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Le coop sono diverse davanti alla crisi?
I dati su fallimenti e Cig mostrano che le cooperative hanno una maggiore tenuta occupazionale. A causa dei settori di appartenza, certo. Ma forse c'è anche dell'altro
Le cooperative di lavoro hanno come finalità fondamentale quella di creare e salvaguardare l’occupazione, rispettando il vincolo della sopravvivenza nel lungo periodo. Perseguire una finalità di questa natura quali comportamenti induce nei momenti di crisi economica? In altri termini le cooperative hanno comportamenti diversi o simili a quelli delle imprese con altre forme proprietarie?
Alcuni studi sulle cooperative di lavoro in Francia e Spagna, condotti su un arco temporale alquanto lungo, supportano la tesi che le cooperative nascono più facilmente nelle fasi di crisi economica, piuttosto che nelle fasi di ascesa del ciclo, rappresentando quindi una risposta dei lavoratori a difesa dell’occupazione.
Prima di entrare nel merito del caso italiano, riteniamo necessario illustrare alcune caratteristiche della crescita del movimento cooperativo nel lungo periodo.
In base ai dati censuari dell’Istat, lo sviluppo delle imprese cooperative è nettamente scomponibile in due periodi:
1951-1971: il numero delle cooperative è pressoché statico (ca. 11.000 imprese) e la loro incidenza sul totale delle imprese è in lieve regresso: dallo 0,7% allo 0,5%.
1971-2008: il numero delle cooperative cresce ad un ritmo elevato (nel 2008 sono registrate nell’Albo delle cooperative 79.400 imprese) e la loro incidenza sul totale imprese raddoppia raggiungendo nel 2001 quota 1,2% (oggi probabilmente l’incidenza è cresciuta sino a quota 1,4%).
Grafico 1 – Andamento Numero Cooperative 1951 – 2008
La stessa temporizzazione si riscontra esaminando i dati sull’occupazione ma, in questo caso, il peso delle imprese cooperative è ben più consistente: nel primo periodo l’incidenza resta stabile attorno al 2% dell’occupazione totale, per crescere sino a quota 5,8% nel 2001.
Secondo dati Unioncamere, nel 2006 gli occupati nelle imprese cooperative erano 1.060.000 (di cui 850.000 circa nel comparto delle coop di lavoro e coop sociali) ed è probabile che ad oggi essi siano circa 1.200.000.
Grafico 2 – Incidenza Cooperative su Totale Imprese e Totale Addetti
Questi dati sembrano dimostrare che:
a) la crescita delle cooperative coincide con la terziarizzazione dell’economia (a metà anni ’70 il settore dei servizi incide per il 50% del Pil). Una economia di servizi sembra quindi più atta a favorire lo sviluppo cooperativo, fenomeno probabilmente imputabile al minor bisogno di capitali nei servizi rispetto all’industria;
b) il maggior peso delle cooperative in termini di occupazione comporta che la loro dimensione sia mediamente più grande di quella delle altre imprese. Nel 2001 quelle cooperative rappresentavano l’1,2% del totale, ma la loro quota si attestava attorno al 10% per le aziende con oltre 50 addetti ed anche in quelle maggiori, con oltre 1.000 addetti, le cooperative rappresentavano l’8,8% del totale.
Su un arco temporale più breve, 1999-2009, la nascita di nuove cooperative sembra assecondare il ciclo economico, almeno fino al 2007, quando di fronte alla forte diminuzione del Pil, la nascita di nuove cooperative sembra stabilizzarsi.
Concentrando l’attenzione sull’attuale periodo di crisi, alcuni dati congiunturali sembrano dimostrare che quelle cooperative presentano una maggiore capacità di resistenza alla crisi rispetto alle altre imprese, precisando che maggiore resistenza non significa migliore performance.
Gli andamenti trimestrali dei fallimenti mostrano che le fasi di crescita e di discesa sono alquanto simili fra le cooperative e le altre imprese, ma che i trend sottostanti sono assai diversi: si riscontra per le cooperative ha un tasso di crescita minore.
