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Il QE di Draghi: tanto rumore per nulla?

04/02/2015

Su un punto esperti e commentatori si sono trovati d'accordo. La questione non è tanto se fare o no il Quantitative Easing o meno ma come lo si fa. Tutti i dettagli del programma

Infuria il dibattitto sul programma di quantitative easing (esteso ai titoli di stato) annunciato da Draghi il 22 gennaio. Su un punto esperti e commentatori si sono trovati pressoché tutti d’accordo: la questione non è tanto se fare il QE o meno – meglio farlo che non farlo –, ma come lo si fa. E infatti il dibattito riguarda più i dettagli del programma che l’acquisto di titoli di stato di sé. Vediamo allora quali sono gli aspetti salienti – e più discussi – del piano Draghi:

La durata:

Draghi ha dichiarato che il piano di acquisto titoli partirà a marzo e proseguirà fino a settembre 2016 e comunque fino a quando l’inflazione non tornerà a livelli ritenuti coerenti con gli obiettivi della Bce. Il fatto che il presidente della Bce abbia esplicitamente legato il piano all’obiettivo inflazionistico della banca centrale è stato accolto positivamente da quasi tutti i commentatori, in quanto questo offre a Draghi un ampio margine di manovra per portare avanti il programma per tutta la durata che ritiene necessario. Allo stesso tempo, scrive Wolfgang Münchau, è importare notare che Draghi è stato attento a non fissare l’obiettivo in termini di tasso inflazionistico ma di “andamento dell’inflazione”, il che vuol dire che il numero uno della Bce potrebbe porre fine al programma anche se l’obbiettivo inflazionistico della Bce di “poco meno del 2%” non risultasse raggiunto a settembre 2016.

E comunque il problema è un altro, scrivono Emiliano Brancaccio e Giuseppe Fontana: ossia che l’obiettivo è appunto quello di riportare l’inflazione in prossimità del target del 2%, non di favorire la crescita e l’occupazione o di ottenere maggiore stabilità finanziaria:

Il problema è che anche una eventuale convergenza verso il primo obiettivo non implicherebbe automaticamente il conseguimento degli altri due… Stando alla Bce, il QE “funzionerà” se riuscirà a condurre l’inflazione attesa ed effettiva verso l’obiettivo prefissato, indipendentemente da ciò che potrà accadere al tasso di crescita o al tasso di occupazione dell’eurozona. Questo non è esattamente ciò che tanti in Europa sperano quando pensano a una politica macroeconomica di successo per l’eurozona.

La tipologia di titoli:

La Bce acquisterà titoli di stato con scadenza fra i 2 e i 30 anni, senza limitarsi ai titoli con scadenza inferiore ai 10 anni, come temevano in molti. Anche questo è stato giudicato positivamente dai più. “Questo avrà una ricaduta sulla curva dei rendimenti di tutte le tipologie di titoli (e non solo di quelli relativamente a breve termine), facilitando il finanziamento anche di progetti a lungo termine come quelli di carattere infrastrutturale”, scrive Münchau.

Più preoccupante, invece, il fatto che la Bce abbia limitato l’acquisto solo ai titoli con rating investment grade. Commenta Carlo Clericetti su Repubblica:

Ora, bisogna ricordare che l’attuale valutazione dei titoli pubblici italiani è appena un piccolo gradino sopra questa valutazione. Se le agenzie di rating – cioè società private che nulla hanno a che vedere con le istituzioni europee e le cui valutazioni sono largamente inattendibili, come più volte la storia ha dimostrato – decideranno di farci scendere quel gradino, la Bce non acquisterà più i nostri titoli, se non ad una condizione: che cioè l’Italia accetti il famoso “commissariamento”, impegnandosi a un programma concordato (ma forse sarebbe meglio dire imposto) dalla troika che controllerebbe la sua esecuzione passo dopo passo. Una decisione, quindi, che ci affida alle screditate analisi di quelle agenzie di rating che lo stesso Draghi, quando era presidente del Financial Stability Board, invitava a non considerare di valore ufficiale.

