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Caro Monti, faccia il liberale

28/02/2012

Il governo Monti ha sostenuto che i giovani non devono contare sull'aiuto dei genitori, ma ancora non ha introdotto un'imposta sulle eredità

Un milione e passa di euro Monti, sui 3 milioni l'ex banchiere Passera, oltre 7 milioni la ministra Severino (finalmente un gender gap al rovescio), e via elencando. Le fortune economiche del governo tecnico hanno tenuto banco per qualche giorno, dopo la pubblicazione delle “schede-trasparenza”. Purtroppo però subito la discussione s'è spenta, lasciando solo la sgradevole sensazione di aver sbirciato, malmostosi, dal buco della serratura delle belle case dell'altissima borghesia che ci governa: meno patinata, non sbrasona come la precedente, ma altrettanto ben piazzata nella classifica di quelli che i cacciatori di patrimoni chiamano gli “high net worth individuals” (HNWI). Eppure qualcosa si poteva chiedere, anche a un governo come quello di Monti, in materia. E non qualcosa “di sinistra”, votabile solo da una parte del parlamento (seppure); bensì qualcosa di liberale, persino liberista.

Se si guarda ai redditi, guardando a tutta la compagine tecnica e non solo alle sue punte di grido, abbiamo che i ministri italiani attuali sono piazzati nel “top 5”: appartengono cioè al 5 per cento di popolazione che guadagna di più. “Ce li siamo guadagnati, ci paghiamo le tasse”, hanno commentato alcuni dei ministri – e in effetti nel governo precedente pochi potevano affermare le due cose con altrettanta sicumera. Uno potrebbe argomentare sul concetto di giusta remunerazione e sulla forbice che si è aperta tra gli stessi redditi da lavoro, ma tant'è: i “working rich” non sono un fenomeno solo nostrano, semmai da noi si colorano di antico - i banchieri e gli uomini della finanza sono superati dagli avvocati -, ma insomma non siamo i soli, nel mondo capitalistico, ad assistere alla crescita abnorme delle diseguaglianze nei redditi da lavoro (per dire, Severino porta a casa in un giorno, al netto delle tasse, quello che l'italiano medio prende in 170 giorni). Però le differenze si fanno ancora più forti se si guarda alla seconda parte delle “schede-trasparenza”, quella sui patrimoni.

 

Monti, che quanto a reddito è più “povero” dei ministri della Giustizia e dello Sviluppo, ha un patrimonio immobiliare fatto di dodici case, un ufficio e tre negozi, e una ricchezza finanziaria (fondi e obbligazioni) per 11 milioni di euro. Il collega Passera ha solo due case, ma un patrimonio mobiliare superiore ai 20 milioni di euro. Paola Severino ha 6 milioni in Btp, e una lista di azioni assai nutrita. E l'elenco potrebbe continuare : ne viene fuori che molti tra i membri del governo hanno un patrimonio superiore al milione di euro, cioè appartengono tecnicamente agli HNWI, high-net-worth individual. Secondo Cap Gemini, gli HNWI sono poco più di 10 milioni in tutto il mondo, 3,1 milioni in Europa e 178.800 in Italia. Dunque: se, quanto a redditi, i nostri ministri appartengono alla minoranza del 5% più ricco della popolazione, se si va a misurare la loro ricchezza li si trova in una fascia ancora più ristretta.

 

