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La Consulta apre i cancelli alla Fiom

05/07/2013

Per un giurista è imbarazzante commentare una pronuncia giurisdizionale senza averne letto il testo, narrativa di fatto e motivazione. Cionondimeno, questo è uno dei casi in cui ciò che conta, e fa notizia, è la decisione in sé. Sarebbe difficile sottovalutare l'importanza della sentenza della Corte costituzionale che sancisce l'incostituzionalità dell'art. 19 dello Statuto dei lavoratori – nella parte in cui –, come si legge nella nota diramata dal Palazzo della Consulta, «non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale sia costituita nell'ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie di contratti collettivi applicati nell'unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell'azienda».

In effetti, l'art. 19 era stato utilizzato per negare alla Fiom il diritto di cittadinanza nel gruppo Fiat a mo' di sanzione per la mancata sottoscrizione per dissensi di merito del contratto ivi applicato e, al tempo stesso, per blindare un mini-sistema relazionale nel quale l'escluso non può essere ammesso se non col consenso di tutte le parti firmatarie, che diventano così arbitri della libertà sindacale dei lavoratori. Come è noto, dopo la modifica referendaria del 1995 la soglia della rappresentatività del sindacato autorizzato a parcheggiarsi nella normativa promozionale si è abbassata al livello della singola azienda e la sua effettività è documentata dalla sottoscrizione del contratto collettivo che vi si applica è irrilevante essendo che sia l'unico contratto che il sindacato ha potuto o voluto stipulare e il contratto sia applicato in una sola azienda.

Nella sua versione originaria, invece, l'art. 19 era figlio dell'idea che, in Italia, quella sindacale sia una storia di confederazioni “doc” di cui il legislatore statutario neanche si sognava che si potesse mettere in discussione la rappresentatività.

E, tuttavia, pur avendo pensato per una ventina d'anni tutto il bene possibile del club delle grandi confederazioni come luogo (sono sue parole) della “sintesi tra istanze rivendicative di tipo micro-economico e di tipo macro-economico”, nel 1990 lo redarguisce: l'autoregolazione privato-sociale è cosa buona e giusta; però, la legittimazione dei sindacati deve essere accertata in base a “regole ispirate alla valorizzazione dell'effettivo consenso come metro di democrazia anche nell'ambito dei rapporti tra lavoratori e sindacato”.

continua