Le dimensioni del programma:

Il piano prevede acquisti per 60 miliardi di euro al mese, per un totale di 1 trilione di euro circa da marzo 2015 a settembre 2016. “Una cifra piuttosto esigua, che ammonta solo all’incirca al 10% del debito pubblico dell’eurozona”, commenta Münchau, riflettendo un’opinione condivisa dalla maggioranza degli esperti. Secondo il think tank di affari europei Re-Define: “Se la Bce volesse espandere il proprio bilancio, in rapporto al Pil, in linea con quanto hanno fatto la Fed e la Banca d’Inghilterra, dovrebbe puntare ad un aumento di bilancio di 2-3 trilioni di euro, molto più di quanto non abbia in programma di fare al momento. E questo nonostante la situazione economica ed inflazionistica dell’eurozona sia di gran lunga peggiore di quella degli Usa e del Regno Unito”.

La distribuzione degli acquisti:

I titoli saranno acquistati in base alla quota di partecipazione dei vari paesi al capitale della Bce. Questo è uno degli aspetti più controversi – e più criticati – del programma, ed è facile capire perché: è una misura che va a beneficio soprattutto dei paesi più forti dell’eurozona (e della Germania in primis). Come scrive Clericetti:

Il modo con cui la Banca centrale europea ha lanciato il quantitative easing… mostra, ancora, che il paese egemone in Europa, la Germania, non solo si rifiuta di aiutare i paesi più in difficoltà, ma si comporta in modo da ottenere ulteriori vantaggi ogni volta che è possibile. I titoli pubblici dei paesi membri saranno acquistati in proporzione alle quote che i paesi stessi hanno nel capitale Bce: ciò significa che la parte maggiore spetterà appunto alla Germania, che è il primo azionista. Poco importa che i rendimenti sui titoli tedeschi siano non solo al minimo storico, ma su alcune scadenze addirittura negativi: la Bce comprerà anche quelli, come ha precisato Draghi rispondendo a una domanda specifica nella conferenza stampa successiva alla riunione. Quindi si produrrà il paradosso che la Bce finanzi la Germania, cioè il paese che si trova nella situazione economicamente migliore.

Ma vediamo un po’ più nel dettaglio come saranno distribuiti gli acquisti tra i vari paesi. Secondo i calcoli dell’analista finanziario Erwan Mahé, tolta la percentuale di titoli privati che verrà acquistata mensilmente dalla Bce, la cifra (in miliardi di euro) che sarà destinata all’acquisto di titoli pubblici dei vari paesi ogni mese è la seguente:

In totale, 482 miliardi di euro andrebbero ai paesi core e solo 299 miliardi a quelli della periferia.

Il rischio a carico delle banche centrali nazionali:

Questa è la vera novità del piano Draghi, e il punto più dibattuto di tutti: in sostanza, l’80% dei bond acquistati dalla Bce rimarranno nei bilanci e a carico delle singole banche centrali nazionali, facendo ricadere dunque i “rischi” di un eventuale default da parte di uno stato membro sulla banca centrale di quello stato. Una misura pensata per mettere a tacere l’opposizione tedesca a qualunque forma di “mutualizzazione” o condivisione del “rischio” (presunto) derivante da un programma di QE. È infatti opinione comune, e non solo in Germania, che acquistando i titoli dei paesi più “inaffidabili” dell’Unione la Bce esporrebbe i paesi più “solidi” al rischio di “perdite” nel caso in cui il paese in questione decidesse di non rimborsare il debito o addirittura di uscire dall’euro; se ciò accadesse – secondo questa argomentazione – la Bce si vedrebbe spazzato via il suo capitale netto, costringendo i governi dei paesi membri a utilizzare il denaro dei contribuenti per ricapitalizzare la Bce.

Questa argomentazione è viziata da una serie di errori concettuali che nascono da un’errata interpretazione di come funzionano le banche centrali. Siamo soliti leggere nei giornali (anche quelli specializzati, ahimè) frasi come “il QE mette a rischio il bilancio della Bce”, “la Bce rischia di diventare insolvente”, “l’eurozona si potrebbe vedere costretta a ricapitalizzare la banca centrale” e così via. Ma il fatto è che le banche centrali non sono come le banche commerciali; anche se il valore di una parte degli attivi che una banca centrale detiene sul proprio bilancio dovesse diminuire, essa non corre alcun rischio di diventare insolvente poiché detiene il privilegio di potersi ricapitalizzare da sola. E comunque potrebbe tranquillamente operare anche a capitale negativo (su questo punto si veda questo articolo di Paul De Grauwe e Yuemei Ji). E comunque il Fondo monetario internazionale aveva già risolto la questione in questo paper del 1997 intitolato “Le banche centrali hanno bisogno di capitale?” (rispondendo con un sonoro “no”, almeno da un punto di vista tecnico, salvo poi dire che ci potrebbero essere ragioni politiche per mantenere un capitale positivo).

