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Grecia-Europa, cambiare è possibile?

09/09/2015

Il caso Grecia ha mostrato che la vera natura dell'Ue non è di essere una comunità destinata ad aiutare in modo concertato lo sviluppo e l’integrazione dei suoi diversi stati, ma una super contabilità delle loro economie pubbliche. Una cronistoria ragionata nell'ebook di Sbilanciamoci e del manifesto

L’estate del 2015 resterà una data fatale per l’Unione europea. È la prima volta che è emersa la possibilità che un paese esca dalla zona euro e nel medesimo tempo la crisi greca ha dimostrato, malgrado il ricordo di tutti i padri costituenti, che la vera natura della Ue non è di essere una comunità destinata ad aiutare in modo concertato lo sviluppo e l’integrazione dei suoi diversi stati, ma una super contabilità delle loro economie pubbliche in vista di costituire un grande mercato con regole ferree, funzionando come una super banca oppure andarsene. Non si tratta di aiutarsi a superare debolezze storiche mettendosi in condizioni di crescere, ma di garantire che ogni credito sia rimborsato, rigidamente nei tempi previsti dai trattati o simili. Non per caso l’indice di sviluppo degli stati del sud oscilla dallo zero virgola all’uno virgola, cioè al di sotto di ogni possibilità di crescita.

La piccola Grecia è stata il primo terreno di questa esperienza, la vittoria elettorale di Syriza ha permesso di formare, con l’aiuto di una modesta forza eterogenea, un governo di grande consenso, che ha sperato di trovare nel continente un’udienza favorevole, fino a spingere a non accettare come interlocutore la Troika – Bce, Fmi e Commissione – perché non rappresentano un organo eletto, quindi non formalmente valido. Era un rifiuto simbolico, perché di fatto questo trio è stato il rappresentante di Bruxelles e si è presentato come controparte, ma anche un simbolo ha un valore politico per cui la cosa ha irritato sommamente le autorità europee e la loro stampa.

Il programma del governo di Syriza è stato costituito da una serie di misure favorevoli ai ceti più deboli ed è stato accompagnato dalla richiesta di ristrutturare il debito pubblico e di ottenere dalla Germania la restituzione degli ingenti danni di guerra. Tali misure, presentate dal primo ministro Tsipras e dal ministro dell’economia Varoufakis, sono state tutte respinte proponendo come condizione preliminare a ogni discussione alcune riforme strutturali destinate a soddisfare i creditori.

Il dialogo non è stato possibile. Anzi, nel corso di alcuni mesi venuti a scadenza nell’agosto 2015 le richieste di rimborso si sono fatte ultimative portando il governo greco a scontrarsi con Angela Merkel e il ministro delle finanze tedesco Schauble, ambedue – e specie il secondo – irritatissimi con le tesi e il modo di presentarsi di Varoufakis che ha sostenuto la linea greca anche con la sua autorità di economista contro la filosofia dell’austerità.

In breve l’Ue, piacesse o no ad Atene, è stata rappresentata dalla Troika che ha fatto scudo contro Tsipras fino a rendere del tutto evidente che parte dell’Europa avrebbe preferito, piuttosto che accedere alla sue richieste, un’uscita dall’euro, detta “grexit” dall’alfabeto barbarico ora in uso.

Non sono mancati i rilievi sulle storture finanziarie del piccolo paese, ereditate dai governi precedenti: una fiscalità disordinata, che per esempio esentava, scrivendolo nientemeno che nella Costituzione, gli armatori e la chiesa ortodossa dalle imposte, nonché una quantità giudicata eccessiva di spese per il personale pubblico e soprattutto per la difesa, e una struttura industriale debolissima, situazioni che Tsipras si proponeva di risanare chiedendo qualche tempo e qualche mezzo per far fronte ai bisogni più impellenti: «Privatizzate, rinunciate alla spesa pubblica e abbassate le pensioni» è stata la risposta di Bruxelles accanto alla richiesta del rimborso del debito da concordare con i creditori, l’ultimo incontro con i quali si è rivelato insostenibile.

Nello scontro con questi inflessibili giganti, la Grecia è rimasta isolata, la esibita disponibilità del rappresentante francese, di Juncker e della stessa Merkel è rimasta strettamente limitata sul piano personale (qualche pacca sulle spalle e qualche buffetto esibiti davanti alle camere televisive nell’incontro con Tsipras), dall’Italia neanche questo, il tentativo di ottenere aiuti finanziari dai Brics si è risolto in nulla, la Russia essendo oggetto di sanzioni da parte dell’Europa.

A Tsipras non è rimasta altra scelta che mangiar quella minestra o saltare dalla finestra. Varoufakis si è ritirato dopo il successo al referendum di luglio e Tsipras doveva accettare o rifiutare i no della Troika su tutto il fronte. Tsipras ha preferito restare al suo posto combattendo metro per metro ma proponendo che il 20 settembre il popolo greco gli confermi o tolga la fiducia in straordinarie elezioni politiche. L’Ue e la stampa dei suoi governi sono andati fuori dai gangheri: mossa cinica, come è cinico il personaggio è stato il rimprovero più moderato che gli è stato mosso. Varoufakis resta fuori e Syriza si è spaccata in due. Con soddisfazione di tutti i paesi europei che non avevano nascosto il timore di imitazione da parte di altri paesi del sud della linea di Tsipras, cioè l’ostinato rifiuto delle condizioni poste dalla Troika e in genere dalla linea dell’austerità. Incombono le lezioni spagnole; Podemos simpatizza con Syriza, e la sua vittoria sul partito popolare di Rajoy è per Bruxelles una prospettiva più pericolosa della rivolta greca. Le dimensioni della Spagna sono ben più vaste e un’infezione di democrazia spaventa l’establishment europeo. Meglio l’Europa a due velocità, auspicata dal ministro delle finanze tedesco. Ben diversa da una scelta dei popoli verso la quale premono anche alcune delle sinistre extraparlamentari italiane, per le quali un’uscita dall’euro e il ritorno a una piena sovranità per ogni stato sembra auspicabile al di là dei prezzi da pagare.

