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Che cosa si potrebbe fare all’Ilva di Taranto

11/11/2012

Dietro la questione ambientale dell’Ilva a Taranto, quali sono le condizioni economiche e finanziarie del gruppo Riva Fire Ilva, che prospettive ha l’azienda? Un’anticipazione dello studio sull’Ilva realizzato da Sbilanciamoci! per la Fiom nazionale

Il caso Ilva è in genere presentato dai media come la contrapposizione tra le ragioni dell’occupazione – sono in ballo decine di migliaia di posti di lavoro tra dipendenti diretti e indiretti – e quelle della tutela ambientale. Abbiamo così assistito allo spettacolo di alcuni sindacati che sono arrivati a scioperare contro la magistratura e a continue manovre di disturbo da parte dell’azienda e dello stesso governo nei confronti dei magistrati. In realtà quello della Riva Fire-Ilva è un caso abbastanza esemplare dell’incapacità delle nostre classi dirigenti, a livello economico come a quello politico, ad adattarsi a un mondo in profondo mutamento.

La situazione del gruppo

La società Ilva fa parte del gruppo Riva Fire, di cui costituisce la principale realtà industriale: il fatturato della società di Taranto si aggira più o meno sul 60% di quello totale del gruppo. L’insieme è controllato dal punto di vista azionario dalla famiglia Riva attraverso alcune finanziarie per lo più collocate in Lussemburgo e in Olanda.

La Riva Fire è tra le principali realtà dell’acciaio europeo, potendo essere collocata al terzo-quarto posto come dimensioni del fatturato tra le società del continente, mentre essa è solo al ventitreesimo posto nel settore a livello mondiale, rappresentando quindi, alla fine, una realtà trascurabile in un mercato dominato dalla Cina, che produce attualmente circa il 45% di tutto l’acciaio mondiale e comunque dai grandi gruppi asiatici.

Il fatturato del gruppo, che è crollato nel 2009 in seguito alla crisi, per poi riprendersi negli anni successivi senza raggiungere peraltro più i livelli precedenti, appare molto concentrato sull’Italia (più del 67% del totale) e inesistente al di fuori del continente europeo. Sempre in relazione alla crisi, gli investimenti del gruppo sono fortemente diminuiti negli ultimi anni. Lo stesso gruppo ha negli anni recenti subito diversi procedimenti giudiziari sia per quanto riguarda la gestione della manodopera che i problemi ambientali.

L’industria siderurgica mondiale si trova oggi stretta tra l’eccesso di offerta, che comprime i prezzi di vendita, e l’estrema volatilità dei prezzi delle materie prime. I grandi gruppi, ma non la Riva Fire, hanno reagito a tale situazione avviando strategie di integrazione verticale, di diversificazione geografica, di riduzione dei costi. La situazione del mercato è particolarmente critica in Europa, dove tutti i principali produttori tendono in questo momento a mostrare perdite più o meno consistenti. L’industria italiana, di cui la Riva Fire costituisce la principale realtà, appare particolarmente debole, tanto è vero che continuano a crescere le importazioni e il gruppo in particolare sta perdendo quote di mercato, mentre più in generale la sua situazione strategica, organizzativa, economica, finanziaria, appare molto fragile.

L’andamento economico della società registrava profitti importanti sino al 2007-2008, poi le cose peggiorano fortemente e dal 2009 si manifestano perdite più o meno rilevanti a livello della gestione, mentre anche le prospettive per il 2013, per l’Ilva come per le altre realtà italiane, appaiono ancora negative.

All’interno di tale quadro un’analisi della sola Ilva mostra in genere risultati sia economici che finanziari della società peggiori di quelli medi del gruppo.

Che cosa bisognerebbe fare

Il problema ambientale è di fondamentale importanza, ma occorre tener presente che l’impianto richiederebbe un totale rinnovo, in quanto molte sue parti ( come la cokeria e due dei quattro alto forni) hanno superato da tempo la vita tecnica utile. L’intervento della magistratura ha anticipato e concentrato un investimento che andava comunque fatto se si voleva dare all’Ilva di Taranto una prospettiva di medio/lungo termine. Non è vero che si deve investire solo per l’ambiente, così come è falso il luogo comune che gli impianti siderurgici siano per forza inquinanti. Sono già oggi disponibili tecnologie ormai mature, adottate da impianti concorrenti, che permettono di ridurre in modo significativo i livelli di inquinamento.