Nonostante questa “verità di Pulcinella”, la comunità internazionale continua a operare in base all’illusione che le banche centrali abbiano bisogno di capitale per operare (anche per ragioni politiche che meritano di essere approfondite in separata sede). Per i tedeschi, poi, è praticamente un atto di fede, il che spiega la loro ferrea opposizione al quantitative easing. Da cui la trovata di Draghi: far assumere il grosso del rischio di un eventuale default di qualche paese della periferia alle banche centrali nazionali, tutelando così i “contribuenti tedeschi”. È una decisione che è stata molto criticata, sia dal punto di vista politico che tecnico. Per quanto riguarda l’aspetto politico, è indubbio che la cosa non mandi un bel segnale. Scrive sempre Clericetti:

Mostra innanzitutto che l’Unione europea di “unione” ha ormai soltanto il nome: è un gruppo di paesi neanche tanto omogenei tra di loro legati da una serie di trattati e di regole, che per di più sono stati elaborati in una situazione del mondo sideralmente diversa da quella attuale e in base a teorie economiche sorpassate e in buona parte perniciose. Una “unione” dovrebbe prevedere la solidarietà fra i suoi membri, non per una questione etica, ma semplicemente per poter funzionare. E in Europa, ormai da tempo, di solidarietà non si vede neanche l’ombra. Il fatto che l’80% dei potenziali rischi sugli acquisti di titoli pubblici rimarrà a carico delle banche centrali nazionali è l’ennesima riprova di questo fatto.

Questa posizione è condivisa dalla maggioranza dei commentatori, lungo tutto lo spettro dell’arco politico. E è per molti versi comprensibile: il rischio che una “ri-nazionalizzazione” delle politiche monetarie possa portare a un’ulteriore frammentazione e balcanizzazione dell’unione monetaria è reale.

Meno condivisibili appaiono invece le critiche di natura tecnica al piano, secondo cui in caso di default sarebbe effettivamente impossibile circoscrivere il rischio – sempre accettando che si possa definire tale – a un singolo paese, visto il meccanismo dell’Eurosistema. Questo è vero, ma il punto che la maggior parte dei commentatori non sembra cogliere è che il “QE nazionale” renderebbe di per sé improbabile l’opzione default (almeno sulla porzione di debito in mano alla banca centrale nazionale). Potenzialmente, infatti, la banca centrale può tenere i titoli in suo possesso a bilancio per tutto il tempo che vuole: poniamo che quando questi giungano a scadenza il governo si trovi impossibilitato a rimborsare il debito; in quel caso la banca centrale può semplicemente rinnovarlo – o “fare rollover” in gergo tecnico, potenzialmente a interessi zero – accettando in cambio nuovi titoli. E così ad ogni nuova scadenza, il che equivarrebbe di fatto a “monetizzare” di quella porzione di debito. Il rischio default, in altre parole, non si pone proprio. Questa analisi è condivisa da vari analisti (si veda per esempio l’analisi di Frances Coppola e di Re-Define).

A questo proposito, è interessante notare che le emissioni nette (escludendo cioè i rinnovi) di Btp previste per il 2015 sono di circa 62 miliardi di euro; questo vuol dire che gli acquisti di titoli pubblici italiani previsti dalla Banca d’Italia in base al programma di quantitative easing sono più che sufficienti a coprire la totalità delle emissioni nette italiane per quest’anno, che ammontano al 34% delle emissioni lorde.

Effetti sulle finanze pubbliche:

Questi dipenderanno in buona parte da quello che la Banca d’Italia o chi per lei – l’autonomia delle banche centrali nazionali in tutta questa faccenda è ancora da chiarire – deciderà di fare con i titoli i suo possesso. Come scrive l’economista Sergio Cesaratto:

[Un possibile effetto del quantitative easing] sarebbe la messa in sicurezza di una quota dei debiti sovrani. Si deve qui distinguere se l’acquisto è in via temporanea – vale a dire i titoli pubblici sono tenuti solo fino a scadenza – o permanente – a scadenza l’acquisto viene reiterato. Solo nel secondo caso il debito pubblico è nei fatti cancellato in via definitiva, in quanto la banca centrale girerebbe i proventi del servizio del debito al Tesoro in quella che è una partita di giro.

