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Relazioni sindacali modello Usa

16/07/2012

Le vicende e il contratto di Pomigliano: una rilettura dei fatti e degli atti, per capire cosa e come è cambiato nello stato delle relazioni industriali e del movimento sindacale

All'accordo sui contratti di lavoro del 2009 era seguito in ottobre un accordo separato per il rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici con un vero e proprio un atto di forzatura politica dato che il precedente, quello unitario, non è scaduto.

In questo nuovo accordo una delle norme più importanti dal punto di vista del cambiamento, quella delle deroghe non trova ancora una piena applicazione.

A questo punto entra in scena in modo prepotente, oltre ai tradizionali protagonisti del sistema delle relazioni industriali italiano, la nuova direzione della FIAT. A Pomigliano il 15 giugno del 2010 viene firmato, con la regia della Confindustria, un accordo separato nel quale le deroghe, che erano state introdotte come una possibilità dell’accordo, vengono rese effettive. Inoltre, oltre a determinare un peggioramento radicale delle condizioni di lavoro, vengono introdotte due clausole, la 14 sulla responsabilità e la 15 sulla integrazione del contratto individuale di lavoro, che troveranno poi la loro forma definitiva nell’ accordo di Pomigliano del 2010, come articoli 8 e 11.

Vale la pena riportarle integralmente, nella loro formula definitiva, perché solo così se ne comprende la portata eversiva di ogni possibile sistema di relazioni industriali:

Dopodiché la successione delle mosse diventa frenetica, il 19 giugno la FIAT registra una new company, si capirà dopo a cosa serve; il 21 settembre 2010 il nuovo accordo dei metalmeccanici, fatto in vigenza del vecchio, viene ulteriormente modificato perché deve poter accogliere le modifiche fatte nell’accordo di Pomigliano, il che avviene attraverso l’introduzione di un punto 4 bis che consente di fare questa operazione.

Il 16 dicembre del 2010 la FIAT si scorpora in due entità FIAT SPA e FIAT industrial, e il 23 dicembre 2010 Marchionne comunica alla Confindustria che la “regia soft”, per la quale la Fiat introduce le modifiche e poi si torna al contratto nazionale per adattralo, è un gioco burocratico, troppo mediterraneo per i suoi gusti, e rompe con la Confindustria. La rottura si traduce nella firma di un accordo separato per le carrozzerie di Mirafiori, in cui si afferma che il contratto è un contratto di primo livello, sostitutivo cioè di qualunque altro contratto nazionale.

Il contratto prevede inoltre una clausola, in versione italiana, analoga a quella del closed shop anglosassone; si può infatti aderire a quel contratto solo se i primi firmatari concordano unanimemente che il nuovo soggetto posso aderire. È una versione italiana poiche in quello originale statunitense bisogna avere conquistato almeno il 50% più uno dei lavoratori; mentre qui si può fare anche si si è una minoranza.

Viene introdotta anche in questo accordo la clausola di responsabilità e si introduce il criterio, poi applicato dappertutto, di riassumere ex novo i lavoratori delle aziende precedenti nelle Newco appositamente costituite. La ragione sta nella modifica, di cui riferivo precedentemente, della norma del Codice Civile, modifica che verrà utilizzata per cercare di giustificare l’ingiustificabile è cioè che quello non è un trasferimento di ramo d’azienda.

Si arriva così al 29 gennaio 2010 momento nel quale la FIAT chiude il cerchio trasformando l’accordo di Pomigliano in “contratto collettivo nazionale di lavoro di Pomigliano”, strutturato proprio come un contratto nazionale con titolo I, titolo II, titolo III, titolo IV, ecc.

Torniamo a puntare l’attenzione sugli articoli 8 e 11 del contratto di Pomigliano del 2010.

Secondo l’articolo 8 il contratto individuale conprende tutte le norme che sono contenute nell’accordo; se quindi, ad esempio, cinque lavoratori, cosa che in Italia sarebbe possibile dato che il diritto di sciopero è un diritto individuale, si organizzano e fanno sciopero perchè non sono d’accordo sul World Class Manufacturing, con la relativa la metrica, che fa parte integrante del contratto, in quel momento essi stanno violando il contratto.

Secondo l’ art. 11 “le parti si danno altresì atto che comportamenti individuali e/o collettivi dei lavoratori idonei a violare in tutto o in parte e in misura significativa le clausole del presente contratto collettivo ovvero a rendere inesigibili i diritti o l’esercizio dei poteri riconosciuti da esso all’azienda facendo venir meno all’interesse aziendale alla permanenza dello scambio contrattuale e inficiando lo spirito che lo anima producono per le aziende gli stessi effetti liberatori di quanto indicato alla precedente parte del presente articolo cioè possono ridurre i loro obblighi contrattuali in proporzione alla gravità della violazione”.