Gli investimenti richiesti dall’adeguamento degli impianti di Taranto possono essere stimati, sia pure in maniera grossolana, intorno ai 3-3,5 miliardi di euro, distribuiti nell’arco di alcuni anni. Di questi solo una parte è esclusivamente di tipo ambientale, in quanto la quota più rilevante (come il rifacimento della cokeria e degli altiforni) permetterebbe anche di migliorare la competitività complessiva dello stabilimento, assicurandogli una prospettiva di lungo periodo.

Il problema di Ilva non è solo impiantistico e ambientale. L’analisi del posizionamento rivela un’azienda fragile sotto il profilo organizzativo e commerciale, se comparata con i grandi gruppi concorrenti. Mancano inoltre le risorse finanziarie. La capacità di copertura finanziaria interna al gruppo di tali investimenti, in assenza di aumenti di capitale, può essere stimata in effetti, sempre grossolanamente, intorno a poco più di 1 miliardo di euro nell’arco di quattro anni. Questo senza tenere conto di possibili e plausibili ulteriori cattive notizie sul fronte della gestione economica, sia in relazione alla crisi del settore che ai problemi tecnici della ristrutturazione.

Sembra a questo punto evidente che, data la difficoltà di reperire risorse finanziarie adeguate e l’apparente scarsa capacità di affrontare da soli un mercato sempre più competitivo, sia necessario l’ingresso nel gruppo di nuovi azionisti, contemplando anche la possibilità di utilizzare il Fondo Strategico della Cassa Depositi e Prestiti.

Il recente documento del Ministero dell’Ambiente del 12 ottobre 2012, anche se non collima perfettamente con la posizione della magistratura, è una buona base di partenza per un piano di risanamento ambientale, ma è indispensabile che il governo non dia spazio a ulteriori slittamenti da parte dell’azienda, rigettando duramente anche eventuali ricatti di carattere occupazionale. Ma senza un piano sviluppo più complessivo, che ridefinisca l’assetto organizzativo e societario di Ilva Taranto così come indichi le fonti di finanziamento per sostenere gli investimenti, è difficile pensare di uscire dall’attuale situazione. Al Gruppo Riva Fire toccherebbe predisporre questo piano di sviluppo, ma, se non lo facesse, lo faccia senza indugio il governo, non delegando al Ministero dell’Ambiente un ruolo che deve essere svolto in prima persona dal Presidente del Consiglio e dal Ministero dello Sviluppo Economico. Non bisogna nascondersi dietro alle questioni ambientali e non si può essere latitanti di fronte a questioni che riguardano il futuro del settore siderurgico italiano e del territorio tarantino.

La riproduzione di questo articolo è autorizzata a condizione che sia citata la fonte: old.sbilanciamoci.info.
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Commenti

ancora sull'Ilva

concordo sostanzialmente con quanto affermato, oltre che da Riccardo Colombo, anche da Salvatore Romeo. Voglio in questa sede solo sottolineare come nel nostro studio siano tra l'altro analizzati, con una certa cura e basandoci sulle fonti più attendibili, gli andamenti del mercato mondiale, europeo e italiano del settore e come le nostre conclusioni derivino anche da tale analisi. Lo studio completo dovrebbe essere pubblicato tra qualche mese-i tempi editoriali sono abbastanza lunghi. A parziale integrazione poi delle cose dette da Colombo vorrei ricordare che anche i forni elettrici, che io sappia, inquinano e come, del resto di nuovo come sottolineato da Romeo, la situazione italiana sia squilibrata, rispetto a quella degli altri paesi europei, proprio per una molto maggiore presenza di forni elettrici (60% a 40% in Italia, contro 40% a 60% altrove).

L'ILVA e il sistema produttivo italiano

Il contributo ha l'indubbio merito di aprire una crepa nel dibattito sul destino del più grande siderurgico d'Europa. Personalmente concordo con l'impostazione degli autori; intervengo solo per discutere alcuni punti.

1) Credo che la proposta del prof. Nebbia sia non solo condivisibile, ma dovrebbe diventare un punto programmatico per le forze sindacali e politiche che abbiano a cuore la questione. Mi permetto di ricordare che i passaggi decisivi della siderurgia pubblica italiana (inclusa la decisione di costruire, prima, e raddoppiare, dopo, lo stabilimento siderurgico di Taranto) vennero assunte a seguito di approfondimenti tecnico-scientifici che vertevano proprio sui temi che il professore richiama (lo statuto dell'IRI prevedeva la costituzione di Comitati Tecnici Consultivi per affrontare questioni strategiche per le aziende dell'Istituto). La siderurgia è un settore che, per la sua importanza nell'economia complessiva di un paese e per l'integrazione globale del mercato dell'acciaio, richiede uno studio approfondito e il più ampio possibile. Occorre sondare le capacità produttive disponibili - per potenza e qualità - e i piani di investimento che saranno attuati nei prossimi anni su scala globale; la tendenza del consumo d'acciaio nei diversi comparti che lo compongono; lo stato dell'arte in ambito tecnologico.

