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Liberiamoci dalla precarietà. Dieci proposte
La precarietà non è un accidente del destino, né un dato immodificabile. È il frutto di processi economici e di scelte (e non scelte) politiche. La precarietà è un problema di diritti, di stabilità, di continuità del lavoro e di reddito, è un problema di welfare e di opportunità. È un problema di soldi e di previdenza. È la difficoltà a vivere il presente, ad avere una casa, è la difficoltà a progettare il futuro e la paura di invecchiare in miseria. La precarietà è l’altra faccia di un paese immobile, del lavoro nero e della dilagante disoccupazione giovanile. Non esiste un incantesimo per uscire dall'incubo della precarietà. Si tratta di liberare le tante energie compresse, investendo sulla qualità della vita delle persone e sulla felicità collettiva. Per questo il ruolo del pubblico nel disegnare e costruire lo sviluppo è determinante. Esistono scelte concrete da fare. Ecco le nostre proposte: dieci cose da fare subito per liberarci della precarietà.
1. CONTRATTO STABILE PER LAVORO STABILE
La precarietà è la truffa attraverso cui scaricare il rischio dall'impresa ai lavoratori. Il rischio della discontinuità e il rischio economico. La precarietà serve a far pagare meno il lavoro. Meno di quanto vale.
Per questo serve affermare l'ovvio. Chi fa un lavoro stabile deve avere un contratto stabile. Chi fa un lavoro subordinato deve avere un contratto subordinato. Per fare questo sono necessari alcuni provvedimenti: abrogare le forme di lavoro più precarizzanti; rendere, per il datore di lavoro, il lavoro autonomo più costoso del lavoro subordinato; escludere le mansioni esecutive e ciò che ha che vedere con il “core business” dell’impresa dalla sfera di applicazione del lavoro autonomo; smascherare le truffe che si celano dietro gli stage: stage e praticantato dovrebbero essere strumenti per formarsi ed esplorare il mondo del lavoro, ma troppo spesso vengono utilizzati come lavoro gratuito al posto di lavoro vero. Per questo sono necessarie regole per gli stage e sanzioni per chi non le rispetta, per questo gli stage devono essere rivolti a chi è inserito in percorsi di studio o li ha appena completati e devono prevedere un rimborso spese adeguato.
2. IL LAVORO DEVE ESSERE PAGATO. BENE.
La precarietà vuol dire essere pagati poco, pochissimo. A volte niente. Poco conta che addirittura un articolo della nostra Costituzione preveda il diritto all'equo compenso. Ma questo non si chiama lavoro, si chiama sfruttamento.
Noi vogliamo una paga che corrisponda alla quantità e alla qualità del nostro lavoro. I livelli minimi retributivi dei contratti collettivi nazionali di lavoro devono valere, a parità di lavoro, per tutti coloro che prestano la loro opera presso un committente a prescindere dalla tipologia d’impiego. E non è tutto: chi fa un lavoro strutturalmente discontinuo deve essere pagato di più.
3. CONTINUITÀ DI REDDITO
La precarietà significa che se rimani senza lavoro non hai diritto a un sostegno di welfare. Vale per i collaboratori, vale per le p.iva, vale, spesso, per i lavoratori a termine che non hanno i requisiti contributivi per accedere all'indennità di disoccupazione. Eppure sono proprio le lavoratrici e i lavoratori precari ad essere i più esposti al rischio disoccupazione e proprio quelli a cui viene negato questo diritto.
L'indennità di disoccupazione va estesa, subito, a tutti: alle lavoratrici e ai lavoratori parasubordinati, a chi presta la sua opera con p.iva e vede una drastica diminuzione del proprio reddito a causa della perdita di gran parte dei suoi committenti, a tutti i lavoratori a tempo determinato che oggi non vi posso accedere.
