Home / Sezioni / alter / Modernizzazione, «Welfare State» e sostenibilità

facebook-link twitter-link

Newsletter

Registrati alla newsletter di sbilanciamoci.info

Sezioni

Ultimi articoli nella sezione

08/12/2015
COP21, secondo round
di Lorenzo Ciccarese
03/12/2015
Lavoro, la fotografia impietosa dell'Istat
di Marta Fana
01/12/2015
La crisi dell’università italiana
di Francesco Sinopoli
01/12/2015
Parigi, una guerra a pezzi
di Emilio Molinari
01/12/2015
Non ho l'età
di Loris Campetti
30/11/2015
La sfida del clima
di Gianni Silvestrini
30/11/2015
Il governo Renzi "salva" quattro istituti di credito
di Vincenzo Comito

Modernizzazione, «Welfare State» e sostenibilità

21/07/2014

Dis-connessi/Manca l'idea di singolarità «politica», strumento essenziale per ripensare lo Stato sociale in questa Europa che ci troviamo di fronte

Per vedere forme ed effetti dell'individualismo nei processi di «modernizzazione» del welfare guidati dall'Europa all'insegna della sostenibilità finanziaria – con stillicidio di tagli alla spesa pubblica e riduzioni delle protezioni sociali che dura da vent'anni e passa – bisogna mettere a fuoco il tipo di «individuo» che si costruisce in questi processi.

La storia aiuta a riconoscerne i tratti salienti. Cominciando con il richiamare alla memoria la critica che ha accompagnato il discorso ufficiale della «crisi del Welfare State» (sì, già dagli anni '80): burocratico, capace solo di risposte standardizzate e indifferente alle differenze e specificità individuali (e naturalmente costoso).

È questa la premessa della parola d'ordine dell'«individualizzazione» (via programmi «personalizzati» o «taylor-made», ecc.), una di quelle più usate nelle politiche sociali europee degli ultimi vent'anni. Incorporata in un sistema che si vuole appunto «sostenibile» questa parola d'ordine ha finito per tradursi come sappiamo: se si tratta di prendere in conto differenze e individualità, allora i servizi pubblici non sono le strutture più adatte; meglio il mercato in cui si esprime libertà di scelta, ed è via mercato – più o meno sociale, non profit – che il dispiegarsi di una grande varietà nell'«offerta di servizi» ne garantisce l'individualizzazione; e semmai meglio il volontariato in cui l'impegno morale, strettamente personale, garantisce attenzione all'altro come persona (e individualizza quest'ultima come soggetto morale, responsabilizzato).

Nell'affermarsi di questa via all'individualizzazione (benché in modo non univoco e con importanti eccezioni) prende forma quello che Robert Castel ha definito un «individuo per difetto». Sullo sfondo della riduzione del sistema pubblico di protezioni sociali su una base di diritto, l'individuo viene in evidenza contro «il collettivo», dice Castel, e per sottrazione: di quelle protezioni e appartenenze sociali che hanno funzionato da supporti (una «proprietà sociale») all'emergere di individualità.

Un individuo povero d'identità sociale, libero ma isolato come il consumatore atomizzato. Ma, dice ancora Castel, questo individuo per sottrazione è altrettanto costituito «per eccesso»: sovraccaricato dell'onere di realizzarsi, messo alla prova sulla gestione della propria vita, sottoposto a una «ingiunzione all'individuazione».

Per eccesso e per difetto, questo individuo privo com'è delle interdipendenze che lo supportano e lo individuano, è sbandato, non ha termini di misura. E in questo è proprio l'opposto di un altro tipo di individuo che vedo prendere forma dal terreno della riorganizzazione del welfare. I suoi tratti distintivi sono infatti l'esito dell'enorme esercizio di misurazione a cui i sistemi di welfare sono sottoposti, in tutti gli ambiti e coinvolgendo tutti, sempre nella cornice europea. È la «governance con i numeri», com'è stata chiamata, che con i numeri allinea e gerarchizza, valuta, conferisce posizioni, distribuisce premi e punizioni (sempre all'ombra del principio di sostenibilità finanziaria).

Per dare solo un'idea: poiché in questo regime conta soltanto ciò che può essere contato, la standardizzazione si esaspera estendendosi a tutte le pratiche più minute di cui è fatto il welfare; e poiché i conti servono a contabilizzare, i minuti diventano la misura delle prestazioni erogate: con il «minutaggio» – così si chiama ufficialmente – il taylorismo è trasmigrato dalla fabbrica ai servizi.

Da queste operazioni di abbinamento di persone a numeri, l'individuo che prende forma conta come unità di conto, e come tale è molto importante.

Sempre guardando agli utenti destinatari del welfare: si è individuati in quanto abbinati a un protocollo, commisurati (il corpo, la vita) a linee guida, rendicontati nei risultati di prestazioni da rendicontare, conteggiati in cluster o classi statistiche e così via. Quanto alla personalizzazione, il profiling ne è un inquietante simulacro.

Tra l'individuo senza misura perché senza ancoraggi e l'individuo standardizzato, tra la totale soggettivazione dell'uno e l'oggettivazione dell'altro in un'unità statistica, qualcosa è scomparso. Manca il terzo. Manca, io direi, l'individuo «politico» – che si costruisce discutendo di misure che lo riguardano. Il quale invece sarebbe essenziale per ripensare diversamente il welfare in Europa.

La riproduzione di questo articolo è autorizzata a condizione che sia citata la fonte: old.sbilanciamoci.info.
Vuoi contribuire a sbilanciamoci.info? Clicca qui

Commenti