2) Con ogni probabilità questo studio farebbe emergere una situazione di sovracapacità abbastanza grave. La crisi in Europa ha duramente colpito le produzioni grandi consumatrici d'acciaio, al punto che importantissimi operatori (si pensi ad Arcelor Mittal) stanno ridimensionando le rispettive capacità e concentrando le attività negli stabilimenti più efficienti. La contrazione del mercato è particolarmente evidente in Italia, dove alcuni grandi consumatori di laminati (si pensi all'industria degli autoveicoli) stanno semplicemente scomparendo. Una situazione sotto certi aspetti analoga si manifestò in Europa all'inizio degli anni '80 e si concluse con una ristrutturazione del settore "governata" dalle autorità comunitarie (in primo luogo, l'Alta Autorità CECA) e dai governi dei paesi membri. Oggi non esiste un quadro istituzionale come quello in vigore all'epoca: la sola forza in grado di decretare la chiusura o il potenziamento di uno stabilimento o di un'azienda è il mercato. Alla luce di ciò, la grande siderurgia italiana (di cui l'ILVA è l'ultima erede), dipendente com'è da un mercato interno in via di sottosviluppo e pressata da una concorrenza internazionale sempre più intensa, sarebbe destinata a un inevitabile cupio dissolvi - o, quanto meno, a un drastico ridimensionamento.Si tratterebbe di un danno tale da modificare irreversibilmente la storia economica del paese (come quando, a partire dalla fine del Cinquecento, le regioni italiani iniziarono a vedere diradarsi progressivamente le rispettive manifatture).

3) E' necessario domandarsi a questo punto se vogliamo andare incontro a una "deindustrializzazione a tappe forzate" come quella che si prospetterebbe qualora alla crisi delle produzioni di beni di consumo durevole seguisse quella delle industrie di base. Per risolvere questa questione in termini positivi occorre mettere in discussione "la nostra obsoleta mentalità di mercato". Come? Questo sito quasi quotidianamente avanza proposte in questo senso. Sarebbero necessari, in particolare, piani di investimento in settori che non solo alimentino la ripresa, ma migliorino la qualità del sistema produttivo italiano. Un ampio piano per la mobilità sostenibile o per le energie rinnovabili indurrebbero a loro volta una certa domanda di acciaio, sulla base della quale andare a calcolare il fabbisogno complessivo di quel materiale - e quindi le capacità produttive necessarie. Detti piani richiederebbero inevitabilmente politiche industriali attive.

4) Nella ristrutturazione della siderurgia italiana un impianto come Taranto avrebbe ancora ragione di esistere? A ben vedere, il nostro è il solo paese grande produttore di acciaio (ad eccezione degli USA) in cui prevale l'uso del forno elettrico. Questo accade in un contesto in cui il prezzo dell'elettricità è fra i più alti. Chiudere l'ultimo grande stabilimento a ciclo integrale (la capacità di Piombino è circa un decimo di quella del siderurgico ionico, per non parlare di Servola) significherebbe alimentare questa strozzatura. Piuttosto sarebbe auspicabile un suo radicale rinnovamento, non solo nella sua componente più pericolosa per la vita umana (la cosiddetta "area a caldo"), ma anche "a valle" del processo, al fine di ottenere prodotti di elevata qualità abbattendo i costi di produzione. A questo proposito val la pena ricordare che l'Italia è il luogo dove è stata inventata, sperimentata e quindi applicata l'ultima grande innovazione nel campo della laminazione (il processo "endless" di Arvedi).

L'ammodernamento del siderurgico ionico è dunque un tassello di una più ampia politica industriale che oggi risulta quanto mai urgente.