Grafico 3 – Andamento Pil e tasso di natalità delle imprese e delle cooperative 1999-2009
Grafico 4 – Fallimento imprese (per mille) I Trimestre 2007-I Trimestre 2010
Alcuni dati di fonte Inps relativi alla Cig sembrerebbero confermare l’ipotesi che le cooperative offrano maggiore resistenza occupazionale rispetto alle altre forme di impresa, anche se il condizionale resta d’obbligo perché le due serie di dati, occupazione e ore di Cig autorizzate, non sono omogenee.
Resta comunque il fatto che le ore autorizzate per le cooperative sono il 2,8% del totale contro un peso occupazionale sicuramente superiore al 6%.
Tab. 1 - Ore autorizzate di Cassa Integrazione Guadagni 2009-2010
2009 |
2010 – 1° sem. |
Var. % |
|
Totale imprese |
914.034.637 |
633.594.344 |
69,32% |
Totale Cooperative |
17.081.537 |
18241.920 |
106,79% |
% Coop/Imprese |
1,87% |
2,88% |
Quali interpretazioni è possibile avanzare in merito a questa probabile maggiore “resistenza” delle imprese cooperative rispetto al crollo occupazionale?
Una prima risposta potremmo definirla ideologica. Questa ipotesi interpreta l’attuale crisi come una crisi sistemica del capitalismo, che dovrebbe fare emergere forme alternative di produzione. Le imprese cooperative sarebbero in primo piano per definire un sistema alternativo, vista la capacità di tenuta occupazionale che esse dimostrano.
Una seconda ipotesi, che potremmo definire autoreferenziale, fa leva sulla diversa governance che le cooperative presenterebbero, basata su un orientamento che massimizza il benessere totale di tutti gli stakeholder contro la fallimentare teoria della creazione di valore per gli azionisti, che avrebbe esasperato comportamenti speculativi di brevissimo periodo.
Per queste due spiegazioni abbiamo sempre usato il condizionale perché esse si basano su premesse di valore e i suoi sostenitori non hanno apportato significative prove in tal senso.
Una terza ipotesi, che potremmo definire congiunturale, fa perno sul fatto che la crisi non ha colpito in modo uniforme tutti i settori. Recenti dati Unioncamere sul saldo demografico delle imprese per il 2009 mette in luce come il settore manifatturiero e quello connesso dei trasporti registrino un saldo netto negativo, mentre quello dei Servizi alle imprese mostri un saldo fortemente positivo. Le cooperative operando prevalentemente nel settore terziario sarebbero state meno colpite dalla crisi.
Questi dati possono contribuire a spiegare la situazione attuale, ma non aiutano a capire come, nel lungo periodo, le cooperative presentino una longevità maggiore delle altre imprese, come illustrato in un importante studio di Unioncamere.
Tab. 2 – Distribuzione delle imprese per anno di costituzione
Anno costituzione |
Coop |
Altre |
ante 1940 |
2,0% |
0,1% |
1940 - 1969 |
7,6% |
2,9% |
1970 - 1989 |
33,6% |
23,3% |
1990 - 1999 |
28,1% |
41,2% |
2000 – 2003 |
28,7% |
32,5% |
Totale |
100,0% |
100,0% |
Infine una quarta ipotesi, che definiamo istituzionale, punta il dito meno su aspetti congiunturali, ma piuttosto su di una strategia di lungo periodo che ha portato il mondo cooperativo a creare una rete mutualistica e di reciprocità atta a sostenere il movimento sia nella fase della crescita che nella fase della recessione.
Le imprese cooperative, per quanto il loro cammino da una visione alternativa ed utopistica dell’800 si sia spostato verso forme di integrazione nel contesto economico capitalistico, restano pur sempre strutture “diverse” di imprese sino al punto di essere ancora ideologicamente avversate, come documentato da H. Hansmann ([1]). Questa “accettazione con riserva” ha spinto il movimento cooperativo a costruire una rete istituzionale interna quanto mai efficace.