Per come il piano è stato illustrato da Draghi, però, gli acquisti sembrerebbero essere di natura temporanea.

Un ribasso dei tassi di interesse pagati dagli stati della periferia comunque ci sarà, aprendo dei piccoli spazi fiscali. Secondo uno studio del Cer, il quantitative easing taglierà la spesa per interessi sul nostro debito pubblico per 6.3 miliardi di euro quest’anno (da 74.4 a 68 miliardi) e addirittura per 13.4 miliardi nel 2016. Una risparmio non da poco in tempi di austerità come questi, ma che non si avvicina neanche lontanamente a quel massiccio stimolo fiscale di cui avrebbero bisogno i paesi della periferia.

E questo ci porta all’aspetto più criticato del programma:

La mancanza di politiche fiscali e l’insistenza sulle riforme strutturali:

Come hanno sottolineato in molti, in un contesto di stag-deflazione come quello in cui versa l’eurozona le politiche monetarie espansive necessitano di politiche fiscali altrettanto espansive per sortire qualche effetto sull’economia reale. Di per sé, infatti, la liquidità creata dalle banche centrali non “sgocciola” nell’economia reale ma rimane all’interno dei circuiti finanziari, alimentando nuove bolle speculative e arricchendo i soliti noti. E invece il piano Draghi si inserisce nella stessa logica delle politiche fallimentari pervicacemente perseguite in questi anni: politiche monetarie espansive (non dobbiamo dimenticarci che sono anni che la Bce offre liquidità a costo zero alle banche), riforme strutturali e politiche fiscali restrittive. Draghi l’ha detto chiaramente in conferenza stampa: “Sarebbe un grave errore pensare che il programma di quantitative easing sia un incentivo all’espansione fiscale”. Certo, le cose nei prossimi mesi potrebbero cambiare, soprattutto alla luce della vittoria di Tsipras in Grecia. Ma ora che la Germania ha ceduto sul quantitative easing, convincerla ad allentare la politica fiscale potrebbe essere ancora più difficile. Come scrive Münchau: “Non mi sorprenderebbe se in cambio del QE la Germania insistesse su una politica fiscale ancora più restrittiva di quella attuale. Ma in quel caso il QE sarebbe del tutto inutile”.

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Commenti

Articolo su QE di Fazi

L'articolo omette di menzionare che anche le banche commerciali si finanziano da sole come spiegato in un recente paper del Prof. Werner: Can banks individually create money out of nothing? The theories andthe empirical evidence - http://dx.doi.org/10.1016/j.irfa.2014.07.015

Imposta patrimoniale

@Roberto
Hai dimenticato il patrimonio.

IL PRINCIPIO DI CAPACITA’ CONTRIBUTIVA (art. 53 Cost.)
 Le leggi che istituiscono e regolano i tributi, pertanto, devono rispettare il principio di capacita` contributiva, sancito dall’art. 53 Cost., secondo cui Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacita` contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività .
 Quali sono i fatti che esprimono capacità contributiva?
 Che cosa è la capacità contributiva?
 L’indice generatore di capacità contributiva è, per eccellenza, il reddito.
 Oltre al reddito, sono considerati indici diretti di cap. contributiva, anche il patrimonio e gli incrementi di valore del patrimonio.
 Sono, invece, indici indiretti di capacita` contributiva, il consumo e gli affari (colpiti dalle imposte indirette, come le imposte di fabbricazione, l’imposta sul valore aggiunto, l’imposta di registro, ecc.).
http://www.economia.unime.it/UserFiles/File/Data/a_a_1112/materiale_didattico/serrano/art.53_cost.pdf

Conclusione. Alexis Tsipras è persona intelligente, tosta e di sinistra, molto più di Renzi. Per attuare il programma di Salonicco gli servono 10 mld. Se non riuscirà ad ottenerli tutti azzerando gli interessi passivi, io credo che troverà cosa buona e giusta, per la parte mancante, varare un'imposta patrimoniale sui ricchi. A bassa propensione al consumo. E' la decisione più logica e congrua - e la cartina di tornasole - per una persona intelligente, tosta e di sinistra. Perciò l’aspirante massone Renzi (ad una superloggia) non lo ha fatto e non lo farà.

