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Contro il capitalismo finanziario

20/02/2012

Per contrastare il capitalismo finanziario, per sua natura instabile, ci vuole intelligenza, democrazia e impegno. Ci vuole la politica

Tutti sembrano tirare un sospiro di sollievo: la borsa va su, lo spread va giù. La crisi si allontana. Non c’è da meravigliarsi, non hanno capito niente, non capiscono e aspettano che tutto riparta come prima. Non si sono accorti, né potevano accorgersi dato gli occhiali che indossavano, che c’è una mutazione nel capitalismo; il capitalismo finanziario non rappresenta una modernizzazione del vecchio capitale, uno di quei vestiti nuovi a cui ci ha abituato in due secoli, ma una modifica delle sue ragioni di essere, mutazione che è stata possibile ed aiutata dalla liberalizzazione del mercato, dalla riduzione di ogni regola, dalla cancellazione di ogni controllo. Tanto, o il “libero mercato” sapeva regolarsi da se stesso e avrebbe prodotto ricchezza per tutti. Se qualcosa andava male, lo Stato pagava.

Pensare che gli “attacchi speculativi” fossero il frutto di una mancanza di fiducia e che guadagnata questa sarebbero cessati è sia una illusione sia l’incomprensione di come questa fiducia è stata guadagnata. È il presidente degli USA, o quello della Repubblica popolare cinse, o la Merkel o lo stesso Monti che dettano il che cosa fare? Sono i grandi monopoli dell’acciaio, dell’auto, della chimica, del petrolio che indicano la strada? O non sono piuttosto la Banca Mondiale, la Banca europea, o la Banca cinese che dicono ai governo cosa fare? Del resto alcune di queste “nobili” istituzioni non hanno scritto lettere, più o meno segrete, al governo Italiano, a quello greco e forse a quello portoghese, e chi sa a quanti altri indicando sacrifici, sacrifici, sacrifici. La Merkel quale autonomia politica esprime rispetto alle banche del suo paese? Monti, il presidente del consiglio del governo italiano, quante volte ha affermato che i provvedimenti che andava prendendo erano necessari perché imposti dall’Europa, leggi Banca europea? La finanza (definizione impersonale) qualche momento di respiro lo concede perché sa, e verifica, di doversi contentare altrimenti rischia di perdere qualcosa. Questo sta avvenendo in Grecia, accordo o fallimento, ci sarà una forte svalutazione dei crediti, anche se la finanza ha avuto tempo per scaricare sui gozzi, un tempo si diceva “parco buoi”, i cattivi titoli greci (qualcuno si ricorda cosa è avvenuto con i titoli argentini o con quelli della Parmalat?).

La fiducia è stata guadagnata dall’Italia con il rastrellamento di risorse fatto dal governo sulle spalle dei cittadini (i lavoratori, i pensionati, ecc.) per trasferirli, direttamente o indirettamente, alla finanza. Questa ci premia con qualche gradino in meno dello spread; ma fino a quando? Questo è difficile dirlo, ma sicuramente a tempo, per avanzare qualche nuova richiesta di rastrellamento.

Quello che sta avvenendo in Grecia, è un caso di genere, al capitalismo finanziario non interessa il popolo o i lavoratori, o meglio gli interessa per tosarli, è sempre alla ricerca di nuove possibilità di fare soldi con soldi. Pane, scarpe, sigarette, auto, matite, ecc. non gli interessano, non è con la produzione di merci e servizi che guadagna, ma nel gioco perverso del denaro che compra denaro e che guadagna denaro. I derivati impazzano, si inventano nuovi “strumenti” finanziari, così la Deutsche Bank, ha inventato un nuovo bond con il quale si “scommette”, questo è il termine esatto, sulla durata della vita di cinquecento cittadini americani di età compresa tra 72 e 85 anni. Prima muoiono più guadagnano gli investitori. Pare che sia giudicato un bond non etico, ma era etico scommettere sui mutui dei lavoratori?

Il capitale finanziario è per sua natura instabile, senza terra e senza patria, pronto a cogliere occasioni di spoliazione, ed esso stesso creatore di occasioni per spogliare i popoli. Quelle che sembrano i segnali della fine della crisi, sono solo fuochi fatui, la crisi attanaglia tutto il mondo perché il mondo è finito tutto in potere del capitale finanziario. La letteratura a questo proposito è ampia e documentata: solo i politici non la leggono o non la vogliono capire.

Se si volesse affrontare la questione dell’instabilità del sistema e del suo stato permanete di crisi il nodo da affrontare è quello del capitalismo finanziario. Ma non c’è sa sperare dalle riunioni dei “grandi del mondo” (8, 16, 22, ecc.) che non riescono a mettersi d’accordo neanche su una modesta, molto modesta imposta sulle transazioni finanziarie (quelle regolari e ufficiali, cioè solo una parte). Affrontare il sistema non è questione delegabile, non si tratta infatti di un “ritorno” al passato, magari con un po’ di politica keynesiana, che sarebbe pur utile ma che non si vede, lo Stato i soldi li spende solo per le banche, ma di una trasformazione che superi, inizia a superare il sistema (in avanti). E se il capitalismo finanziario è mondiale non è detto che non possa essere combattuto localmente. Ci vuole intelligenza, capacità politica, democrazia e impegno, cioè ci vuole la politica. Detto così capisco che tutti siamo presi, in Italia, ma non solo, da scoramento, ma non è detto, e comunque tentare si deve, non c’è altra strada. Per questo ci vuole anche Il Manifesto, diamoci da fare.

 

 

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