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Caro ministro Riccardi, cos'è lo ius culturae?

30/03/2012

L'idea dello ius culturae – lanciata dal ministro Riccardi – è ambigua e pericolosa, perché rischia paradossalmente di alimentare il conflitto multiculturale

Alcuni giorni fa Andrea Olivero ha riproposto sulle pagine di Europa l’idea dello ius culturae quale criterio di definizione di un’auspicabile riforma della cittadinanza italiana. Lanciata dal ministro Andrea Riccardi, la nozione di ius culturae sembra essere diventata l’asse consensuale per praticare una via italiana all’integrazione.

Di cosa si tratta? A volere ragionare in termini generali, il concetto richiama agli effetti propositivi e “assimilazionistici“ di una “seducente” cultura italiana. Si immette nel discorso pubblico una concezione stato-centrica e “assimilazionistica” di cittadinanza, secondo un’idea di presunzione di appartenenza, in base alla quale la nascita sul territorio veicolerebbe, nel lungo periodo, quei legami culturali che si suppone costituiscano la base della cittadinanza. Come dire, i diritti di cittadinanza sono collocati nell’ambito della specificità culturale di una comunità nazionale, la quale promuove una concezione particolaristica dell’individuo e delle sue relazioni sociali. Seguendo tale prospettiva, l’inclusione si determina attraverso una sorta di “adeguamento” valoriale alla cultura del paese ospitante. A prima vista sembra un discorso molto lineare. Eppure, guardando bene, emerge una serie di ambiguità concettuali su cui sarebbe opportuno riflettere serenamente.

La prima ambiguità riguarda la nozione stessa di cultura nazionale. In base a quali contenuti qualificanti e qualificati si delinea lo spazio culturale nel quale si definisce un’immaginata concezione di appartenenza culturale? Se il ministro Riccardi ha in mente una sorta di Leitkultur (cultura dominante) all’italiana, allora dovrebbe essere molto esplicito e chiarire senza mezzi termini cosa intende. A me sembra che la concezione di ius culturae sia viziata da un eccessivo monoculturalismo che funziona come un dispositivo che fa dipendere la grammatica dei diritti alla rinuncia delle identità culturali nella sfera pubblica.

Su questo terreno si riscontra la seconda ambiguità concettuale dello ius culturae. Perché parlare di modello italiano per l’integrazione e non dire chiaramente che la via da praticare è quella dell’assimilazione. Perché parlare d’integrazione che rimanda più specificatamente all’inclusione nel tessuto economico-sociale, al riconoscimento delle differenze culturali, alla valorizzazione e accettazione del pluralismo culturale, quando, alla fine, si guarda esclusivamente alla cittadinanza come processo di adeguamento valoriale alla cultura dominante, qualunque poi sia il significato ascritto a quest’ultima.

La classe politica e la tecnocrazia di governo non dovrebbero limitarsi a costruire neologismi astratti, ma dovrebbero prendere sul serio l’ipotesi che tanto l’opinione pubblica nazionale quanto le comunità di stranieri residenti hanno il diritto di capire nel concreto di cosa si discute. Si tratta di comunicare sul piano fattuale quello che si pensa fare, evitando, così, inutili incomprensioni. Anzi, l’idea stessa dello ius culturae paradossalmente rischia di alimentare il conflitto multiculturale perché, piuttosto che ricercare regole e pratiche di coesistenza tra le diverse culture, tende a legare l’uguaglianza delle opportunità di partecipazione alla cultura dominante del paese ospitante. Mettere in moto forme e processi di negoziazione sull’identità culturale è una questione molto complessa.

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Commenti

jus culturae

Condivido quanto detto da Alessandro, anche se non ne farei un discorso genericamente (e 'fallacianamente') occidentale. Personalmente, quando vedo i bambini americani giocare con i fucili o vedo le classi speciali per i disabili in Germania, mi sento fieramente appartenente alla cultura italiana!

Buonismo, male incurabile

Questo articolo è veramente penoso, come è stato già detto è solo un destro fornito ai conservatori e ai fascisti. E' chiaro che noi abbiamo una cultura, come ce l'hanno tutti al mondo, ed è ancor più lapallissiano che il gruppo più esteso nel quale rientra la nostra cultura è quello occidentale, il quale si trova in netta contrapposizione con altri modelli culturali sotto alcuni profili (i diritti delle donne, il tipo di unione familiare, non ultimo lo stesso laicismo, il quale è incontestabilmente un prodotto dell'occidente). Lungi da me il voler sostenere che il modello occidentale sia quello perfetto, esso è pur sempre il nostro, e chi viene qui vi si deve adeguare, senza se e senza ma, altrimenti non viene, perchè l'integrazionje è possibile solo grazie al controllo dello stato e lo stato deve far valere il proprio modello culturale (rispettando gli altri beninteso) nelle sue istituzioni. Chiaramente, questo non è un atteggiamento di chiusura verso nessuno, è soltanto un punto di vista realista e filosoficamente giustificato che non implica nessun ostracismo e nessun odio verso nessuno (chi vi scrive considera tra le proprie persone più care un nigeriano nato in italia), ma io rifiuto il buonismo ad oltranza, che è il male incurabile della sinistra italiana e che ha permesso alla destra, visto lo scarso consenso che un buonismo becero può conseguire, di egemonizzare le posizioni su integrazione e multiculturalismo con le sciocchezze che tutti conosciamo (bossi-fini).ciao

Jus culturae

L'articolo mi pare sinceramente sbarellato. Certo che ci vuole uno jus culturae e certo che non può essere ridotto ad indottrinamento, ma vogliamo riconoscerci in una lingua, nei valori veicolati dalla scuola, nella costituzione? Oppure dobbiamo essere poligami perchè nella mia cultura di provenienza questo è lecito? Le solite anime belle che forniscono assist ai conservatori più beceri.

jus culturae

non penso che la cultura sia "di per sè è universalistica, cosmopolitica", ls cultura appartiene ai vari popoli che hanno prodotto culture differenti. le culture possono convivere e nella convivenza producono culture differenti dalle originali. la mia esperienza di vita mi ha portato a vivere, sia da autoctona ricevendo persone di altre culture nel mio Paese, sia da straniera in Paesi con una cultura molto diversa.
Problemi realmente culturali non ne ho incontrati, i problemi che ho osservato nascevano sempre da: "quello e' venuto a portarmi qualcosa o a rubarmi cio' che e' mio?" tutto e sempre sul MIO,MIO, MIO.chiaro che parlo della mia esperienza sul campo e scrivendo mi rendo conto che il tema e' suscettibile di molti risvolti.





Jus Culturae !!!!

A me sembra una forma di Integralismo & Confessionalimo becero come certi atteggiamenti di Comunione & Liberazione.
La Cultura di per sè è universalistica, cosmopolitica.