 

 

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Commenti

Grecia-Europa

"Il nuovo congresso di Syriza"? Tsipras e il suo gruppo, forti della maggioranza in seno al gruppo parlamentare, hanno pensato bene di bypassarlo, così come non hanno convocato il Comitato Centrale: un esempio non edificante, anzi comunque pregiudizievole,per chi punta oggi ad un "nuovo inizio". Nel frattempo si è fatto strame dell'esito del referendum e ci si è fatto carico di un Memorandum dieci forte più gravoso dell'ipotesi di "accordo" che stava alla base del quesito referendario.

La crisi Greca e la Sinsitra


LA CRISI GRECA E LA SINISTRA
Rossana Rossanda, nel suo intervento su "Sbilanciamoci" , dice cose sicuramente condivisibili, fino all'ultimo pezzo dove essa sostiene che rispetto al memorandum imposto dalla Trika, a Tsipras non era rimasto altro che "mangiare quella minestra o saltare dalla finestra"... ma Tsipra è rimasto al suo posto combattendo metro per metro, proponendo che sia il popolo greco a confermare o togliere la fiducia nelle elezioni del 20 settembre.
Ora puòdarsi (anche se non è scontato) che il popolo greco continui ad essere con Tsipras e Siriza e Syriza potrebbe anche rivincere le elezioni anticipate del 20 settembre, ma la questione non quella del sostegno popolare, ma quella di capire se nelle nuove condizioni imposte dalla nuova Troika, esistono i presupposti per lottare e cambiarle a sostegno delle classi più deboli... o se invece le uniche "riforme" possibili in grecia , sono le controriforme al sistema sociale, quello dei diritti, quello delle privatizzazioni, quelle economiche, quelle del lavoro, quelle civili, ecc... imposte alla Grecia dall'ultimo Summit europeo a guida Tedesca.
Le imposizioni imposte alla Grecia, hanno alcuni aspetti politici di fondo che non possono essere ignorati o sminuiti. Essi riguardano:
- la riproposizione da parte del sistema economico finanziario di politiche che hanno segnato il fallimento dei presupposti economici e politici ,su cui era nata l'Europa ... che permanendo tali, (l'accordo capestro viene monitorato dalla troika ogni tre mesi) nessuna forza di sinistra può creare le condizioni di sviluppo, continuando invece nella continua messa in discussione dello stato sociale, poteri e diritti delle classi più deboli. La promessa che le politiche di austerità possono creare condizioni di crescita sono state miserabilmente vanificate ed in Grecia continueranno ad avere effetti deleteri anche sulla disoccupazione. Le scelte politiche ed i meccanismi del Fondo monetario Internazionale, della BCE e della commissione, non sono storture riformabili dall'attuale Parlamento Europeo ... bisognerebbe ritornare a votare cambiando maggioranza a favore della sinistra radicale GUE... cosa molto improbabile ;
- oggi in tutti gli Stati Europei, non solo in Grecia, la stragrande maggioranza dei ceti popolari sono stati messi in crisi dalle politiche economiche finanziarie adottate con lo smantellamento dei diritti e garanzie sociali, a favore di una minoranza (circa il 10% di popolazione) , con i governi dei vari stati, che sono diventati agenti del mercato. Anche le forze politiche social democratiche, hanno come obbiettivo la cancellazione definitiva di ogni prospettiva che alluda eguaglianza e socialismo...;
- con il commissariamento della Grecia, non viene colpita soltanto l'autonomia di quel Paese colonizzato, ma si è dato anche un grave monito a tutti gli altri Paesi europei. L'accordo imposto, non riguarda solo la Grecia , ma è stato fatto affinché tutti devono capire che le politiche liberiste imposte dalla Troika non hanno alternative e se "domani" anche in Spagna, Italia o altrove, qualcuno pensa di non applicare le regole della Troika a guida Tedesca , sa cosa l'aspetta...;
Ora dobbiamo domandarci, se è così non ci sono più speranze?
Credo comunque che per modificare la suddetta realtà sia necessario cercare di sviluppare un forte movimento di lotta di lunga durata, in tutti i Paesi Europei... tocca a tutti gli altri popoli europei, ad iniziare da Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda, ecc... ma è anche necessario che il prossimo Congresso di Syriza risulti vincente la piattaforma di sinistra ed i greci possano riprendere a lottare assieme ai popoli di altri Paesi . E' necessario riproporre una grande campagna antiliberista a respiro europeo.
Per questo credo che sia necessario schierarci senza se e senza ma con la sinistra di Syriza, che sta cercando di ricomporre il fronte del No referendario, di chi continua a pensare dentro e fuori Syriza, che la rottura con le politiche di austerità sia il mandato da rispettare che è stato consegnato dalla vittoria di Syriza prima nelle elezioni politiche del 25 gennaio e poi con il referendum del 5 luglio. Questo mandato va rispettato anche a costo della rottura delle compatibilità economiche e finanziarie europee: “più nessun sacrificio in nome dell’Euro”.
Umberto Franchi Lucca