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15 ottobre

Io, in movimento fuori dai recinti e dagli scontri

19/10/2011

Riflessioni dopo il 15 ottobre. Sentimenti di chi vuole essere radicale negli obiettivi e nelle forme della lotta senza distruzioni che ci paralizzano

Documento politico? No, non sono in grado, troppi pensieri sparsi, e poi è una formula che poco mi appartiene.
Sfogo? No, forse un primo, timido, tentativo di riorganizzazione di sentimenti e punti di vista, anche contraddittori, che mi abitano da qualche ora.
Per chi? Perché? Per me stessa innanzitutto, per capire come continuare (l’unica certezza è che bisogna e voglio continuare), e per gli “altri”: amici, compagni di avventure amicali, politiche, lavorative… Coloro con cui sento a vario titolo affinità in qualche forma.
Infine (o in primo luogo) perché questo non è l’unico mondo possibile.

Il capitalismo è capitolato: uno dei tanti cartelli di produzione personale innalzati ieri a Roma dagli indignati di tutta Italia recitava così. Già… e dopo? In fondo ci eravamo abituati, pur criticandolo, a questo sistema, ci pareva di conoscerlo (lo sottovalutavamo), ma ora che è in una crisi irreversibile per eccesso di voracità cosa immaginiamo? cosa possiamo creare per il “dopo” in questo difficile “durante”? La suggestione del “benicomunismo” proposta da Zizek, praticata al Teatro Valle e nei comitati per l’acqua (e altrove, in tante microrealtà sociali e politiche locali, nazionali, mondiali) mi stuzzica, avrei voglia di approfondirla e progettare in quella direzione. Ma chi ci sta? O ci aspettiamo da qualcuno la magica ricetta di uscita dalla crisi con un cambio di maggioranza di governo (pur urgente ed auspicabile, beninteso), qualche taglio più digeribile (le spese militari, per dirne una), un nuovo gruppo di parlamentari più presentabile (che pur non guasta, anzi..)? Bisogna inventare, pensare, provarci, proporre, ci serve intelligenza perché la svolta è davvero epocale. Ci serve non avere paura di un nuovo mondo che in effetti non sappiamo come potrà essere. Ma come vorremmo che fosse?

Roma 15 ottobre: fino ad un certo punto è stato l’energia e la sfacciataggine stile gay pride, l’ironia dei comitati che hanno fatto eleggere Pisapia, la creatività dei lavoratori della conoscenza e dello spettacolo, la rabbia dignitosa di chi ha perso il lavoro o lo ha precario, la bellezza della varietà (generi, generazioni, etnie, stili, gusti musicali, slogan, percorsi,..): tutti in cammino assieme perché così proprio non va. In quasi 35 anni di cortei e iniziative non ho mai smesso di stupirmi ed incuriosirmi per come siamo diversi, ma simili; ripetitivi, ma originali; gli stessi di sempre ed i nuovi di oggi. A Roma c’erano decine di migliaia di persone non rassegnate, il Capitale Sociale di questo paese, ognuno con le sue qualità e tanti limiti. Non spariranno – non spariremo domani, torneranno-torneremo a lavorare nei quartieri, nella scuola, nei luoghi di partecipazione, in alcuni sindacati, e ci si riconvocherà presto, è sicuro. In Italia e nel mondo. Perché sappiamo che se si manifesta in totmila è perché altri totmila lo farebbero e forse domani lo faranno, perché abbiamo coscienza di essere quasi il 99%. Io stessa ero in piazza a nome di tanti amici che non hanno viaggiato fino a Roma, ma che condividono appieno le parole d’ordine del movimento. E’ una bella occasione ed una grande responsabilità essere potenzialmente la maggioranza nel pianeta! Non vanno sprecate.