Ora, se è vero che sui loro lauti guadagni da lavoro i “working rich” devono - o dovrebbero, salvo trucchi da elusione – pagare le tasse, non altrettanto succede per i loro patrimoni, per i quali è stata ripristinata una forma di imposizione solo relativamente alle case (con il ritorno dell'Ici). E soprattutto, niente o pochissimo si paga al momento in cui le fortune, accumulate in anni di così ben remunerato lavoro, passano agli eredi. In Italia l'imposta di successione di fatto non c'è, poiché ne sono esentati i patrimoni fino a un milione di euro, soglia che non si calcola sull'intero patrimonio ma “per testa”. Vale a dire: se chi muore lascia un valore di 3 milioni di euro a moglie e due figli, questi non pagano nulla. Questo succede al termine di una serie di modifiche della legislazione in Italia: ridotta alla fine degli anni '90 dai governi Amato e D'Alema, l'imposta di successione è stata abolita dal secondo governo Berlusconi (nel 2001), e poi è stata reintrodotta nella minima forma attuale dal governo Prodi nel 2006. In quasi tutti gli altri paesi capitalistici è molto più forte: in Gran Bretagna, per esempio, vige sì una franchigia abbastanza alta (non si paga niente sotto le 325mila sterline), ma sopra la soglia dell'esenzione la tassa è del 40%. Secondo i dati pubblicati quale mese fa da lavoce.info (http://www.lavoce.info/articoli/pagina1002366-351.html), tra i grandi paesi siamo quello con il gettito più basso da imposte sull'eredità: veniamo dopo Francia, Stati uniti, Spagna, Gran Bretagna e Germania. E' dagli Stati uniti che è venuta, una decina di anni fa, la mobilitazione dei ricchissimi contro Bush, quando un buon gruppo di abbienti – capitanato da Warren Buffet – si è scagliato contro le proposte di abolire quella che la destra americana chiamava la “death tax”. Che invece, nella teoria della scienza delle finanze, ha un posto d'onore negli scaffali del pensiero liberale. In uno di questi, le Lezioni di politica sociale di Luigi Einaudi, si legge:

“Dovrebbe in primo luogo l'imposta ereditaria falcidiare, alla morte di ogni uomo, tutta l'eccedenza della sostanza che egli in vita ha saputo cumulare al di là di quanto basti a garantire la vita del coniuge superstite, la educazione e la istruzione dei figli sino alla maggiore età economica, la sussistenza dei figli inetti, per deficienze fisiche o mentali, a procacciarsi il sostentamento, il possesso della casa, provveduta di adiacenze, di mobilio, di libri ed oggetti vari, reputata bastevole alla famiglia sopravvivente; sicché la sostanza riservata sia tenuta entro limiti atti a impedire diseguaglianze apprezzabili nei punti di partenza”.

Anche senza arrivare all'estremismo di Einaudi, e proporre “la falcidia” di gran parte della fortuna ereditata, spazio d'azione ce n'è, e parecchio. Soprattutto da parte di un governo che ha sostenuto a diverse riprese, e con toni urticanti, che i giovani non devono contare sull'aiuto di mamma e papà, ma darsi da fare con le proprie teste e le proprie braccia. E allora, caro professor Monti, faccia una cosa liberale: introduca un'imposta sulle eredità. Vera, però.

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Commenti

Ma non è una questione morale

Esatto, è un circuito autoreferenziale dal punto di vista sociale ed economico. Ma dal punto di vista finanziario questo circuito non fa altro - diciamolo apertamente e senza timore di passare per pazzi estremisti o ferrivecchi ideologici- che appropriarsi del plusvalore prodotto da quelli che stanno alla base della piramide sociale: nulla di nuovo sotto il sole. Il libero mercato che permette alla Severino di guadagnare sette milioni di euro all'anno non è neanche lontanamente un meccanismo di selezione delle migliori prestazioni disponibili. Esso ci viene normalmente spacciato come un meccanismo intrinsecamente "meritocratico" (parola molto di moda e per questo automaticamente sospetta). Ma ciò è vero, forse, soltanto per le star dello sport, dove gli introiti astronomici, ancorché immorali, sono in genere direttamente proporzionali ad una "oggettiva" superiorità sportiva. Al di fuori di poche, circorscritte eccezioni, vige invece una giustificazione a posteriori: se la Severino di turno guadagna sette milioni all'anno vuol dire che è l'Ibrahimovic degli avvocati. Una logica tanto inattaccabile quanto indimostrabile, poiché tautologica, figlia dell'idea che la mano invisibile del mercato alloca le risorse nel migliore dei modi possibili. Invece quella che domina è logica dell'accumulazione del capitale (che sfrutta la retorica del libero mercato molto più del libero mercato stesso), che è per sua natura espropriazione del plusvalore prodotto da altri. Da questo punto tra l'avvocato Previti e l'avvocato Severino non c'è differenza: entrambi devono le proprie fortune alla contiguità con l'inner circle della finanza. Cioè di quelli (Passera, Profumo, Geronzi, Tronchetti Provera, Caltagirone, Berlusconi, tanto per fare qualche nome di casa) che non sono più nemmeno i detentori dei mezzi di produzione, ma semplicemente si trovano a controlare i flussi del capitale. Per questo è particolarmente fuorviante, secondo me, ridurre la critica al sistema vigente ad una questione morale. Non basta che Severino non rubi platealmente come Previti. Dare per scontato che i suoi sette milioni di euro siano il giusto compenso alla sua bravura e accettare che, da ministro, possa dire: "Con le tasse che pago si potrebbe costruire un ospedale", significa non aver colto il cuore del problema.

