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La finanza 4000 anni fa
Il ritrovamento di 22 mila tavolette di argilla nel sito archeologico di Kanesh in Turchia apre una finestra quasi miracolosa sull’economia antica. E mostra come ad un’economia basata sul commercio dei prodotti si sostituì gradualmente una economia basata sulla speculazione finanziaria, creando una grande bolla che alla fine scoppierà
È merito di un articolo apparso di recente sul New York Times (Davidson, 2015) l’avere contribuito ad informare in maniera avvincente il grande pubblico in merito ad alcune vicende economiche di 4000 anni fa riguardanti il Medio Oriente.
Tali vicende permettono, tra l’altro, di porre in una luce, almeno in parte, nuova anche alcuni accadimenti molto posteriori, quali quelli relativi alle operazioni dei mercanti genovesi tra Medioevo e Rinascimento e persino a quelli degli attuali padroni della finanza. Il tema riferito nell’articolo era peraltro materia già da tempo ovviamente conosciuta dagli archeologi e dagli altri studiosi che hanno lavorato a suo tempo sul terreno.
Anche una voce di Wikipedia (Kanesh, 2015) appare molto puntuale in proposito, mentre si annuncia l’uscita a breve, per i tipi della Cambridge University Press, di un volume sul caso scritto da Mogens Trolle Larsen, uno degli studiosi coinvolti nell’avventura.
Business e finanza 4000 anni fa
Kultepe, che si colloca nell’Anatolia Centrale, nel cuore della Turchia contemporanea, è un sito archeologico nel quale si trovava l’antica città di Kanesh; essa conobbe il periodo di maggiore splendore - legato a delle attività commerciali “internazionali” -, tra il ventesimo ed il sedicesimo secolo prima della nostra era.
La notizia che può attirare di più la nostra attenzione su tale sito è forse quella che vi sono state ritrovate circa 22.000 tavolette di argilla in lingua accadica; esse sono state scritte a suo tempo dai mercanti provenienti dalla città di Assur, nell’odierno Iraq e stanziati a Kanesh, nonché dai loro corrispondenti (di solito dei parenti o degli amici) rimasti in patria. Esse documentano gli scambi tra quella che era allora una colonia assira e appunto la città stato di Assur, nonché quelli tra i commercianti assiri stanziati nella città oggi turca e la popolazione locale.
Tale archivio, come sottolinea l’articolo del New York Times, ci apre una finestra quasi miracolosa sull’economia antica. In genere noi sappiamo molto poco sulla vita economica del mondo prima del 1000 avanti cristo, ma durante un periodo di 30 anni, tra il 1890 e il 1860 prima della nostra era, abbiamo, grazie a tale ritrovamento, dei dettagli persino stupefacenti.
Le corrispondenze ritrovate sono legate a discussioni di affari, contratti commerciali, decisioni giudiziarie sulle liti commerciali, questioni contabili (Wikipedia, 2015).
Gli assiri vendevano in Anatolia lo stagno, allora materiale strategico necessario per ottenere il bronzo dal rame, importandolo dall’Iran e dall’Asia Centrale; gli stessi mercanti vendevano anche tessuti, mentre il principale prodotto spedito da Kanesh ad Assur era l’argento, insieme a piccole quantità di oro (Wikipedia, 2015).
Le due località citate erano al centro di una fitta rete di scambi, che coinvolgeva anche molte località secondarie ed erano distanti tra di loro di circa 1200 chilometri, ciò che sottolinea, tra l’altro, l’ampiezza geografica che avevano assunto già allora tali scambi e che potevano superare complessivamente i 2000 chilometri di distanza. Anche la globalizzazione commerciale non è certo quindi un’invenzione moderna.
Il sistema commerciale assiro era organizzato su base familiare; ogni famiglia costituiva una specie di impresa, nella quale magari il padre risiedeva ad Assur, la moglie tesseva localmente i tessuti da esportare, mentre i figli venivano spediti a Kanesh o in altre località meno importanti per seguire le fila delle attività, attività che risultavano in media molto redditizie.
Tra le molte considerazioni che si possono trarre dall’analisi di tale archivio alcune appaiono centrali, in particolare agli occhi di chi ha oggi di fronte una crisi originata almeno in parte dalla speculazione finanziaria selvaggia.
Ebbene, gli archivi di Kanesh mostrano come ad un’economia basata sul commercio dei prodotti- stagno, argento, tessili- si sostituì gradualmente una economia basata invece sulla speculazione finanziaria, creando una grande bolla che alla fine scoppierà; l’intero sistema entrerà così in una recessione che durerà per più di un decennio.
Il governo di allora, che prima, come al solito, aveva chiuso un occhio su tali pratiche, quando scoppia la bolla cerca disperatamente di intervenire, ma senza sapere veramente che fare e senza capire chi fossero veramente i responsabili del disastro.
