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Quale crescita per l’Europa? Un ebook

19/02/2013

Il Social Europe Journal, rivista online che dal 2004 si occupa di politica economica per un’Europa sociale, ha appena pubblicato l’ebookTowards a European Growth Strategy” a cura di Henning Meyer

Raccoglie le proposte di 25 esperti internazionali; tra i più noti ci sono Anna Diamantopoulou, Wolfgang Streeck, Ha-Joon Chang, Robert Skidelsky, Paul de Grauwe. Il lavoro è suddiviso in cinque parti, con interventi e interviste, e si pone l’obiettivo di rispondere a una serie di quesiti fondamentali: quale crescita economica? Riforme strutturali o stimolo della domanda aggregata? E ancora, cosa si intende per riforme strutturali? chi decide tali riforme?

Tra le questioni maggiormente dibattute il ruolo predominante, in termini decisionali, della Germania e della Bundesbank, colpevole di adottare misure definite “too little, too late” e decisa ad accontentare il proprio elettorato interno piuttosto che costruire consenso con una visione europea di lungo termine. Il volume auspica che non sia Angela Merkel a dettare un’agenda di riforme strutturali fondata sulla dipendenza dalla domanda estera e su una debole domanda interna per consumi privati; i risultati sarebbero una maggior disuguaglianza e regole imposte dall’alto che non tengono in considerazione le specificità dell’economia e del mercato dei singoli paesi.

È largamente condivisa la condanna all’austerity e del Fiscal compact, considerati del tutto inadeguati nell’attuale recessione. Vengono chiamate in causa anche le politiche di riduzione del costo del lavoro ai fini della competitività e lo scarso valore dato alla contrattazione salariale che crea un circolo vizioso; il basso livello della produzione porta a un aumento della disoccupazione, soprattutto giovanile, e a peggiori condizioni contrattuali rispetto alle generazioni precedenti. Tra gli elementi critici è interessante riportare l’approccio socio-antropologico di alcune analisi, che dovrebbero essere sviluppate per capire meglio la situazione attuale. In maniera forse un po’ estrema si arriva a dire che la crisi europea è in primis una crisi politica più che economica: questa Europa viene accusata di “stagnare” in una terra di mezzo dove non si torna indietro a valute nazionali e politiche economiche indipendenti, ma allo stesso tempo non si va avanti nel percorso dell’integrazione. Si fa molta fatica ad avere una visione innovativa che, detto in maniera brutale, distrugga vecchi settori economici e faccia spazio ai nuovi attraverso un processo decentralizzato e non quale risultante di politiche volute da Bruxelles. La questione della legittimità e del vuoto nell’attuale processo democratico vengono sottolineate a favore della ripresa di politiche interne per un processo di armonizzazione che vada oltre i dettami del libero mercato.

Entrando nel dettaglio delle critiche e dei possibili aggiustamenti, molti autori sottolineano l’assenza di una politica economica e fiscale comune; l’essersi privati (da soli) dello strumento del tasso di cambio nazionale ha provocato una caduta dei salari, delle tasse a favore dei ceti più abbienti e della spesa sociale. Viene chiamata in causa l’European central bank, accusata di non operare come una banca centrale a sostegno dei paesi in difficoltà; essa potrebbe dare respiro e “tranquillizzare” i mercati finanziari attraverso l’emissione di Eurobond adempiendo alla sua originaria funzione di prestatore di ultima istanza, così come si auspica una unione bancaria che veda la ricapitalizzazione delle banche in difficoltà a livello europeo all’interno dei meccanismi dell’ESM (European stability system o Fondo salva-stati). Il Fiscal compact, che attualmente si concentra esclusivamente sui deficit di bilancio e sul debito, dovrebbe divenire uno strumento per la creazione di una vera unione fiscale per collegare la solidarietà di bilancio con la crescita economica, l'occupazione e la coesione sociale. Si propone di utilizzare l’European Investment Bank, che potrebbe finanziare governi nazionali e regionali per infrastrutture pubbliche (attraverso un sistema di leasing) e investimenti produttivi e di realizzare un miglior utilizzo delle poste del bilancio europeo per ottimizzare l’efficienza della spesa.

