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Campo dei miracoli. La terra va in borsa

04/02/2011

La terra va in Borsa. Uni Land, società di land banking, scommette sul cambio di destinazione d’uso dei terreni. Ma il mercato non tira e le azioni crollano

Tra i mestieri del ventunesimo secolo c’è senz’altro anche quello del “banchiere della terra”, o land banker. Consiste nell’acquistare terreni senza permesso di costruzione, con destinazione d’uso agricola (o basso grado di edificabilità) per poi venderli a un prezzo maggiore dopo aver ottenuto tutte le autorizzazioni necessarie per l’edificazione, o un maggior indice di edificabilità. Il Land Banking è il dna di Uni Land, una società per azioni quotata alla Borsa Italiana. L’alfabeto schiaccia il suo titolo tra quelli di Ubi Banca e Unicredit. I due colossi del credito, con una capitalizzazione di 4,5 miliardi di euro la prima, oltre 32 la seconda, fanno da contorno a una della più piccole società quotate. A metà gennaio, infatti, la Uni Land di Monghidoro, in provincia di Bologna, capitalizza appena 80 milioni di euro. Ma, dietro i numeri, c’è una storia unica: è l’unica società quotata ad occuparsi di “Land Banking”. E dove noi di Ae, per qualificare la nostra attività, scriviamo “l’informazione per agire”, Uni Land parla di “the wealth of the land”, un’azienda che nasce per estrarre il valore della terra.
La società è, cioè, una cassaforte piena di terreni edificabili. 900mila metri quadrati, acquistati per lo più negli ultimi dieci anni, che corrispondono all’82,7 per cento di un patrimonio valutato oltre 600 milioni di euro. Claudio Morsenchio, il responsabile della relazione esterne (investor relations) di Uni Land, parla di “investimenti lungimiranti da parte del patron”, Alberto Mezzini, che oggi detiene il 70,7% delle azioni della società e ha scelto “zone limitrofe ai centri urbani, sfruttando una legge regionale che in Emilia-Romagna, nel 2000, aveva definito in modo chiaro come si sarebbero urbanizzate le città”. Uni Land pagava terreni agricoli anche 5 volte il loro valore. Non erano scommesse ma certezze, carte alla mano, che su quel campo prima o poi si sarebbe potuto costruire. E Morsenchio snocciola come un rosario la “filiera” in fondo alla quale il terreno “ha creato ricchezza”: partendo dal Psc, piano strutturale comunale, passando per i Poc, piani operativi comunali, e i Pua, piano urbanistico di attuazione, per finire al progetto esecutivo.
Poi si può chiudere l’affare, come quello che il 23 settembre scorso ha visto passare di mano una superficie commerciale di 3.213 metri quadrati a Ferrara per 3,2 milioni di euro, mille euro al metro quadrato. “Il terreno è parte di un più ampio comparto edificabile di circa 392.000 m2 -spiega Uni Land in un comunicato stampa- e risulta iscritto tra le immobilizzazioni nel bilancio consolidato ad un prezzo di euro 586/m2”.
Oggi però la società non si occupa di solo trading. Dopo la quotazione in Borsa, che è avvenuta nel 2005, comprando un’azienda quotata che produceva cosmetici, la Perlier, Uni Land ha scelto di farsi gruppo:nel 2006 ha acquistato la Impca, una società di Imola che dal 2007, con il nome House Building, si occupa di costruzioni residenziali e commerciali sui terreni del gruppo. Anche House Building è quotata, dal novembre del 2009 sul mercato Aim di Borsa Italiana. Della holding fanno parte anche UniRE spa, rete di franchising immobiliari (“150 punti vendita tra Lombardia, Liguria, Toscana ed Emilia-Romagna” racconta Morsenchio), e 3 società attive nell’ambito delle energie rinnovabili, fotovoltaico ed eolico. C’è, infine, un fondo immobiliare chiuso, “Real Blu Fund”, controllato al 100 per cento da Uni Land.
“Abbiamo un patrimonio di 600 milioni di euro ma ne fatturiamo 20. Quello che manca sono i ricavi -spiega il manager di Uni Land-. E per dar linfa all’azienda, visto che il mercato immobiliare non riparte, siamo entrati nel business delle rinnovabili. Quello che facciamo, in fondo, è simile a una palazzina o ad una villetta a schiera. L’obiettivo è di mettere insieme qualche MegaWatt”. Gli investimenti sono in Emilia-Romagna, Puglia, Sardegna e in provincia di Rovigo. Complessivamente, Uni Land ha messo in campo nel 2010 oltre 50 milioni di euro di progetti, tra impianti a terra e serre fotovoltaiche. “Il residenziale non tira; e noi non possiamo riempirci di immobili invenduti” spiega Monserchio. Anche perché, per costruire, la società deve indebitarsi: Banca di Romagna, Banca popolare dell’Emilia Romagna, Carisbo (Intesa-Sanpaolo), Rolo Banca 1473 (Unicredit) sono alcuni degli istituti di credito verso cui la società è esposta, complessivamente, per poco più di 100 milioni di euro. L’ultima linea di credito, significativa, è stata invece aperta con Banca Antonveneta (gruppo Mps) per la realizzazione di un complesso di 500 appartamenti a Bologna, di fronte alla sede del Resto del Carlino.
L’operazione, da 55 milioni di euro, è la più costosa nella storia di Uni Land. Ed è l’ennesima scommessa di un uomo, Alberto Mezzini, che ha saputo far innamorare gli altri del suo sogno. Lo strumento che ha usato è la Borsa Italiana. Mezzini, spiega Morsenchio, “è innamorato della finanza. La quotazione aiuta ad essere visibile, nei rapporti con le banche. Permette al gruppo di finire sul tavolo degli analisti”. Peccato che il mercato immobiliare non tiri da almeno cinque anni. E chi ha scommesso sul titolo Uni Land, 49 investitori istituzionali (vedi box) ma soprattutto tanti piccoli investitori, ha perso alla grande. Nel luglio 2008 un’azione era scambiata a 1,6 euro, oggi vale solo 0,49.
Una botta di fiducia potrebbe arrivare dalla fine della telenovela legata all’acquisto dell’“eredità Borghese”, quasi 8 milioni di metri quadrati di terreni agricoli in vari Comuni a Nord-est di Roma (tra i quali ci sono Guidonia, Montecelio, Sant’Angelo dei Cavalieri). Uni Land ha concluso l’affare con i proprietari “indivisi”, i due fratelli Chiappini, ma uno dei due non ha mai sottoscritto il contratto. E ancora oggi, perciò, risulta così proprietario “indiviso” dell’intera area insieme alla società bolognese. Nel patrimonio di Uni Land l’“eredità Borghese” vale 9 milioni di euro. Mezzini punta a una divisione della proprietà. E un investimento da un euro al metro quadro lo avrebbe portato dritto nel gotha degli immobiliaristi italiani.

