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Post-liberismo

L’alternativa europea che c’è

10/04/2015

Post-liberismo/Come uscire dall’egemonia di un sistema in crisi? Il dossier Euromemorandum, frutto del lavoro degli economisti critici europei, delinea un futuro non neoliberista. Con una politica commerciale a favore dei paesi più poveri e un Piano Marshall industriale

Il Documento di Economia e Finanza, che il governo dovrebbe approvare definitivamente oggi, mostra come vi siano due diversi atteggiamenti nel confronto con l’Europa.

Il primo è quello del governo greco guidato da Syriza, che dal completo fallimento delle politiche imposte dalla troika trae spunto per chiedere un radicale rovesciamento delle politiche economiche fin qui seguite. Una tale impostazione, già sottoposta all’elettorato nel 2012, ha conquistato la maggioranza nel 2015, quando il continuo deterioramento della situazione e la mancanza di prospettive hanno convinto i greci della necessità di un radicale cambio di rotta.

Il secondo è ben rappresentato dalla politica economica italiana. Qui il fallimento delle politiche di austerità non è ritenuto motivo sufficiente per un cambio radicale. In realtà, si professa esplicitamente l’adesione totale al modello dell’austerità espansiva (tagli alla spesa, riduzione del ruolo pubblico, privatizzazioni, riduzione dei salari, flessibilità del lavoro, tagli fiscali,…), modello tanto teoricamente inconsistente quanto esiziale nella pratica, salvo invocare la necessità di una maggiore gradualità nell’aggiustamento, contrattandola a livello comunitario in cambio di ulteriori riforme di stampo smaccatamente neoliberista.

Fa specie rilevare come quest’ultima strategia risulti l’unica ritenuta “accettabile” in un contesto europeo nel quale ormai domina un pensiero unico che non dà legittimità a visioni alternative e che ha, ormai, la forza per imporsi ai singoli stati membri e sui legittimi processi democratici. Ciò testimonia, una volta di più, come l’Europa soffra innanzitutto di un problema di scarsa democrazia, che rischia di distruggere l’intero edificio così faticosamente costruito; la deriva populista è dietro l’angolo e un fallimento della Grecia gli darebbe ulteriore alimento.

L’obiettivo di costruire un’Europa democratica e realmente inclusiva non è, tuttavia, ancora tramontato. E’ questa la scommessa dell’Euromemorandum 2015, da cui trae spunto questo numero di Sbilanciamo l’Europa. Euromemorandum (http://www.euromemo.eu) è la sintesi annuale dell’elaborazione di un folto gruppo di economisti di diversi paesi che dal 1995 porta avanti una critica radicale alle politiche dominanti in Europa e cerca testardamente, a volte con l’ottimismo della volontà, di costruire un’alternativa praticabile.

I temi trattati vanno dall’impostazione delle politiche macroeconomiche, con la ricerca di soluzioni alla stagnazione alternative all’austerità, alle politiche monetarie e del credito (qui Draghi ne esce bene), dalla politica industriale, alle politiche sociali, alla lotta alle disuguaglianze, fino ai temi di politica estera, in particolare il Trattato sul commercio e gli investimenti fra UE e USA, che rischia di rendere gli stati succubi degli investitori, e la politica di vicinato dell’Unione, che è riuscita al tempo stesso a fomentare il conflitto ad Est e a frustrare, a Sud, le speranze suscitate dalle primavere arabe.

In ogni capitolo del rapporto su una parte di analisi della situazione attuale si innestano una parte di critica delle politiche attuali e una di proposta di alternative. Sono proposte radicali ma non rivoluzionarie, tecnicamente adeguate e che hanno ben presente il dibattito e le politiche correnti della UE. Sono proposte preziose per riconquistare una dimensione democratica e partecipativa ad un’Unione che, al momento, appare sorda, dominata da lobby e gruppi di potere e tutta tesa al perseguimento di una maldestra politica di potenza.

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Commenti

denaro

Obiettivamente nel sistema economico del “libero mercato” si sono verificati progressi sociali e tecnologici rilevanti. Difficile valutare se il “sistema” sia stato la causa oppure una palla al piede, cioè se con un altro sistema economico l'evoluzione sarebbe stata superiore o migliore.
È certo che ciò è avvenuto a spese di una grande disuguaglianza di ricchezza e di lavoro tra le popolazioni con squilibri finanziari insanabili e semplicemente spostati nel tempo e nello spazio.
È altrettanto vero che in parallelo si è accumulata la crisi della democrazia dovuta a diverse ragioni:
intendere il voto come delega dei propri interessi al parlamentare e pensare che egli li tuteli effettivamente.
Il partito che offre posti di lavoro fittizi con assunzioni improvvide ovunque ne abbia influenza e possibilità per ottenere voti.
Legami di interessi intrecciati a tutti i livelli basati sulla corruzione e lo scambio di favori.
La cattiva qualità delle persone da eleggere e che dunque non stimolano l'entusiasmo.
L'insufficiente cultura politica che richiederebbe il continuo controllo da parte dell'elettore e di conseguenza degli organismi preposti.

La decadenza è dunque dovuta all'accumularsi di crisi formali e di crisi reali. In altri termini l'incapacità o volontà di mutare radicalmente il sistema economico cozza contro il muro delle riforme inutili. Non è più possibile distinguere la tendenza dei partiti perché una volta giunti al tavolo delle decisioni, non sanno fare altro che tentare di tamponare i buchi che il sistema ha procurato.
Prchè un cambiamento di sistema possa avvenire, occorre realizzare due condizioni:
1. il programma.
2. La convinzione generale che il programma sia la risoluzione dei problemi.
Il programma implica che indichi un sistema economico totalmente diverso da quello attuale e poiché sarebbe rivoluzionario, dovrebbe anche indicare il percorso attuativo.

Il sistema attuale fa pensare ad un ciclista che deve raggiungere il traguardo ma in realtà, pedalando, allontana il traguardo, e più pedala più allontana il traguardo.
Questo perché la produzione di beni è finalizzata alla produzione di denaro. Il circolo vizioso del traguardo irraggiungibile è costituito dal fatto che la produzione di denaro richiede la produzione di beni e affinché i beni producano denaro occorre dare denaro a chi li deve comprare. Ovviamente meno denaro a chi compra i beni, più denaro si libera, finché gli acquirenti non possono più comprare.
A questo si rimedia rimescolando le carte, spostando capitali, stampando banconote, aggredendo mercati stranieri...
Tutto questo non è nuovo ma non deve essere sopraffatto dalla valanga di informazioni che alterano la corretta visione del problema.

Stampare denaro, o ancora più assurdo, mettere in circolazione denaro virtuale, sconfessa e demolisce le teorie monetarie-economiche: il denaro non è più un intermediario per lo scambio delle merci ma un totem buono per tutte le necessità. Perché il rigore, i conti in regola? Stampare denaro per pagare i debiti tanto varrebbe cancellare direttamente i debiti! Il denaro stampato serve per emettere obbligazioni che dovranno essere rimborsate ma chi emetterà le obbligazioni sarà in grado di onorarle o stamperà nuovo denaro per emettere altre obbligazioni?
Morale: col denaro si può fare ciò che si vuole e pertanto bisogna definire che cosa si vuole per un'economia stabile ed equa.