Einstein affermava che non si possono risolvere i problemi con le stesse categorie che li hanno generati, e in molti contributi si propone di andare oltre le vecchie categorie per una crescita “in verde” dell’economia cercando di correggere l’attuale inefficienza che vede uno sfruttamento eccessivo delle risorse naturali: esse potrebbero diventare fattori di produzione, come testimoniato dalla Banca Mondiale e dall’UNEP, per aumentare la produttività, generare crescita e ridurre la povertà grazie alla creazione di nuovi posti di lavoro. Per dare impulso alla green economy è imprescindibile il ruolo dello “stato imprenditore” per definire un pacchetto di investimenti nelle innovazioni e infrastrutture generali, a oggi completamente rimossi dai programmi e sostituiti con l’austerity.

L’ultima parte del lavoro si concentra sui casi nazionali declinando le misure necessarie per i paesi maggiormente in difficoltà: Grecia, Spagna, Irlanda e Italia. In generale anche per i singoli paesi le misure proposte vedono l’impegno di uno stato più attivo nello stimolo dell’imprenditorialità e del lavoro, maggiore utilizzo delle energie rinnovabili e stabilizzazione dei sistemi bancari più a rischio (Grecia). Per l’Italia, Paolo Borioni nega l’accusa che da tempo ci sentiamo rivolgere di “aver vissuto al di sopra delle nostre possibilità”, visto il dato positivo in termini di risparmio rispetto al debito, e propone interventi che riequilibrino la distribuzione della ricchezza in termini di tassazione, che migliorino una serie di strumenti urgenti quali i sussidi di disoccupazione e politiche attive del mercato del lavoro per stimolare la domanda.

La diversità dei contributi all’ebook affianca questioni ben sviluppate (green economy e ruolo delle istituzioni europee) ad altre più confuse in termini delle riforme necessarie: occorre intervenire nell’immediato sull’offerta e/o sulla domanda? Non tutti si esprimono a favore degli Eurobond; temi come l’export, una efficiente rete ferroviaria di collegamento europeo, nuove metodologie di misurazione della competitività sono spesso analizzati fuori contesto. In alcuni punti si evoca la flessibilità lavorativa senza tenere in considerazione le differenti caratteristiche dei mercati del lavoro a livello nazionale. Alcuni interventi mostrano una base ideologica che vede l’attuale sistema da “correggere”, piuttosto che un’ottica di cambiamento radicale; si propongono spesso misure efficaci più ad aggiustare gli effetti che non a intervenire sulle cause. Allo stesso tempo i contributi offrono una serie di utili spunti, come la parte più tecnica su Eurobond, bilancio europeo, European Investment Bank. Ma anche lo stimolo a riflettere sulla base sociale che caratterizza l’eterogeneità di popoli con storie e culture diverse per un’integrazione che non sia dettata dall’alto lasciando alla sola economia il compito di definire l’identità dell’Europa.

L’ebook si può scaricare qui:
www.social-europe.eu/wp-content/uploads/2013/01/eBook.pdf

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Commenti

Euro si, Euro no, Euro si, Euro no, Euro si,

insomma, alla vigilia delle elezioni politiche in Italia, a chi come me ancora non ha 'deciso' se sia meglio stare nell'Euro - per salvaguardare i pochi risparmi - oppure uscire dall'Euro - con la promessa che la svalutazione ci restituisca lavoro e pace sociale - ebbene, questo libro sembra non dare risposte, se non affermare che l'Europa politica e' naufragata, e che siamo alla deriva... 'Terra in vista', Capitano??
Perche' in ultima istanza siamo noi cittadini a DECIDERE sull'Euro, e domenica o lunedi' possiamo farlo.
Grecia Docet.