Tra l’altro, i commercianti di Kanesh, per portare avanti le loro attività, avevano inventato qualcosa di molto simile agli assegni, alle obbligazioni e alle società per azioni. Essi avevano creato delle società di venture capital ante litteram, che controllavano un portafoglio di commerci diversificati ed avevano anche messo a punto dei prodotti di finanza strutturata.
En passant, può essere rilevante ricordare come molti commercianti cercassero di contrabbandare le loro merci per pagare meno dazi; alcune lettere non erano nient’altro, così, che raccomandazioni dei padri ai loro figli su come meglio riuscire ad evadere le tasse. Si potevano, tra l’altro, nascondere alcuni oggetti facenti parte del carico, dissimularne il valore, si potevano anche poi utilizzare nel trasporto le vie meno frequentate utilizzando strade meno praticabili di quelle normali (Wikipedia, 2015).
…e ai tempi dei genovesi
Il caso di Kanesh non somiglia soltanto alle vicende finanziarie odierne, con cui presenta sorprendenti analogie, come si può facilmente rilevare; esse non sono per niente frutto del caso, come mostrano diversi altri accadimenti rilevabili nel tempo e nello spazio.
Vogliamo qui ricordare a questo proposito soltanto le vicende dei genovesi, a cavallo tra Medioevo e Rinascimento. Anche i mercanti di quella città, che avevano costruito delle reti commerciali in Europa e nel Mediterraneo e che anzi, insieme a Venezia, erano stati gli antesignani del moderno imperialismo, inviavano i loro figli e altri familiari a gestire le attività in giro per il mondo.
Come ci ricorda Fernand Braudel, il grande storico francese, i genovesi prima praticano il mestiere di mercante, poi si accorgono che prestare ai mercanti rende di più del loro business tradizionale e allora si trasformano in finanziatori del commercio; infine, essi si rendono conto che prestare al re di Spagna fruttava ancora di più e si concentrano quindi su tale ultimo business.
Ma la conclusione è sempre la stessa. Alla fine il re dichiarerà più volte fallimento e i banchieri genovesi usciranno da tutti i giri. Così nel Seicento avanzato essi non sapevano più a chi prestare il denaro, che non trovava prenditori, neanche con i tassi di interesse scesi al disotto dell’1% (anche questo ci ricorda qualcosa).
Nell’ambito del nostro discorso sui genovesi, si può sottolineare come il Cinquecento sia ricordato da qualche storico come il secolo dei Fugger. Ma sempre Braudel ha mostrato che in realtà i banchieri tedeschi hanno dominato la scena finanziaria europea solo per una cinquantina di anni e che poi i genovesi hanno preso in mano le cose.
I tedeschi, ad un certo punto, non riuscivano più a darsi pace; noi lavoriamo con le monete buone, dicevano sconsolati, loro invece lavorano con la carta. I genovesi erano in effetti diventati, ancor più degli assiri, maestri nei giochi finanziari più sofisticati, che nessuno era in grado di emulare e quasi nessuno di comprendere. Questo ci ricorda ancora qualcosa.
Incidentalmente, possiamo sottolineare che, per continuare a esercitare il loro mestiere, i banchieri tedeschi furono costretti alla fine ad emigrare in America Latina.
I rapporti con la politica
Sarebbe interessante conoscere i rapporti che intercorrevano tra i mercanti assiri e il potere politico, ma chi scrive ha scarse conoscenze in proposito. Si sa che vigeva a quei tempi un regime politico dispotico, gestito da un ridotto numero di aristocratici e di membri del clero, che controllavano il Palazzo e il Tempio, i due centri di potere quasi assoluto dell’epoca.
Non si sa bene neanche quanto l’esistenza dei mercanti di Assur, che miravano a fare i più grandi profitti possibili, si possa conciliare con l’ipotesi generale di Polanyi che pensava che in quel periodo fosse dominante un’economia del dono. Il caso dei mercanti è un’eccezione o le ipotesi di Polanyi non hanno grande fondamento? O forse i mercanti avevano dei soci occulti tra i politici e i preti? O ancora, gli stessi mercanti agivano forse per conto di questi ultimi?
D’altro canto, accanto alle similitudini presenti tra i casi dei mercanti assiri, di quelli genovesi e dei finanzieri contemporanei, bisognerebbe individuare le specificità e le differenza sul fronte economico, sociale, politico, degli stessi casi, temi che vanno però al di là di questo breve articolo.
Testi citati nell’articolo
-Davidson A., The V.C. of B.C., The New York Times, 27 agosto 2015
-Wikipedia, voce “Kultepe”, ultimo aggiornamento 13 agosto 2015
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