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Spese militari ancora in crescita. Il Rapporto Sipri sul 2008

10/06/2009

I dati annuali provenienti dal SIPRI (che ha appena pubblicato a Stoccolma il suo annuario relativo alla situazione nel 2008) confermano il trend degli ultimi tempi: spese militari e vendite di armamenti continuano a crescere in maniera indisturbata, nonostante la crisi.

 

Le spese militari globali, in particolare, hanno totalizzato un nuovo record raggiungendo l'impressionante cifra di 1464 miliardi di dollari (il 2,4% circa del prodotto interno lordo mondiale). Va ricordato come solo alla fine del decennio scorso ci si attestava appena sotto i 1000 miliardi di dollari: la crescita dal 1999 ad oggi è stata del 45% mentre l'incremento dal 2007 al 2008 si è attestato sul 4%. Contemporaneamente, un automatismo abbastanza prevedibile, anche la produzione di armamenti è andata crescendo e nel 2007 la vendita complessiva delle 100 maggiori industrie a produzione militare ha raggiunto i 347 miliardi di dollari. Tra le aziende in testa alla lista dei maggiori produttori troviamo i "volti noti" Boeing, BAE Systems e Lockheed Martin, con l'italiana Finmeccanica che si piazza ancora tra le prime dieci aziende. Da notare come le prime 20 industrie della classifica siano tutte Statunitensi o Europee.

 

Tornando invece alle spese dei governi nei settori della difesa e del militare ritroviamo come sempre gli Stati Uniti a fare la parte del leone non solo in termini assoluti (il 41,5% della spesa complessiva) ma anche per quanto riguarda l'incremento: tra il 1999 e il 2008 il 58% di tutto l'incremento di spesa mondiale era targato "stelle e strisce". In termini assoluti ciò significa che gli USA mettono sul piatto ogni anno 219 miliardi di dollari in più di quanto facevano nel 1999. A ruota arrivano poi Cina e Russia che con un incremento assoluto di 42 miliardi e 24 miliardi di dollari rispettivamente hanno circa triplicato la loro spesa militare nell'ultimo decennio. Non a caso nel 2008 la Cina si è piazzata per la prima volta al secondo posto tra gli stati spendaccioni nel comparto militare superando con il prioprio 5,8% (equivalente a 85 miliardi di dollari) il 4,5% totalizzato sia da Francia che da Gran Bretagna. Anche il nostro paese "si difende" superando i 40 miliardi di dollari di spesa che corrispondono al 2,8% di tutta la spesa militare mondiale.

 

"L'idea della cosiddetta Guerra al Terrore ha negli ultimi anni spinto molti stati a vedere i propri problemi di sicurezza attraverso una lente molto militarizzata, usando questa percezione per giustificare un abnorme spesa militare" ha dichiarato Sam Perlo-Freeman capo del progetto sulle spese militari all'istituto svedese "senza dimenticare come i conflitti in Iraq e in Afghanistan sono costati solo agli Stati Uniti ulteriori 903 miliardi di dollari di spesa".

 

 

 

Il comparto sembra quindi non subire i venti della crisi che hanno spazzato l'economia durante il 2008. L'immensa mole di denaro confluita nell'ambito militare e di difesa è ovviamente drenata da altri possibili utilizzi di natura sociale che sicuramente avrebbero un maggiore impatto sia sulla condizione delle popolazioni (basti pensare ai soldi comunque spesi anche in zone problematiche, come l'Africa dove si superano i 20 miliardi) sia per la rivitalizzazione dell'economia reale mondiale messa a dura prova dalla crisi. Gli usi alternativi di questi fondi potebbero essere i più diversi ma i governi paiono ancora una volta concentrarsi sulle spese più politicamente giustificabili e, soprattutto, più piegabili a gestione di potenza e di interessi.

 

Alcuni segnali però di pressione sugli stati su questo punto sembrano crescere ed alcuni Governi (amministrazione Obama in testa) sembrano indirizzati verso altre scelte, che contemplino nuovi indirizzi di spesa del denaro pubblico. Senza considerare che il rallentamento dell'economia, e le necessità di intervento statale a sostegno di molti comparti in difficoltà (le banche, l'automobile) ridurranno per forza di cose i fondi a disposizione anche in ambito militare.

 

Un'opportunità per ripensare radicalmente un modello che non solo si è rivelato economicamente problematico (i grossi investimenti di questo decennio non hanno fatto crescere in maniera sensibile le competenze tecniche ed hanno visto anche una riduzione di occupazione) anche se vantaggioso per gruppi di potere e di interesse, ma anche debole e impotente di fronte alle sfide di sicurezza che il Terzo Millennio ha messo dirompentemente sulla scena mondiale e sociale in tutti i paesi.