Black bloc. I soliti noti. Fanno tristemente parte delle possibilità da mettere in conto quando ci si mobilita in Italia, dalla Val Susa a Piazza san Giovanni. Lascio ad altre sedi le considerazioni, che pur mi stanno a cuore, di carattere socioeducativo e politico sulla natura di questo fenomeno. Mi permetto solo di dire (a caldo) che la formula del corteo li attrae ed eccita, così da poter immaginare che ce li troveremo sempre tra i piedi. E io e tanti altri non li vogliamo, sia chiaro. Voglio – vogliamo essere anche radicali negli obiettivi e nelle forme della lotta senza essere inutilmente distruttivi, per cui vanno (finalmente? Di nuovo?) scelte altre modalità di mobilitazione, che spiazzino (nel senso letterale: fuori dalla piazza!) per primi costoro, che li costringano a chiedersi se vogliono fare come a Tottenham (qualcuno si chiede cosa è restato di quel terribile fuoco di paglia estivo?) o entrare in dialogo con altri cittadini e movimenti, su obiettivi da perseguire con caparbietà e coerenza. E tanti compromessi necessari perché ne vale la pena. Il sit in, il boicottaggio continuo, flash mob periodiche e coordinate, l’accampamento in luoghi nevralgici, lo sciopero delle città (perché non tutti hanno un lavoro e quindi l’astensione tradizionale non basta più), penso possano avere meno appeal per chi cerca lo scontro con la copertura del corteo e consentano poco di aggregare chi si fa tentare dalla via militare (e maschile) per fare opposizione. In Italia ci abbiamo già provato, come, donne, come movimento della pace, anche a Genova,.. La repressione c’è stata comunque e ci sarà, è utile ricordarlo, ma la confusione tra mezzi e fini no, l’ambiguità rispetto a linguaggi e modelli violenti no, la chiarezza circa il futuro che si intendeva costruire a partire da lì è stata allora (e dovrà essere) netta. Nulla è risolutivo, nulla è a costo zero, nessuna modalità di lotta è dura e pura, ma c’è una qualità del far politica che va preservata e una necessità di proteggere il movimento da paralisi, depressione, paura, soprattutto dopo quello che è successo a Roma. E che ha compromesso per molto tempo il dopo Genova. Vogliamo imparare dalla nostra storia ed esperienza? Non si tratta (solo) di condannare i violenti, si tratta di dire che noi facciamo e forse vogliamo un’altra cosa, siamo da un’altra parte. Poi coi ragazzi delle tifoserie, coi desperados delle periferie, coi militarizzati del blocco nero io ci vorrei pure parlare…ma senza confondermi nel momento della protesta e senza far degenerare le nostre iniziative causa loro. Diciamo NO al blocco nero del pensiero e dell’azione che si impossessa di noi.

Il movimento è disorganizzato. Certo, e deve essere in parte così. Nonostante la gratitudine per chi come la Fiom e altri mettono a disposizione le proprie forze e competenze per far accadere gli eventi nazionali in questi anni, non sono d’accordo con quanti ieri evocavano i servizi d’ordine per respingere “i facinorosi”. Ci abbiamo provati tutti a metterli fuori dal corteo, qualcuno è stato in grado di farlo più efficacemente perché più intruppato, esperto, organizzato, maschio. Qualcuno/a ha rischiato perché a mani nude contro bastoni, muscoli, bottiglie e caschi. Ma questo movimento è e deve restare abitato da pensionati, donne, bambini piccoli, disabili in carrozzina, signore con la borsa della spesa. Tutti più o meno sciolti, in un’autorappresentazione collettiva unica, ciascuno col suo cartello o striscione o simbolo. Non so se è movimento o moltitudine o altro, io la chiamerò cittadinanza attiva e diffusa, organizzabile fino ad un certo punto, perché si autoorganizza su obiettivi e campagne di volta in volta, non scegliendo necessariamente appartenenze organizzative stabili, ma partecipazioni mirate e temporanee. Organizziamoci quel tanto che basta per fare massa critica ogni tanto, senza rimpianti per i bei (??) tempi andati dei servizi d’ordine o delle sigle. Riferiamoci e siamo grati alle diverse organizzazioni che scelgono di stare nel movimento senza cercare di cavalcarlo, aggregando, ascoltando, proponendosi, mettendosi a fianco ed insieme. Ce ne sono, di più datate e anche di nuove, e sono state preziose ieri a Roma.

Solo in Italia gli scontri: vero, interessante. Ricordiamoci però che in Francia certo disagio sociale si è ampiamente manifestato in senso distruttivo con i roghi nelle periferie, che in Inghilterra ancora cercano i responsabili delle devastazioni di questa estate, che in Grecia di scontri ce ne sono periodicamente da due anni a questa parte. A New York hanno arrestato decine di militanti OWS presenti pacificamente nei diversi accampamenti, in Spagna stanno sperimentando forse qualcosa di diverso da cui dovremmo imparare. Insomma: ogni paese ha tradizioni politiche e della protesta sociale diverse, ci sono anche tradizioni dell’ordine pubblico e della repressione specifiche, forse noi siamo troppo ancorati a certe modalità e ritualità (vedi quanto detto sopra) e forse alcuni di noi sono anche (permettetemi) un po’ pigri: accamparsi, spostarsi, rischiare arresti, tenere un obiettivo, scioperare ad oltranza, ecc.. è troppo impegnativo. Non voglio fare la moralista, ma mi pare che la fase e la posta in gioca ci richiedano maggior esposizione, come in Val Susa (turni al presidio No Tav giorno e notte a rotazione per mesi, col freddo e col caldo, con la Polizia a pochi metri e le incursioni nei campeggi), come l’anno scorso nell’occupazione di monumenti e tetti, come coi blocchi stradali o dei treni, ecc.. Direi che forse in Italia non riusciamo ad organizzare una disobbedienza civile allargata e fatta bene, al di là degli scontri del 15 ottobre. Forse spagnoli, americani e cileni ci stanno riuscendo (ne so troppo poco, comunque).

