Home / Sezioni / alter / Superare la crisi in retromarcia?

facebook-link twitter-link

Newsletter

Registrati alla newsletter di sbilanciamoci.info

Sezioni

Ultimi articoli nella sezione

08/12/2015
COP21, secondo round
di Lorenzo Ciccarese
03/12/2015
Lavoro, la fotografia impietosa dell'Istat
di Marta Fana
01/12/2015
La crisi dell’università italiana
di Francesco Sinopoli
01/12/2015
Parigi, una guerra a pezzi
di Emilio Molinari
01/12/2015
Non ho l'età
di Loris Campetti
30/11/2015
La sfida del clima
di Gianni Silvestrini
30/11/2015
Il governo Renzi "salva" quattro istituti di credito
di Vincenzo Comito

Superare la crisi in retromarcia?

29/05/2009

La crisi dell'auto come paradigma: un set di interventi senza proposte innovative. Eppure si era detto che questa crisi metteva in discussione logiche e assetti del capitalismo

Ci sono aspetti nella vicenda auto-Fiat che sembra opportuno evidenziare in quanto rischiano altrimenti di rimanere sommersi dalle pur rilevanti analisi relative alle vicende occupazionali, ai ruoli competitivi dei vari operatori industriali, ecc.

Le connessioni del sistema auto con le vicende della crisi economica internazionale, in particolare con la dimensione statunitense di questa crisi, con le vicende ambientali che la nuova amministrazione statunitense sembra voler affrontare, hanno accentuato e accelerato una questione preesistente relativa all’esistenza di economie di scala che richiedevano, per essere utilizzate, una dimensione critica intorno ad alcuni milioni di vetture all’anno. Queste dimensioni critiche non erano raggiungibili programmando lo sviluppo di una domanda ormai prevalentemente di sostituzione, ma attraverso un processo di incorporazione/riduzione del numero delle imprese e, quindi, di riduzione delle risorse e in particolare dell’occupazione, poiché gli aumenti della produttività avrebbero potuto essere sufficienti se non eccessivi per fronteggiare quella domanda di sostituzione. L’esistenza di potenziali mercati della domande ancora escluse o marginali – basti pensare all’Africa – non cambia in nulla la riflessione strategica degli operatori.

Questi obiettivi competitivi erano noti a tutti e chi per primo avesse trovato una risposta avrebbe avuto degli evidenti vantaggi a scapito degli altri.

Gli elementi generali di questa situazione – potenzialità produttive mondiali tali di incontrare limiti da saturazione della domanda – anche se resi complessi dai processi di sviluppo tecnologico che rendono incerte le stesse analisi sulla saturazione – sono in effetti molto più ampli di quanto possa emergere dalla vicenda “auto”. Probabilmente il settore agroalimentare potrebbe offrire spunti non marginali, coperti dal paradosso dell’esistenza della fame nel mondo. In definitiva l’esistenza di fabbisogni, anche essenziali, non soddisfatti, non deriva necessariamente da un andamento insufficiente della crescita economica e della offerta, ma potrebbe dipendere anche da una cattiva distribuzione non tanto locale quanto a dimensioni mondiali. Naturalmente queste disfunzioni lette alla luce delle leggi del libero mercato trovano una loro soluzione grazie alle virtù miracolistiche della mano invisibile. E naturalmente tra queste soluzioni ci sta’ anche, nel caso attuale dell’auto, una riduzione dell’occupazione che secondo la terapia Marchionne potrebbero essere di 10.000 unità. E non c’è nessuno che propone una terapia con 10.000 assunzioni o di trasformare quell’eccesso di occupazione in un eccesso degli orari di lavoro. Peraltro l’idea di sviluppare l’occupazione su altre produzioni, meno negative dal punto di vista ambientale, non si vede perché debbano vivere in funzione della crisi dell’auto.

Si è parlato, non senza ragioni, della crisi economica in corso come di un evento che metteva in discussione gli attuali assetti e le attuali logiche di sviluppo del sistema capitalistico. I tentativi - peraltro in corso – di superare questa crisi tornando più o meno al punto di prima, hanno un alleato formidabile nei ritardi con cui ci si accorge dei problemi e delle possibili soluzioni. Se le alternative non devono essere delle avventure, si devono muovere entro una serie di vicoli, di urgenze e di interessi precostituiti e, dall’altro, scontando l’assenza di strumenti, la mancanza di analisi, la debolezza dei consensi necessari per soluzioni di effettivo cambiamento.

I ritardi di elaborazione, di analisi, in definitiva di una politica riformatrice sono, in sostanza, i migliori alleati della conservazione. In questa situazione la sinistra in genere si rifugia nella “difesa” dell’esistente, che è una condizione molto debole; serve per salvare la faccia e forse l’anima, ma non la sostanza e, tanto meno, un “progetto” alternativo.

La riproduzione di questo articolo è autorizzata a condizione che sia citata la fonte: old.sbilanciamoci.info.
Vuoi contribuire a sbilanciamoci.info? Clicca qui

Commenti