QE

Agli italiani non servono miliardi di euro alle banche da dare agli imprenditori! Se questi non hanno ordinativi dei soldi non se ne fanno niente! Gli servono solo per indebitarsi ancor di più per pagare i loro creditori! E' un circuito,non virtuoso, ma negativo per la ripresa economica. Il problema non è di investimenti da parte degli imprenditori ma di investimenti da parte dei cittadini meno abbienti. Allora per fare ripartire gli investimenti da parte di queste persone,pari a circa 25 milioni di persone, basta fare la MADRE DI TUTTE LE RIFORME cioè di quella FISCALE che applichi l'articolo 53 della Costituzione! Ciò significa dare la VERA PROGRESSIVITA' all'imposizione nel suo complesso sia riguardo all'Irpef che all'IVA! Cosa significa? Significa mettere,finalmente, a imposizione non il reddito ma la capacità contributiva! Il che per l'articolo 53 della Costituzione è tutta un'altra cosa! Significa" accertare i redditi globali personali effettivi comunque conseguiti ( da capitale, da rendite di qualsiasi tipo, da lavoro etd.etc.) e deduzione di tutte quelle spese personali e famigliari che non rappresentino un lusso. Sono questi aspetti di quella CAPACITA' CONTRIBUTIVA" CHE L'ARTICOLO CONCORDATO QUESTA MATTINA METTE A BASE DELL'IMPOSIZIONE ed i loro importi devono essere utilizzati per MISURARE gli imponibili nella loro EFFETTIVA CONSISTENZA. Così potremo dare progressività al sistema tributario nel suo complesso" ( On.le SCOCA SALVATORE relatore per l'articolo 53 a nome di tutti i partiti presenti all'Assemblea Costituente il 23 maggio 1947)! Da questa illustrazione fatta con parole chiare dal relatore che non lasciano alcuna incertezza, si evince che la deducibilità delle spese primarie e sociali devono essere portati in deduzione dal reddito lordo personale comunque conseguito e sulla differenza redditi globali/spese citate effettive si applicano aliquote Irpef progressive. Il quantum della progressività lo decide il governo di turno ma devono essere tali da rendere le risorse economiche per garantire,in modo strutturale, i diritti sociali prescritti dalla Costituzione. L'equazione "spese effettive di tutti = ai redditi lordi effettivi di tutti compresi gli azionisti delle multinazionali" mettono fine all'evasione fiscale! Ciò significa che l'emersione dei redditi sommersi corrisponde a 260 miliardi di maggiore gettito erariale, tra IVA, Irpef e contributi previdenziali, che aggiunti all'abolizione di altri 260 miliardi di "agevolazioni fiscali" mettono a disposizione 520 miliardi circa. 150 di questi miliardi serviranno per le deduzioni delle spese citate che andranno nelle buste paga e pensioni medio basse per 25 milioni di persone, pari a circa 250/300 euro mensili. Saranno questi 25 milioni di persone che ricominceranno a consumare e a fare arrivare alle imprese gli ordinativi per riprendere la produzione e l'occupazione! Non saranno gli 80 euro concessi dal Re ai suoi sudditi e finiti nel risparmio per l'incertezza del futuro ma saranno i 250/300 euro mensili relativi a minore Irpef pagata per il DIRITTO COSTITUZIONALE che " prima di concorrere alle spese pubbliche per le necessità dello stato" la persona DEVE VIVERE dignitosamente"!(Ass.Cost. ibidem)! Gli altri miliardi prelevati dalle casseforti NERE dei maggiori evasori ma anche dai medi e piccoli, serviranno per la sicurezza sociale del presente e del futuro.
Equità fiscale = Democrazia Sociale! Equità fiscale = sviluppo economico, magari in applicazione dell'articolo 9 della Costituzione! Chiedere il " il diritto ad avere i diritti" senza il " dovere ad avere i doveri" contraddice e tradisce la Costituzione!