Tre week end, tre appuntamenti: la settimana scorsa ero all’Arco della Pace con Libertà e Giustizia, ho condiviso molto di quanto è stato detto da più oratori, ma non posso dire che sia il mio ambiente. Sabato ero a Roma col movimento degli Indignati. Il 22 e 23 cioè il prossimo week end li passerò in un seminario dei Comitati per Milano sui temi della partecipazione democratica alla vita cittadina, dopo la primavera che ha portato all’elezione di Pisapia. Io faccio tutto…o quasi. Intendo dire che, rischiando forse di disperdermi, voglio aggregarmi laddove ci sono embrioni di futuro, situazioni che mi sembrano politicamente generative, appelli mobilitanti, interlocutori autorevoli da sostenere, piccole e grandi azioni per influenzare i cambiamenti. È anche un tentativo di collegare le micro sfere di partecipazione politica alle grandi questioni e sfide del periodo. È un tentativo di fare politica fuori dai recinti più consolidati dei gruppi e dei partiti. È anche un modesto contributo e costruire ponti tra le diverse esperienze micro e macro. Credo che ci sia bisogno di chi sta su oggetti specifici e in gruppi stabili, ma anche di chi collega, si muove, riconnette, allarga. Per vocazione mi sono iscritta al secondo gruppo, ma è difficile, un sacco di volte mi sento chiedere “Tu con chi stai?”, prima ancora di ascoltare cosa ho da dire. Credo che nelle vie di Roma sabato e in tutta Italia ci sia sempre più gente che non è con… o di…. , ma fa politica e vuole esserci, contare, farsi ascoltare. Non è antipolitca o prepolitica o confusione: è qualcosa di diverso, ha limiti e qualità, ma non è e non deve essere considerato di serie B.

e si potrebbe andare avanti. Ma non lo farò, non ora, se non con altri, discutendo assieme su queste o altre cose che ci aiutino ad affrontare al meglio ciò che ci aspetta. Si accettano partnership, consigli, incertezze, metafore, proposte, pensieri sparsi, provocazioni.

17 ottobre 2011

 

 

 

 

 

 

 

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Commenti

a proposito del 15 ottobre, delle violenze, delle prospettive

ciao a tutti/e, di Sbilanciamoci, ciao Barbara.
vedo solo ora questo intervento.
spero non sia sgradito nè del tutto fuori tempo il piccolo contributo che posto qui di seguito.
finora l'ho mandato per mail o con FB ai miei contatti (pochi: Rete Lilliput, alcuni di SEL o anche PD, a Bologna e un po' altrove).

<<Cose da considerare. E una cosa da fare. Subito, possibilmente

[pubblicata come 'nota' da Gualtiero Via nel suo profilo Facebook il giorno lunedì 17 ottobre 2011 alle ore 12.25]

Molto si sta discutendo dopo gli scontri e le devastazioni di sabato 15 a Roma. Alcune cose a me pare si possano stabilire, e una almeno, anche, fare.

Dagli errori, e comunque dall'esperienza, si deve saper trarre insegnamento.

Un insegnamento -secondo me- è che un servizio d'ordine come struttura permanente, inevitabilmente separata, può diventare cosa a sè e strumento di violenza, discrezionale e da condannare (e può attrarre chi solo dalla violenza è affascinato: è storia italiana ben nota, non c'è bisogno di dire altro).

Un altro insegnamento è che i molti che intendono manifestare pacificamente, e credono doveroso farlo, devono anche essere realisti e responsabili, e preoccuparsi della difesa -per sè, per tutta la cittadinanza a cui ambiscono a rivolgersi- del loro diritto e delle loro stesse persone. Per fare questo è INDISPENSABILE fare un vero salto nella cultura dell'autorganizzazione e anche certamente porsi il problema del servizio d'ordine.

Sarebbe (è?) un'occasione straordinaria per le organizzazioni politiche (PD, SEL o altri, poco m'interessa chi): esse se lo vogliono hanno mezzi e strutture, ma dovrebero mettersi al servizio, non decidere tutto e solo loro.

Il servizio d'ordine dovrebbe essere estremamente ampio: non meno di uno ogni 20 o 30 persone, e preparato con protocolli partecipati, improntati alla nonviolenza, sottoscritti da tutti.

Non sarebbe imposibile, se ci fosse la volontà.>>