Siamo di fronte a una trasformazione radicale di sistema di relazioni industriali italiano.

Marchionne ha fatto un’operazione molto semplice, ha cioè individuato nel sistema il punto debole: la sua autoreferenzialità, il fatto cioè che il sistema stava in piedi perché le parti si riconoscevano reciprocamente.

Nel momento in cui una delle parti ricusa le altre allora può fare quello che gli pare, non c’è nessuno strumento legislativo che gli possa impedire di farlo. Si può andare in Tribunale perché magari non è stato fatto con la dovuta perizia tecnica, ma nessuno può impedirgli di costituire un nuovo sistema contrattuale di primo livello a livello aziendale; da questo punto di vista la rottura con con la Confindustria era “tecnicamente” necessaria.

Questa scelta della Fiat apre un problema serio perché ovviamente tutto il settore della filiera metalmeccanica, e non, legata all’auto verrà progressivamente sottoposta a questa cura.

Nel 2011 le Confederazioni fanno un accordo unitario con le controparti, un accordo cioè firmato anche dalla CGIL nell’idea che esso possa ridurre l’impatto che questo ciclone aveva prodotto e produrrà sul sistema delle Relazioni Industriali.

Il Ministro del Lavoro del governo Berlusconi, Sacconi, – da considerarsi probabilmente il Ministro più reazionario d’Europa dato che non solo è a favore del capitale ma vuole ricostruire una forma corporativa ottocentesca di integrazione tra le imprese e i lavoratori che superi il conflitto – indispettito da questa situazione che considera pericolosa, fa un’operazione che Umberto Romagnoli ha definito l’arma di distruzione di massa del diritto del lavoro, cioè l’introduzione dell’articolo 8 del decreto legislativo 138, poi trasformato in legge. L’art. 8 consente una cosa che non credo che sia presente in nessun ordinamento europeo, la possibilità cioè di derogare sia tutte le norme contrattuali sia le norme di legge, se c’è un accordo tra un azienda e un sindacato. Non esiste più nessun elemento di riferimento possibile se non che nella volontà delle parti.

A settembre le Organizzazioni Sindacali e la Confindustria dichiarano di non volere utilizzare tale articolo; si tratta di una garanzia endosindacale che ha un limite evidente, dato che l’articolo 8 è parte di una legge. Se quindi uno degli attori, come ha fatto la FIAT, decide di giocare in proprio non c’è nessuna possibilità di impedirglielo.

Si è realizzato quindi un processo di decomposizione del sistema grazie a degli elementi di debolezza rappresentati dall’irrisoltro problema della rappresentanza e dall’autoreferenzialità di un sistema che non aveva un aggancio di tipo legislativo.

Un ulteriore problema è il rapporto democratico con i lavoratori.

La FIAT, fatta la prima mossa a Pomigliano, ha organizzato un referendum. La ragione sta nel fatto che non avendo la garanzia di tutte le parti firmatarie dei precedenti accordi nazionali e aziendali, e non avendo nessun altro punto di riferimento ha bisogno di un principio di legittimazione del nuovo sistema, ad evitare, come avranno suggerito i consiglieri giuridici, di essere classificata la sua mossa come un atto di prepotenza.

La FIAT ha organizzato un referendum pensando di stravincerlo anche sulla base del ricatto occupazionale, avendo chiarito che l’alternativa era la chiusura dello stabilimento. In realtà non stravinse, anzi subì un contraccolpo poiché il livello di disaccordo tra i lavoratori fu molto elevato; come poi accadde per il referendum di Mirafiori.

La FIOM rifiutò di partecipare al referendum poiché ritenne che non si potesse sottoporre a referendum un diritto costituzionale,come il diritto di sciopero, che, in caso di vittoria della FIAT, sarebbe stato modificato di fatto.

Un processo siffatto ha aperto anche una crisi della Confindustria dato che la rappresentanza degli imprenditori subisce una trasformazione nel momento in cui ci sono dei contratti paralleli di primo livello in concorrenza con i contratti nazionali; si apre una situazione di crisi complessiva che i porta al Governo Monti e alla situazione attuale.

* Il testo qui pubblicato è tratto dalla relazione di Francesco Garibaldo al Seminario sullo “Lo stato delle Relazioni Industriali e del Movimento Sindacale nei paesi di più antica industrializzazione” del 13 aprile 2012, organizzato dall’IRES e dalla CGIL dell’Emilia Romagna

Relazione completa:

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