare ad una confusa estensione degli ambiti di attività, insieme parziale e discrezionale.

La proposta di emendamento, insomma, non dà - come dovrebbe - un contributo coerente in termini di assetto dei rapporti tra terzo settore, pubblico e mercato. Non si concentra su come qualificare i processi organizzativi, che - ben più dell’ambito di intervento - dovrebbero distinguere l’impresa sociale (come già distinguono le cooperative), a fronte dell’opportunità concessa di accesso ai mercati dei capitali.

Si profila, dunque, all’orizzonte un’ennesima occasione sprecata. Se di riforma dell’impresa nonprofit occorre discutere è nella direzione dell’innovazione delle forme di produzione “sociale”. Se le proposte che arrivano mirano invece ad un appiattimento di tutte le specificità organizzative alle logiche di mercato, addirittura nella sua perversa accezione finanziaria, occorre prendere atto che la posta in gioco è un’altra e riguarda la sopravvivenza del welfare e del sistema di protezione sociale che l’Italia ha finora conosciuto.

 

 

(1) Alessandro Messina, Una task force per la “finanza d'impatto”, in Sbilanciamoci.info, 17 febbraio 2014: http://old.sbilanciamoci.info/Sezioni/capitali/Una-task-force-per-la-finanza-d-impatto-22449.

(2) Un’analisi dettagliata della normativa e delle sue falle, tecniche e di visione, compresa la “facile” previsione del suo fallimento si trova in Alessandro Messina, Quale impresa sociale? Analisi di una legge, in Lo straniero, numero 76, ottobre 2006: http://alemessina.blogspot.it/2006/10/quale-impresa-sociale-analisi-di-una.html.

(3) Per una descrizione dei decreti attuativi, che contengono anche elementi di rilievo più generale, come le prime linee guida con valore legale per l’Italia in materia di rendicontazione sociale, cfr. Verso l’impresa sociale. I nuovi decreti del 155/2006, di Alessandro Messina a Barbara Siclari, in Impresa sociale, vol. 76: http://alemessina.blogspot.it/2008/03/verso-limpresa-sociale-i-nuovi-decreti.html.

(4) Cfr. i comunicati stampa presenti sul sito di Unioncamere: http://www.unioncamere.gov.it/P42A2073C160S123/Imprese-sociali--5-400-dipendenti-in-meno-nel-2013-.htm.

(5) La proposta di modifica, inserita in un prospetto sinottico che ne favorisce il confronto con il testo in vigore, si trova qui: http://www.rivistaimpresasociale.it/rivista/item/66-cambiare-la-norma-sull-impresa-sociale-una-proposta.html.

(6) Chi scrive ha argomentato questa ipotesi in varie occasioni. Cfr. tra gli altri l’articolo Nonprofit. Sì ma quanto?, pubblicato su VITA nel settembre 2013. http://alemessina.blogspot.it/2013/06/nonprofit-si-ma-quanto.html.


 

 

 

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Commenti

sveglia!

È tutto già successo.

Questo dibattito assomiglia ai soccorsi del terremoto abruzzese: arriva quando ci sono solo macerie

Avete visto il travaso di posti dal settore pubblico al nonprofit?

Guardate cosa dice l'Istat: http://censimentoindustriaeservizi.istat.it/istatcens/il-sistema-produttivo-italiano-un-primo-quadro-dinsieme-andrea-mancini-istat/

dibattito interessante

Grazie a tutti per questa discussione che mi sta facendo riflettere molto.

Lo faccio non da esperto o da operatore. Lo faccio da utente. Sono un malato oncologico. Da quando la malattia è diventata invalidante la Asl mi ha assegnato un "accompagno", una persona che viene a casa mia, se necessario mi porta con la sua auto a fare controlli o altri giri, mi fa compagnia in brevi passeggiate. Un piccolo conforto, anche per mia moglie che in questo periodo è molto provata.

Questa persona, "l'accompagno", lavora appunto per una cooperativa sociale. Da utente non avrei saputo spiegarmi perchè sia più conveniente per la collettività che lui non sia un dipendere della asl. Ma parlando con lui l'ho capito: stipendio da fame, soggiogato ai caporali del caso, lo hanno ridotto a manovale del sociale.

C'è dell'altro. Qualche settimana fa mi arriva una telefonata dalla cooperativa: abbiamo perso l'appalto, da domani non viene più Piero (nome di fantasia) ma qualcun altro, che non sappiamo chi è perchè lavora per la cooperativa che ha vinto.

Alla faccia della relazione e della cura delle persone! Questa proprio non è innovazione...