I punti salienti di questo sistema a rete sono, a nostro avviso:
a) la riserva indivisibile;
b) il sistema consortile;
c) la strumentazione finanziaria, esterna al circuito bancario;
d) l’azione promozionale delle Associazioni di rappresentanza (Legacoop, Confcooperative e Agci).
La riserva indivisibile è stata la forma di accumulazione che ha permesso alle cooperative di crescere con costanza nel lungo periodo. Sicuramente questo istituto è stato favorito dal regime fiscale che ne ha incoraggiato l’utilizzo, fatto che ancora oggi anche autorevoli dirigenti cooperativi stentano a comprendere quando auspicano un regime analogo per gli utili reinvestiti dalle società di capitale. Il significato del regime fiscale della riserva indivisibile non è il reinvestimento, ma l’indisponibilità assoluta da parte dei soci che non potranno più riappropriarsene.
Il sistema consortile, il cui regime risale al 1909, ha permesso alle cooperative di trovare sinergie comuni atte a realizzare economie di scala senza la necessità di ricorrere all’istituto della fusione, che le cooperative mostrano di non apprezzare particolarmente. Questo può dipendere da “giochi di potere” di gruppi dirigenti, ma anche dalla volontà di mantenere un radicamento sul territorio. Sicuramente le cooperative hanno assoluta necessità di avviare processi di internazionalizzazione, ma non potranno mai cedere a ipotesi di delocalizzazione, pena la loro sopravvivenza.
Il terzo istituto è rappresentato dalla rete finanziaria che le cooperative hanno saputo costruire, in particolare con la nascita dei Fondi mutualistici, istituti con la legge 59/92, secondo la quale ogni anno le cooperative devono versare ad un fondo ad hoc il 3% degli utili lordi conseguiti.
I Fondi facenti capo alle tre principali Centrali Cooperative (Coopfond, Fondosviluppo, General Fond) nel periodo 2005-2009 hanno finanziato 310 operazioni, investendo complessivamente quasi 113 milioni di euro.
Oltre ai Fondi mutualistici, sono da citare la Cfi spa e Cooperfidi Italia; entrambe vedono la presenza di tutte le tre maggiori Associazioni cooperative.
Cfi era nata da una felice intuizione e collaborazione fra sindacati e cooperative per riavviare imprese private in crisi e trasformarle in cooperative. Purtroppo questa missione venne abbandonata a causa di un intervento comunitario che ritenne l’intervento come aiuto di stato contrario alle norme sulla concorrenza. Cfi è riuscita però a sopravvivere e a svolgere un ruolo importante a sostegno dello sviluppo delle cooperative di lavoro e sociale.
Il quarto istituto è rappresentato dall’attività che le Centrali cooperative hanno saputo svolgere sia per promuovere nuove imprese sia per essere punto di riferimento per creare delle coalizioni atte a sostenere e risolvere le sorti di cooperative in crisi.
In estrema sintesi quindi la cooperazione italiana ha cominciato un processo di forte sviluppo a partire dagli anni ’70 in concomitanza con la crescita della economia dei servizi ed i processi di outsourcing.
Nell’ultimo decennio, sino al 2007, la nascita di nuove cooperative è andata in parallelo all’andamento dal Pil, ma dal 2007, con l’avvento della crisi e la drastica caduta dello stesso Pil, le cooperative hanno mantenuto un tasso di natalità costante.
I pochi dati disponibili (tassi di fallimento e ore di Cig) sembrerebbero dimostrare che le cooperative presentano una capacità di tenuta occupazionale superiore alla media (da non confondere con una capacità di migliori performance). Fra le possibili interpretazioni, a nostro avviso, questa capacità di resistenza dipende dal quadro istituzionale, basato su una rete ispirata a principi di solidarietà, mutualità e reciprocità, creata nel tempo.
Questi elementi ci portano a considerare come verosimile l’ipotesi avanzata da tempo da Bruno Jossa ([2]) che una con una maggiore presenza di cooperative di lavoro, l’economia sarebbe più stabile.
[1] Henry Hansmann, La Proprietà dell’impresa, Il Mulino, Bologna, 2005, pag. 119
[2] Bruno Jossa, L’impresa democratica, Carocci, Roma, 2008.
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