Le mani nella Borsa
L’unico socio istituzionale di Uni Land domiciliato in Italia è Bnp Paribas. Per il resto, a farla da padrone sono Svizzera (14), Londra (7) Lussemburgo (6). Solo Generali Paneurope Ltd, società del gruppo Generali con sede a Dublino, detiene una quota superiore al 2 per cento del capitale (2,062). Quattro azionisti sono domiciliati nella Repubblica di San Marino. Per due di questi (Banca di San Marino spa e Istituto bancario sanmarinese), l’intermediazione è stata fatta Iccrea, l’Istituto centrale del credito cooperativo. Tra gli azionisti (l’elenco è aggiornato al dicembre 2009) compaiono i nomi di Credit Suisse, Jp Morgan, Banca del Ceresio, Banca Credivest, Goldman Sachs, Unicredit Bank, Merril Lynch, Abn Amro. Intanto il rapporto tra Uni Land, la controllata House Building, Borsa Italiana e Consob, la Commissione nazionale per le società e la Borsa, si fa complicato. A metà dicembre la Commissione ha multato, complessivamente per oltre un milione di euro, l’azionista di maggioranza Alberto Mezzini (770mila), Claudio Monserchio (120mila) e Alessandro Rapalli (per 150mila euro). “Consob contesta una manipolazione del mercato” racconta Morsenchio, che annuncia che Uni Land farà ricorso. Secondo Consob Mezzini nel 2006 avrebbe messo in essere una “strategia funzionale a richiamare l’attenzione del mercato sul titolo [per] sostenerne le quotazioni”. Morsenchio contesta che le operazioni riguardassero 50mila euro di azioni, in un momento in cui la capitalizzazione di Uni Land era di 400 milioni di euro. La prossima parola sarà quella del Tar. Intanto, a breve, dovrebbe tornare sul mercato il titolo di House Building, che vale la metà degli asset di Uni Land. Il titolo era stato “sospeso” da Borsa Italiana nel maggio 2010, a sei mesi dalla quotazione. La Consob, anche in quel caso, ha contestato un andamento anomalo. In pochi giorni a fine dicembre le azioni erano passate da 3,1 euro a 6,4 euro (raddoppiando, di conseguenza, il valore dell’azienda), per poi scendere in picchiata fino a 2,22.