4. REDDITO MINIMO D'INSERIMENTO
La disoccupazione e la povertà sono l'altra faccia della precarietà del lavoro. Chi si barcamena tra la ricerca -senza risultati- di un lavoro, stage truffa e lavoretti in nero, paga esattamente il prezzo di un mondo del lavoro precarizzato e asfittico. La precarietà si nutre proprio di questo bacino: il 30% di giovani disoccupati e di oltre 2 milioni NEET. Quando si è senza possibilità si è disposti ad accettare tutto, anche lavori senza diritti, né tutele, né compensi decenti.
Il circolo vizioso di questo ricatto va spezzato con uno strumento che aumenti i gradi di libertà dei soggetti e che permetta di sottrarsi al ricatto. Al ricatto della precarietà e a quello del lavoro nero.
Va introdotto, subito, anche in Italia un Reddito Minimo rivolto a chi è disoccupato, inoccupato o ha un reddito al di sotto della soglia di povertà, coordinato con l’azione di supporto e promozionale da parte di servizi pubblici per l’impiego per l’inserimento al lavoro e per una vita attiva. Un reddito fatto del libero accesso ai servizi e di un contributo monetario che, come previsto dalla risoluzione del Parlamento Europeo del 20 Ottobre 2010 (“Il ruolo del reddito minimo nella lotta alla povertà e all’esclusione sociale in Europa”), corrisponda almeno al 60% del reddito mediano nazionale.
5. PREVIDENZA. NON È UNA VECCHIAIA PER GIOVANI.
Chi è giovane e precario oggi, sarà un vecchio povero domani. È un'equazione senza incognite. La discontinuità del lavoro e quindi la discontinuità dei contributi per la pensione, uniti a retribuzioni ai limiti della miseria vorrebbero condannarci a una vecchiaia senza pensione (o con pensioni da fame). E non è tutto. Per chi lavora con p.iva i contributi previdenziali sono tutti sulle spalle dei lavoratori: un grosso esborso oggi per una pensione inesistente domani.
Vogliamo assicurarci la vecchiaia. Per avere una pensione dignitosa domani è necessario avere compensi decenti oggi: i lavoratori autonomi devono avere compensi superiori a quanto previsto dai minimi dei Contratti collettivi nazionali; contributi previdenziali figurativi nei periodi di non lavoro; vanno adeguati i contributi, rendendoli uguali a quelli dei lavoratori dipendenti, addebitandoli, però, ai committenti proprio come avviene per i lavoratori dipendenti. Inoltre è necessario che tutti i contributi versati possano essere cumulati. Ed è necessario che COMUNQUE lo stato assicuri a chi ha lavorato una vita, ancor più se precario, una pensione che permetta una vita dignitosa.
6. DIRITTO DI VOTO, DI ASSEMBLEA, DI SCIOPERO
Non è solo l'instabilità, né la miseria delle nostre paghe. È anche la totale assenza di diritti, la ricattabilità costante nel posto di lavoro che ci rende precari. Vogliamo avere voce in capitolo sulle nostre condizioni di lavoro e sui nostri contratti: senza delegare ad altri le nostre rivendicazioni. Vogliamo il diritto di voto elezioni per le rappresentanze dei lavoratori nei luoghi di lavoro. Vogliamo potere eleggere ed essere eletti. Vogliamo avere diritti sindacali: diritto di sciopero e permessi per le assemblee. Vogliamo che i diritti sindacali previsti nei contratti collettivi nazionali di lavoro valgano per tutti. Anche per noi.
7. MATERNITÀ E PATERNITÀ. DIRITTI UNIVERSALI
La precarietà è il vero contraccettivo del nostro tempo.
Non è un paese per madri quello che abitiamo. Né per padri. Sembra essere solo un paese per figli. Figli precari di genitori vecchi che con i loro risparmi tappano i buchi di un welfare che non c'è. Non c'è neanche per chi vuole diventare madre e non ha un contratto di lavoro che le garantisca un sostegno in caso di gravidanza. Non c'è per i padri con contratti precari che vogliano dedicare del tempo ai loro figli.
Vogliamo che la maternità diventi un diritto universale che prescinde dal contratto di lavoro e che si tramuti in sostegno al reddito e servizi. Vogliamo che la maternità sia sostenuta per tutte: chi lavora, chi non lavora, chi sceglie di non lavorare. E anche la paternità.