Una risposta ai commenti

L'articolo ha sollevato numerosi commenti, ai quali vorrei dare una risposta, come uno degli autori, insieme a Vincenzo Comito. Mi soffermo sulle obiezioni più rilevanti:

non avete riportato i dati sulla mortalità e sulle malattie, conseguenti all'inquinamento prodotto dallo stabilimento. Si era a conoscenza di questi dati, ma si è deciso di non menzionarli, in primo luogo perché già noti e poi perché la finalità dell'articolo era quella di cercare di fare un passo avanti, nell'idea che sia possibile produrre in modo compatibile con l'ambiente e la salute. Occorre rompere la dicotomia ambiente e industria che fa solo in gioco di chi non vuole intervenire;

non esistono tecnologie che riducono le emissioni di un impianto siderurgico a livello accettabile. Dissento su questa affermazione, in quanto esistono già soluzioni disponibili e funzionanti ed altre in fase di industrializzazione nel breve e medio periodo. Ed è proprio alla luce di queste soluzioni che le responsabilità di Riva sono ancora più gravi, in quanto non è la siderurgia ad inquinare ma è la sua strategia di gestione e di investimento a farlo;

si potrebbe chiudere l'area a caldo ( cokeria e alto forni) e mantenere solo l'area a freddo ( laminazione), Tecnicamente è possibile, lo si è fatto per Cornigliano ( che si rifornisce però da Taranto), ma si avrebbe una riduzione significativa dell'occupazione e occorre verificare se è possibile e realistico per un produttore siderurgico acquistare semilavorati dai concorrenti. Ho i miei dubbi;

il documento del governo del 12 ottobre è pessimo in quanto prevede, tra l'altro, di intervenire sul parco materiali non subito ma nei prossimi tre anni. Ora il documento del Ministero dell'Ambiente presenta un aspetto negativo ed uno positivo. Quello negativo consiste, appunto, nell'accettare la gradualità richiesta da Riva, in contrasto con quanto imposto dalla magistratura. In realtà, se si analizza il piano di adeguamento, si nota come il documento del governo preveda da subito il rifacimento delle batterie più critiche della cokeria, interventi sull'impianto di agglomerato, la copertura del parco minerali e la fermata dell'alto forno 1: si tratta delle principali fonti di inquinamento ( insieme con il convertitore all'acciaieria di cui stranamente non si parla). E' vero che si sposta al 2014 il rifacimento dell'alto forno 5, ma mi sembra un punto che si potrebbe realisticamente rivedere, tenendo conto che l'azienda con i due alto forni in regola è in grado di produrre comunque 5-6 milioni di tonnellate ( sugli 8 del 2011). L'aspetto positivo riguarda la prescrizione di rispettare " da subito" le BAT Emissions, previste dall'Unione Europea per il 2016. Alla luce di quest'ultimo obbligo e dell'analisi del piano di adeguamento ritengo che il documento del governo sia un buon punto di partenza;

fare intervenire il fondo strategico della Cassa Depositi e Prestiti significa coinvolgere il pubblico, che è inefficiente e corrotto. Per intervenire sull'Ilva c'è bisogno di molti soldi, perché non li dovrebbe mettere la Cassa Depositi e Prestiti ? Almeno li investirebbe per salvare l'occupazione, risanare e sviluppare un importante sito produttivo al Sud.

Acciaio Ilva

Trovo sorprendenti il tono e lo stile di quest’anticipazione, trattandosi di “Sbilanciamoci!”: potrebbe essere un articolo del “Sole24ore”, anche per l’implicito elogio di Clini e dell’AIA (“il documento del 12 ottobre 2012”), che rimanda al 2015 la copertura del parco minerali . D’accordo, si tratta di uno studio tecnico, ma qualche considerazione meno gelida ed en passant sul disastro ambientale, la distruzione di un intero ecosistema, l’uccisione d’ogni prospettiva di sviluppo del turismo marittimo e culturale, le sofferenze, le malattie, le morti inflitte alla popolazione sarebbe stata opportuna, o no?
I due autori hanno letto i dati drammatici del rapporto “Sentieri”? O almeno la risoluzione della Commissione parlamentare ecomafie?
Per decenni la popolazione tarantina ha dovuto piegare la testa di fronte al ricatto dell’occupazione in cambio della salute, del salario al costo della vita. Adesso che ha trovato il coraggio di respingere il ricatto, alzare la voce e ribellarsi, è accettabile che non vada consultata attraverso le associazioni e i comitati che la rappresentano?

