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Un Workers Act per ricostruire il lavoro
Buon lavoro/Il Jobs Act del governo non risponde agli obiettivi dichiarati – rilanciare l’economia e l’occupazione – ma riduce i diritti di chi lavora, subordinandoli agli interessi delle imprese. Un'alternativa c'è. Serve un intervento pubblico per cambiare modello di sviluppo, rafforzare le tutele e i diritti dei dipendenti. Le proposte di Sbilanciamoci
Un tasso di disoccupazione al 7% nel 2060: secondo le stime del governo contenute nel DEF 2015 (pag.80), il tasso di occupazione tra quarantacinque anni sarà ancora più alto rispetto a quello del 2008 (6,8%), anno di inizio della crisi. Il problema del lavoro non può essere risolto con l’approccio adottato finora - austerità e “riforme” del mercato del lavoro. Il Workers Act di Sbilanciamoci! propone, concretamente, un’altra strada, su cui aprire un ampio dibattito.
Il Jobs Act del governo non risponde agli obiettivi dichiarati – rilanciare l’economia e l’occupazione – ma riduce i diritti, le garanzie e le condizioni di chi lavora, subordinandoli agli interessi delle imprese. È una politica sbagliata e che non può funzionare, per molte ragioni.
1. Il funzionamento “spontaneo” del mercato non è in grado di portare l’Italia fuori dalla crisi e di creare maggiore e migliore occupazione. Al contrario, le caratteristiche dei processi produttivi attuali (e futuri) implicano una riduzione dell’impiego di lavoro, una scarsa dinamica della produttività, una pressione al contenimento dei salari, una precarizzazione del lavoro e un peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro di tutti.
2. È necessario un nuovo ruolo dell’azione pubblica in campo economico. Si deve porre fine subito alle politiche di austerità, ridurre il potere della finanza, investire per una trasformazione dell’economia reale, fare nuove politiche per il lavoro e, dunque, la vita delle persone. Abbiamo bisogno di una nuova politica industriale e di una politica pubblica per il lavoro, finalizzate ad intervenire sulla domanda e non solo sull’offerta di lavoro.
3. L’intervento pubblico in economia deve affrontare la necessità di cambiare il nostro modello di sviluppo. Ciò significa assicurarne la sostenibilità ambientale e la giustizia sociale grazie al cambiamento quantitativo e qualitativo delle produzioni, dei consumi e degli stili di vita.
4. I problemi del paese non nascono da un lavoro poco produttivo e troppo rigido. I lavoratori italiani lavorano di più rispetto a quelli di altri paesi (in media 1752 ore l’anno rispetto alle 1338 ore della Germania) e hanno livelli di protezione sul mercato del lavoro in linea con quelli degli altri paesi europei.
5. Con il Jobs Act il tradizionale contratto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato viene progressivamente sostituito dal cosiddetto “contratto a tutele crescenti”, insieme a una molteplicità di altri contratti non standard. Il “contratto a tutele crescenti” assegna all’impresa il potere di interrompere in qualunque momento il rapporto di lavoro, riservando al lavoratore soltanto una compensazione monetaria. Il contratto di lavoro a termine è del tutto liberalizzato grazie all’eliminazione delle ragioni giustificatrici, può durare fino a 36 mesi ed è prorogabile fino a 5 volte. Le prestazioni di lavoro accessorio vengono favorite con l’innalzamento del compenso massimo annuale da 5mila a 7mila euro. Ciò significa alimentare la precarizzazione, la segmentazione e lo sfruttamento del lavoro.
6. I primi dati diffusi dal Ministero del Lavoro sulle assunzioni effettuate nel mese di marzo 2015 registrano 162 mila assunzioni a tempo indeterminato con il contratto a tutele crescenti, circa 53 mila in pi rispetto ai vecchi contratti a tempo indeterminato avviati nel mese precedente. La loro incidenza sul totale delle attivazioni è pari al 25% contro il 18% del febbraio 2015). Ma gran parte di queste assunzioni rappresentano una sostituzione di contratti di lavoro pre-esistenti in altra forma, favorita dalla forte decontribuzione prevista dalla legge di stabilità per le assunzioni a tempo indeterminato effettuate nel 2015. Quella che si profila è quindi una varietà di situazioni contrattuali diverse per persone che possono svolgere lo stesso lavoro, una riduzione delle tutele e il mantenimento della precarietà.
Le alternative ci sono. Al posto del Jobs Act serve un Workers Act. Serve una politica pubblica per il lavoro completamente diversa. Essa dovrebbe essere indirizzata a:
a) rafforzare (anziché indebolire) i diritti e le tutele dei lavoratori dipendenti favorendo la loro effettiva stabilizzazione;
b) investire nella creazione diretta di occupazione pubblica;
c) reindirizzare gli investimenti privati nei settori buoni dell’economia;
d) redistribuire il lavoro grazie a una riduzione sussidiata dell’orario di lavoro;
e) favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro con misure che incentivino l’equa ripartizione del lavoro di cura tra uomini e donne e contrastino la segregazione di queste ultime nei segmenti meno qualificati del mercato del lavoro;
f) estendere diritti e protezioni sociali ai lavoratori non dipendenti;
g) riformare il sistema di welfare, ad oggi di natura lavoristica e familiare, rendendolo universale in modo da assicurare la continuità di un reddito minimo garantito e dignitoso a tutte le persone.
In queste pagine anticipiamo alcune delle proposte concrete contenute nel rapporto di Sbilanciamoci!
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