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Come leggere le città. Milano, ad esempio
Milano torna agli abitanti del 1951. Ma altri quattro milioni di persone ci vanno a lavorare. I fenomeni sociali sono più complessi – e meno negativi – dei dati che li misurano
All’avvio dell’anno nuovo vorrei fare una proposta: che non si continuino a guardare dati e vicende che ci riguardano sempre e solo in termini negativi: nella comunicazione, stampa, televisione, dibattiti pubblici; e nelle nostre teste.
Uno stimolo mi è venuto leggendo un articolo di fine anno (29 dicembre) di Massimo Rebotti sul Corriere della Sera, che porta all’attenzione “temi impegnativi che meritano discussioni e visioni”. Dunque partecipo, a modo mio, alla discussione.
Al centro dei dati e delle considerazioni di questo scritto un aspetto che, sottolinea l’autore, “mette a disagio”: appunto, il titolo dell’articolo è “la città che non cresce”. Si tratta di Milano: la “decrescita verticale dei milanesi” è un altro richiamo.
Si riportano dati del Censimento del 2011: guardando al decennio 1991- 2011 ci sono mezzo milione di abitanti in meno. Si fa riferimento al numero crescente di “immigrati” , “nuovi cittadini” (questo ormai è un aspetto ben noto). Ma il punto è che ” la città è tornata ad avere lo stesso numero di abitanti del 1951”. E si arriva a pensare che Milano “non attragga più gli italiani, anzi ne abbia fatti scappare”.
Naturalmente si sottolinea il deficit delle nascite: “i rari bambini” è l’espressione.
Più inconsueto, si mette in luce il “dato del censimento che fa di Milano una metropoli nettamente femminile”. L’analisi porta l’attenzione su dati e processi. E prevale – così a me sembra – una lettura appunto negativa. Niente di inconsueto.
Passo all’altra osservazione che a me viene da fare, anche questa scontata: nel descrivere fenomeni sociali complessi (come una città; ma anche tanti altri) bisogna usarle con molta cautela, le statistiche. Nel calcolare il dato della popolazione di Milano si tiene conto di quelli che ci abitano, ovvio. Ma ci sono, tutti i giorni, diversi milioni (quattro, un dato recente) che passano nella città la loro giornata lavorativa: dunque forniscono attività e risorse importanti; utilizzano servizi, attrezzature: sono, a tutti gli effetti, cittadini i city users (un’occasione per ricordare Guido Martinotti, che per molti anni ha portato allo studio delle città il suo articolato sguardo di sociologo).
Avere come riferimento i dati “all’interno dei confini comunali” non ha senso (lo riconosce l’autore dell’articolo, che accenna all’”imminente passaggio alla città metropolitana”: ci saranno i “nuovi milanesi”, dice). Ma arrivando a Milano in treno, in macchina, li vediamo, gli spazi occupati da condomini e case e supermarket e shopping center (da anni si parla, in tutta Italia, della “cementificazione”). Siamo abituati agli ingorghi di traffico in entrata e in uscita dalla città. In certe ore tantissimi, in metropolitana (a volte mi viene da pensare che forse una parte dei pendolari vorrebbero davvero “scappare” da questi modi di viverla, la città).
Cittadini di Milano, comunque, i milioni di city users.
Ci sono, nell’articolo, temi e questioni per i quali si chiede agli amministratori della città una “riflessioni più vasta” . Dunque analisi e letture che portino in modi adeguati lo sguardo su possibili aspetti di cambiamento, di sviluppi futuri (o almeno di “aggiustamento”). Parecchi di loro ci stanno lavorando.
Non si tratta solo di avere ben chiaro che con i dati statistici non si “misurano” adeguatamente i complessi aspetti del sociale: comunque, un problema da affrontare. È da condividere la sollecitazione proposta a conclusione dell’articolo con queste parole: essere partecipi di “discussioni e visioni che vadano oltre il day by day che spesso ci prende”.
Dunque torno alle visioni. Proviamoci: anche, se ci riusciamo, positive, innovative.
E in conclusione una nota. A Milano – tra molte altre attività e iniziative – un gruppo di studio si è dato l’obbiettivo di guardare a Milano oggi, domani, dopodomani (o, trattandosi di un progetto europeo, in inglese Milano Becoming). Io ne faccio parte.
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