cosa fare all'ILVA

L'impostazione dello studio, se ne ho capito l'orientamento, non offre spunti per una via di uscita dal dilemma. Mi sembra che esso sia già indietro rispetto alla realtà poiché, date le condizioni dell'ILVA e la necessaria applicazione della decisione della magistratura, occorre innanzitutto dire che cosa si deve impedire di fare all'ILVA. Non deve andare via (poiché questa mi sembra l'ovvia soluzione proposta dall'azienda se non si cede al suo ricatto) senza che essa metta dei capitali per avviare la bonifica; e poi, il lavoro non è un valore fine a se stesso; la città di Taranto, le famiglie, tutti gli altri cittadini non devono contare mai, se il lavoro che si vuole mantenere li danneggia? Che una proposta per il sindacato non metta in primo piano questo aspetto e non valorizzi anche in un ambito tecnico-economico le potenzialità che la vicenda ha sviluppato mi sembra poco costruttivo. Non ci si può mettere sullo stesso piano dell’AIA di Clini, che prescinde dalle valutazioni sociali. Se il sindacato vuole dare gambe ad una alternativa, non lo può fare prescindendo dalle contraddizioni che la vicenda ha creato al suo interno e con la società civile. Quindi, se si deve offrire un terreno “tecnico” alle forze sindacali, lo si deve fare per risolvere queste contraddizioni, senza la cui soluzione non si uscirà dal dilemma ed in ultima analisi, dalla vittoria del più forte , cioè dell’azienda.

Classe dirigente Statale.

Dare allo Stato la gestione Ilva..?
Ma se la classe dirigente dello Stato è messa peggio di quella privata!
Non siamo come i francesi che hanno scuole dedicate alla dirigenza nella PA e sfornano dirigenti di livello.
Da noi c'è "mi manda picone".
Non sprechiamo soldi dei lavoratori e non prendiamoli per il culo.
Se il sindacato non si pone il problema della classe dirigente delle industrie statali e delle imprese pubbliche, saremo sempre gestiti da azzeccagarbugli e fare assistenzialismo.

Un passo avanti

Premesso quanto sopra, va aperto un dibattito su che cosa fare. Continuare a produrre acciaio, col ciclo integrale (coke, altoforno, convertitore, partendo da minerale, carbone, calcare) ? Produrre acciaio dal rottame ? con carbone ? con energia elettrica ? Con quale effetto ambientale (fumi, scorie) di ciascuna alternativa ? Quale qualità di acciaio ? Le alternative sono tante, investendo denaro sia privato sia pubblico, ma resta il problema di che cosa fare dell'acciaio nell'attuale mercato mondiale ? Occorrono informazioni sia tecniche, sia economiche, previsioni di mercato sulla base di statistiche internazionali. A mio modesto parere, l'affrontare queste domande e cercare ragionevoli risposte sarebbe la vera sfida di Taranto.

30 decessi/anno

Scusate l'errore di battitura: 30 decessi/anno per inquinamento industriale.

AIA Ilva

Se per documento del 12 ottobre ci si riferisce all'AIA per l'Ilva, allora non credo proprio che si possa considerare un buon documento. Prevede la copertura del parco minerali fra 3 anni. Assurdo. La magistratura dice stop inquinamento subito. Ci sono 20 decessi/anno per inquinamento industriale a Taranto.

Acciaio. Che cosa si potrebbe fare all’Ilva di Taranto

Intanto una piccolacontradizione quando si afferma che :
"è falso il luogo comune che gli impianti siderurgici siano per forza inquinanti. Sono già oggi disponibili tecnologie ormai mature, adottate da impianti concorrenti, che permettono di ridurre in modo significativo i livelli di inquinamento."
Appunto sistemi che abbattono, ma non eliminano. E inoltre tecnologie giàmature. Infatti i sistemi Meros, o Finex o Corex , le tecniche più avanzate hanno intorno ai dieci anni di vita.Già obsolete prma ancora di nascere a Taranto. E allora? E' inutile girare intorno.L'area a caldoa Taranto va rasa alsuole e recuperare e bonificare quell 'area.
Le bramme , materi aprima per rifornire l'area a freddo si importano dall'estero.Brasile, Turchia, Corea come attualmente già fa Riva.
L'alternativa e costruire impianti a recupero del rottame di ferro. Convertitori elettrici Martin Siemens che consentono, fra l'altro di produrre acciaio di qualità e rcuperare i rottami di ferro che inquinano le nostre discariche.
E' assurdo pensare di prdurre altro acciaio quando il mondo è pieno di rottami di ferro.
Lopotrà fare Riva? Assolutamente no, Sia per i livelli di investimenti sia per volontà.
llora tocca allo Stato , se veramente crede che la siderurgi è strategica per il nostro paese allora che si facciano investimenti e che si ridia quei terreni bonificati ai cittadini Tarentini, in modo da rocostruire pascoli, terreni agricoli distrutti in tutti questi anni dalla siderurgia.