QE e violazioni statutarie della BCE

Lo reitero:

Poiché la crisi economica, che dura praticamente da 7 anni, è da calo della domanda e perciò c'è un solo modo di uscirne: aumentando la domanda aggregata (consumi, investimenti, spesa pubblica ed esportazioni nette), tra le cose che mi sono augurato per il 2015, [1] c’era che la BCE varasse finalmente il Quantitative easing (QE).[2]
Il QE varato, 60 mld al mese per 19 mesi per un totale di 1.140 mld, ma destinati non soltanto all’acquisto di titoli di Stato, [3] da solo e nella quantità e qualità decise, a parere di quasi tutti gli esperti, non sarà in grado di farlo. La dimensione è insufficiente, a) tant’è che potrà continuare se sarà necessario, cioè se il tasso d’inflazione non sarà tornato “sotto ma vicino al 2%”; b) l’ex governatore della Banca di Cipro ed ex membro del Consiglio direttivo della BCE, Athanasios Orphanides, ora docente al MIT, ha dichiarato alcuni giorni fa a “Repubblica” [4] che, dato il ritardo, servirebbero almeno 2.000 mld; c) altri pensano che servano 3.000 mld, anche per sostenere la crescita e l'occupazione (art. 2-Obiettivi, Statuto BCE),[5] ad esempio finanziando la BEI per gli investimenti.
Andrebbe poi ripartito, non come è stato deciso in base alle quote di partecipazione al capitale della BCE (poiché le quote vanno rapportate al capitale versato dai 19 Paesi dell’Eurozona, pari al 70,3915%: Italia 17,4890%; Spagna 12,5596%; Germania 25,5674%; Portogallo 2,4767%; Grecia 2,8884%, ecc.), ma su base multipla: ad esempio 50% in base alle quote nel capitale della BCE e 50% in base al debordo rispetto al 60% del rapporto debito/Pil, per aiutare i Paesi con più elevato debito pubblico.), ma su base multipla: ad esempio 50% in base alle quote nel capitale della BCE e 50% in base al debordo rispetto al 60% del rapporto debito/Pil, per aiutare i Paesi con più elevato debito pubblico.
In ogni caso, esso va integrato con un'adeguata politica fiscale (taglio di tasse, per aumentare il reddito disponibile, e, soprattutto, aumento di spesa pubblica, che ha un moltiplicatore maggiore). Come fu fatto nella grande depressione del 1929 e seguenti e come da tempo suggeriscono premi Nobel, centinaia di economisti, l'FMI e perfino neoliberisti pentiti come Alesina e Giavazzi.
Ma la Germania non vuole e l'UE [6] e la BCE obbediscono. Il nostro ministro Padoan plaude.
La misura dell’obiettivo dell’inflazione ("sotto, ma vicino, al 2%") non fu stabilita dai trattati ma dalla stessa BCE,[7] che da un anno la sta violando in basso (ora è +0,3%), favorendo i Paesi creditori e perpetuando la crisi; perché non potrebbe violarla in alto se questo è l’interesse prevalente dell’Eurozona - come rammenta Orphanides, unica stella polare della BCE - per uscire dalla crisi economica, dando una mano ai Paesi debitori? […]

Quantitative easing e uscita dalla crisi economica
http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2826693.html

Aggiungo:

La BCE è in flagrante violazione del suo statuto (art. 2-Obiettivi) e, come chiedo da oltre 6 mesi, va denunciata alla Corte di Giustizia. Lo statuto della Bce (anche se Draghi non menziona MAI il secondo) stabilisce due obiettivi. Il primo è la stabilità dei prezzi, "sotto, ma vicino, al 2%". Oggi in molti Paesi dell'Euro l'inflazione è sotto zero. La deflazione è un male ancora più grave dell'inflazione e la Bce non sta facendo quello che dovrebbe per riportare i prezzi all'obiettivo quantitativo da essa stessa deliberato.
Il secondo obiettivo è stabilito nello stesso articolo 2 dello statuto: "Fatto salvo l'obiettivo della stabilità dei prezzi", la Bce "sostiene le politiche economiche generali dell’Unione al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell’Unione definiti nell'articolo 3 del Trattato sull'Unione europea". Tra questi, "il raggiungimento e il mantenimento di un elevato livello di occupazione e di protezione sociale"; "una crescita sostenibile"; "la coesione economica e sociale"; "la solidarietà tra Stati membri".

Draghi, non fissando l’obiettivo in termini di tasso inflazionistico ma di “andamento dell’inflazione”, non solo viola anche l’obiettivo quantitativo fissato dallo stesso Consiglio direttivo della BCE, ma svela che non è in grado di gestire appieno la politica monetaria, proprio perché il varo del QE non integrato da un’adeguata politica fiscale NON può neppure ottenere lo scopo di causare inflazione in misura congrua (cfr., per la politica monetaria mal gestita, questa interessante analisi “I famosi saldi TARGET2” http://noisefromamerika.org/articolo/famosi-saldi-target2 ).