No?

non c'entra il pd

Ho iniziato a fare cooperazione sociale quasi 35 anni fa, molto prima della legge istitutiva delle cooperative sociali. Per noi, allora, la cooperazione sociale era solo quella che oggi chiamiamo B: come reinserire in modo attivo nella società persone escluse.
All'epoca già sapevamo, chi voleva, che la normazione avrebbe dato qualcosa ma avrebbe anche tolto parecchio, in particolare qualcuno aveva intuito che una pratica innovativa tra impresa e welfare sarebbe stata usata in modo strumentale per avviare la privatizzazione di altre branche del welfare, quei servizi sociali cioè che nessuno di noi cooperatori del tempo ambiva a gestire "al posto" del pubblico.
Le cose invece andarono così. E se gli ultimi 25 anni sono stati molto altalenanti per efficacia di quelle scelte politiche, sono stati decisamente pessimi per la cooperazione di reinserimento lavorativo, persa tra appalti truccati e formule di sussistenza che nulla hanno di imprenditoriale. Certo ci sono sempre belle eccezioni. Ma restano tali.
Ora è evidente che in questo processo hanno messo le mani tutti, non solo il pd, ultimo arrivato...
Il vero fallimento è l'inconsistenza politica del terzo settore, che permette a chiunque sottosegretario di turno di farne ciò che vuole.
Le centrali cooperative appoggiano la legge Bobba? Non mi stupisce: le loro oligarchie potranno così fare spa da loro controllate senza bisogno di fastidiosa "democrazia". Prepariamoci a tanti casi Unipol anche in sanità e sociale!

domanda

Io so che Confcooperative è contraria a questa riforma. Giusto? Qualcuno conosce un orientamento ufficiale? E Legacoop?

preoccupazione

Questo articolo getta luce su qualcosa che ormai sembra non interessare più a nessuno: lo stato di abbandono del welfare e l'assenza di una visione strategica di qualunque tipo nelle politiche pubbliche che dovrebbero guidarlo.
La svolta liberista che l'articolo ipotizza sarebbe tutto sommato una scelta, in un contesto dove da vent'anni si vedono solo tagli e non scelte.
Non per questo sarebbe positiva. Perchè certamente condurrebbe ad una dissoluzione delle migliori pratiche della cooperazione sociale, quelle cioè meno mercatiste e più innovative.
Guarda caso, infatti, mi viene detto che le grandi centrali cooperative, sia bianche che rosse, siano ormai pronte ad appoggiare la legge. Forse Poletti è stato messo lì apposta.
Cioè non solo per continuare a sfasciare il mondo del lavoro ma anche per demolire quel che resta del nostro stato sociale. Non male per uno cresciuto nel Pci ed emerso nella cooperazione!
Il vero problema è l'irresponsabilità di questi signori che di fronte ad una crisi senza precedenti, con i redditi che vanno a picco, si apprestano a regalare ai capitali privati gli spazi di mercato dell'assistenza e della sanità (e della scuola!). E chi non potrà pagare?
Oggi almeno i comuni, alcuni comuni, riescono a tenere botta. Domani torneremo alle misericordie? Forse è quello che questi signori vogliono. Perchè "loro" son molto cattolici. E usano l'idea di sussidiarietà come una clava contro lo stato laico e repubblicano. Mentre gli ex comunisti, tra vergogna del loro passato e insipienza del presente, ambiscono solo ad una pacca sulla spalla da qualche avido finanziere.

come andrà a finire?

Forse anche questa modesta (e brutta) riforma si schiantera' nella confusa maggioranza e nel clima elettorale. Forse anche su questo il pd si spaccherà. O forse no. Tutto sommato, visti i contenuti, conviene sperare nell'inconcludenza del "mentalista" Renzi (per dirlo alla Crozza) più che nella virata a sinistra di un pd sempre più perso. Per esempio: Bobba non era quello del family day? E allora...che possiamo aspettarci?

le coop sociali

Mi chiedo quali siano le norme che disciplinano le coop sociali - quelle del Bangladesh?

Visto che nelle situazioni da me conosciute i dipendenti (soci???) percepiscon salari orari da 4-5 euro mentre le figure di vertice (presidenti) 70-80 euro all'ora.

Penso sia inevitabile, con queste figure di sinistra, l'emergere sempre più forte del populismo.

che dice il PD?

ma Civati, qualcuno di sinistra, che dica cose di sinistra, se ancora c'è nel PD, cosa dicono di questa proposta?

nessuno pensa che sia il caso di mobilitarsi?

il forum del terzo settore è morto da tempo...
avete letto il libro di Giovanni Moro?

che guai, ragazzi

sono d'accordo

pur nella necessaria brevità di un articolo di questo tenore, mi trovo molto con l'analisi.

credo anche che noi tutti operatori di terzo settore non ci siamo ancora resi conto di quello che sta per accadere: dopo decenni in cui tutti i politici ci hanno blandito parlando dell'importanza del volontariato, della gratuità, del'economia solidale, ora aprono le porte dei nostri piccoli "mercati" alle multinazionali della sanità...

che fine faranno le cooperative sociali? che fine farà quel welfare comunitario che ci siamo illuse di poter costruire insieme ai (pochi) enti locali virtuosi?

forse dovremmo ritrovare il coraggio di unirci e protestare contro questa mercatizzazione di tutto, ma proprio di tutto...

impresa sociale

caro bellavita, gli articoli su Sbilanciamoci.info ha una lunghezza limitata. Forse Messina "si parla addosso" come dici tu, ma se leggi anche le note e i relativi link a me sembra che le risposte alle tue domande (cosa non va nella legge e cosa nella proposta) ci siano tutte

non ho capito niente

è evidente che Messina conosce bene l'argomento, ma in questo articolo si parl addosso, per cui non ho capito cosa cera esattamente che non andava nel testo berlusconiano, cosa esattamente ha cercato di fare Bobba nei regolamenti applicativi di una legge sbagliata e soprattutto cosa propone Messina: francamente sono un po' stufo della "sinistra alla Bartali" che ripeteva sempre e solo "gli è tutto sbagliato, gli è tutto da rifare"...