Olimpo e Olimpiadi

Il miliardario Warren Buffet dice che non prevedere tasse di successione, privilegiare i figli dei miliardari attuali, è come "selezionare gli atleti delle Olimpiadi del 2020 scegliendoli tra i figli delle medaglie d'oro delle Olimpiadi del 2000". Una metafora efficace, ma che svela un po' quel che dice Luzzatto, ossia che tra i "pro-tassa di successione" c'è un'ìdea della vita come competizione continua, incessante, totale.
A Luca: hai ragione, il circolo che comprende lo studio Severino e i suoi facoltosi clienti (che a Roma chiamano 'il generone': sono i costruttori e i banchieri più influenti della capitale) è una versione nostrana del giro dell'élite globale degli NHWI, con un circuito autoreferenziale di livelli retributivi, consumi, stili di vita... Un circuito nel quale le alte paghe trovano 'giustificazione' nel paragone con quelle degli altri, senza che ci sia mai un controllo esterno e una verifica oggettiva (chi decide le paghe dei Ceo? I Ceo...)

L'apertura della forbice

Non ho le competenze economiche sufficienti per capire a fondo cause e implicazioni di questa sempre più diseguale distribuzione della ricchezza. Vorrei che qualcuno qui fosse in grado di aiutarmi suggerendomi qualche spiegazione o, per lo meno, qualche utile lettura (adeguata a un dummy come il sottoscritto). Bisogna scomodare Marx e l'accumulazione del capitale? Suppongo di sì, ma vorrei che qualcuno mi aiutasse a capire. Mi chiedo ad esempio se esistano studi che analizzino i flussi di capitale a livello di classi sociali e quali siano i fattori chiave che determinano l'accesso alla classe dei HNWI. Per intenderci, che una professionista come la Severino guadagni sette milioni di euro all'anno probabilmente dipende dal fatto che i suoi clienti sono persone, o più probabilmente società, che ne guadagnano dieci volte tanto. Si dirà: questa è una banalità. Vero, ma fino a un certo punto, perché mi pare si stia creando una classe di professionisti ad altissimo reddito che prima non esisteva e che campa sfruttando indirettamente la concentrazione di capitale (pubblico, nelle aziende di Stato; privato, nelle società per azioni). In una fase di allargamento della forbice tra ricchi e poveri, cosa succederà? Si creeranno due economie parallele, una per i NHWI, una per noi, o il sistema imploderà dato che quel che guadagna un Passera è in qualche modo "estorto" agli strati più bassi della società? Spero di aver esposto i miei dubbi in modo abbastanza comprensibile.

liberisti e liberali

Oltre alla tesi einaudiana, che condivido, è il caso di citarne un'altra, che non condivido nelle premesse "ideologiche" ma che merita una qualche riflessione.
La soppressione, addirittura, del principio di trasmissione ai figli del risultato dei propri guadagni viene proposta da alcuni di coloro che, in particolare negli USA (non sono sicuro, ma mi sembra che tra questi ci sia Bill Gates), esaltano in termini estremisti non solo l'esigenza (giusta!) di valorizzare i meriti personali, ma addirittura la competizione più feroce tra gli individui. Ognuno, sostengono, deve lottare per diventare ricco in proprio, non stare a far nulla grazie a papà (o mamma).