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La nemesi della democrazia

11/04/2014

Attenti popolo/Lo spettro populista che potrebbe materializzarsi alle elezioni europee è il frutto avvelenato di una democrazia in crisi, sia a livello statale che europeo

In un'intervista apparsa su queste pagine il 31 gennaio scorso, l'ex viceministro dell'Economia Stefano Fassina annuncia l'arrivo di «un'ondata populista anti-europea che travolgerà il Parlamento di Bruxelles eletto nella prossima primavera». Questa previsione è del resto condivisa dalla grande maggioranza degli addetti ai lavori, che denunciano le nefaste conseguenze di un'imminente avanzata dei populismi sul traballante edificio comunitario. Dalla Francia, con il successo del Front National nelle recenti elezioni comunali, già si avvertono inquietanti scricchiolii. In effetti, a poche settimane dal voto europeo del 22-25 maggio non si può escludere l'esaurimento della parabola di un'Europa che nelle intenzioni dei suoi padri fondatori nasce democratica, federalista e solidale, cresce all'insegna dell'austerità tecnocratica e liberista, e muore vittima delle sue stesse ricette sbagliate dilaniata e populista. La preoccupazione è quindi legittima, ma è impossibile capire le ragioni dell'ascesa populista senza collegarle al tradimento della democrazia a cui assistiamo da trent'anni.

Trent'anni di liberismo senza freni in cui sono cresciute a dismisura, fino a esplodere con la crisi economica attuale, disuguaglianze, disoccupazione, precarietà. Mentre i ricchi diventano sempre più ricchi, i ceti medio-bassi subiscono un sistematico impoverimento e arretramento in termini di reddito, lavoro, diritti, tutele di welfare. E ci sarebbe perfino da chiedersi se il patto di cittadinanza non si sia ormai spezzato sotto le spinte centrifughe dell'atomizzazione e della polarizzazione sociale, dell'individualismo consumista, degli egoismi delle élite.

In Europa, i partiti di più lunga tradizione e largo seguito – innanzitutto quelli della sinistra riformista – sono migrati dalla società civile nello Stato per gestire la rendita politica e istituzionale, hanno abdicato alle proprie funzioni di inquadramento, organizzazione e mobilitazione del consenso e delle istanze popolari, hanno dismesso molte tra le parole chiave del vocabolario democratico – uguaglianza, solidarietà, emancipazione, conflitto – accettando supinamente gli imperativi del mercato e i diktat della troika.

Con buona pace di una rappresentanza che nel contempo si è fatta rappresentazione mediatica e plebiscitaria. La miscela di personalizzazione, commercializzazione, spettacolarizzazione del registro espressivo della politica democratica alla base di questa mutazione è oggi potentemente (e profittevolmente) veicolata da vecchi e nuovi media, dalla televisione con i suoi programmi di infotainment ai social network con il loro miraggio tecnologico di democrazia elettronica e istantanea. Lo spettro populista che potrebbe ben presto materializzarsi è allora il frutto avvelenato di una democrazia in crisi, a livello statale ed europeo.

I populismi si alimentano alle radici di questa crisi e speculano animando il rancore di cittadini frustrati, impoveriti, quanto mai esposti alla seduzione di capi carismatici (e mediaticamente attraenti), messaggi semplificatori, facili demagogie: il ritorno all'età dell'oro delle monete e delle sovranità nazionali, l'eliminazione dei nemici interni ed esterni – magari a partire dagli immigrati – che attentano a una pretesa unità e integrità del popolo, e così via. Insomma, tanto più la promessa democratica del «governo del popolo, dal popolo e per il popolo» viene tradita, quanto più viene espropriata e strumentalizzata dai populismi.

Tra tutti quelli che verseranno lacrime di coccodrillo il prossimo 25 maggio, chi si ricorderà di onorare quella promessa?

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Commenti

Insomma...

L'aspetto più indisponente di questo genere di articoli è che, a partire da una melassa mediamente condivisibile di accuse contro sinistra "progressista" e derive populiste, affrontano con sufficienza e supponenza questioni che meriterebbero attenzione, studio e competenza. Mi riferisco in particolare al tema della sovrantià monetaria, rappresentato -con sciocca ironica- come presunto "...ritorno all'età dell'oro delle monete e delle sovranità nazionali".

Ora, se è evidente che tale argomento è stato fatto proprio dalle destre populiste e fasciste, che ne hanno fatto fatto un cavallo di battaglia ridicolo (perchè è ovvio che il ritorno all'Euro non risolverebbe la crisi in un battere di ciglia come qualche demagogo cialtrone sembra lasciar intendere), è altrettanto evidente che si tratta di un tema di grande rilevanza, su cui si stanno spendendo da tempo -anche dalle pagine di Sbilanciamoci- numerose voci che con grande scrupolo cercano di evidenziare i limiti strutturali della moneta unica, le ricadute della sua improvvida adozione in Europa, il suo stretto legame con la profonda crisi che stiamo vivendo. Accostare una tematica così complessa e delicata alla "eliminazione nemici interni ed esterni... a partire dagli immigrati", infilare in uno stesso calderone razzisti ed economisti che criticano uno strumento di cui pare chiaro che l'estensore di questo articolo conosca ben poco, è pratica sleale e diffamatoria. Invece di spoloquiare a vanvera sarebbe il caso -prima di tutto- di informarsi, e poi magari di chiedersi perchè la sinistra abbia superficialmente lasciato un argomento importante (che, senza voler saltare a conclusioni che comunque non mi competono, meriterebbe come minimo un approfondimento ed un dibattito) nelle mani della destra e dei "populisti" (due schieramenti -a scanso di equivoci- che non suscitano in me la minima simpatia).
I cui rappresentanti dimostrano per lo meno di essersi sforzati e di aver letto in questi anni qualche libro. Mentre i fieri progressisti, rappresentanti quanto meno "discutibili" di ceti difesi ben poco in questi ultimi 20-30 anni, pare abbiano trascorso le serate ascoltando esclusivamente i sermoni a senso unico di Giorgio Napolitano e della sua folta schiera di devoti.