Vogliamo che le donne che scelgono di diventare madri non vivano nel ricatto: dimissioni in bianco, contratti non rinnovati e interruzioni del rapporto di lavoro mettono le donne di fronte all’aut-aut vita-lavoro. Vogliamo che le donne e gli uomini che desiderano avere figli lo possano fare liberamente, anche se non hanno un lavoro, anche se non hanno un reddito.
8. DIRITTO AD AMMALARSI
Anche chi è precaria/o si ammala. Sembra una ovvietà eppure non lo è.
Chi lavora con p.iva o è associato in partecipazione non ha accesso all'indennità di malattia. Se si ammala, insomma, non viene pagato. Chi lavora con contratto a progetto o collaborazione occasionale, a meno che non si tratti di malattia grave e ricovero in ospedale, rimane senza compenso o riceve un indennizzo solo simbolico: il che equivale a dire che anche con la febbre alta non si salta un giorno di lavoro.
Noi vogliamo un diritto elementare. Quello ad ammalarsi anche se si è precari. L'indennità di malattia prevista per i lavoratori subordinati deve essere garantita anche per chi ha un contratto precario.
9. FORMAZIONE CONTINUA… E GARANTITA!
La costruzione e la disseminazione di conoscenza è l'unica chance per un nuovo sviluppo fondato sull'inclusione sociale e il benessere collettivo. L'Italia ha tradito tutti gli obiettivi della società della conoscenza e soprattutto ha tradito le nuove generazioni che si trovano ad avere crescenti difficoltà ad accedere alla conoscenza e, quando ce la fanno, a non poter restituire al proprio paese le competenze acquisite in anni di studio e ricerca.
Non vogliamo cadere nella retorica strumentale dei lavori umili e non smetteremo di formarci, perché la conoscenza è un bene sociale che si moltiplica se tutti possono scommettere al massimo sulle proprie capacità.
Per questo vogliamo il diritto a formarci tutto l'arco della vita: prima del lavoro, durante e tra un lavoro e l'altro. Questo diritto va garantito attraverso un sistema integrato di istruzione e formazione che consenta: un'offerta formativa adeguata e di qualità, un welfare che ne sostenga il libero accesso, il diritto contrattualmente riconosciuto alla formazione continua.
Infine è necessario un sistema di certificazione delle competenze e conoscenze acquisite e la correlazione tra queste e i profili professionali contrattualmente riconosciuti: siamo infatti la generazione più formata e sotto-inquadrata della storia repubblicana.
10. QUESTA È LA MIA CASA. LA CASA DOV'È?
Un’economia di carta e di mattoni ha distrutto sogni ed aspettative di una generazione. La carta delle speculazioni finanziarie, i mattoni di quelle edilizie. La casa è un sogno irrealizzabile per le lavoratrici e i lavoratori precari: moderni nomadi di affitti in nero, ricerche disperate, coabitazioni coatte. Troppo cari gli affitti, impraticabile l’acquisto, inaccessibili i mutui. Eppure in questi anni si è costruito tanto: troppe case, ma troppo costose perché non è importante che siano a disposizione dei cittadini, ma nelle disponibilità di qualche fondo immobiliare.
E’ una tendenza da invertire: quello all’abitare è un diritto di tutte e tutti. Vogliamo poter vivere la nostra vita con un tetto decoroso sopra la testa e vogliamo delle città a misura di persone. Vogliamo che le case sfitte siano affittate ai tanti che le cercano a prezzi ragionevoli, senza essere costretti all’acquisto; vogliamo investimenti sull'edilizia popolare perché offrire una casa non può essere questione di profitto. Vogliamo sperimentare forme di autocostruzione e riutilizzo di spazi in luoghi abitativi come già sperimentato in alcune regioni italiane ed europee attraverso progetti di riqualificazione degli edifici pubblici dismessi, da destinare a case dello studente e alloggi popolari. Vogliamo contratti di affitto e forme di locazione agevolata per chi lavora con contratti precari o ha redditi bassi.