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Cambiamenti climatici: chi paga il conto?

07/12/2009

La Campagna per la riforma della Banca mondiale nel giorno d’apertura del vertice sull’ambiente di Copenaghen, chiede hai Paesi del Nord del mondo se sono seriamente intenzionati a pagare il conto dei cambiamenti climatici, oppure se non andranno oltre i soliti sterili impegni di facciata.

 

Il riscaldamento globale è un dato di fatto ormai riconosciuto dalla comunità scientifica e dai governi di tutto il globo, eppure non è ancora chiaro se e come i Paesi europei, e quindi anche il nostro, metteranno a disposizione delle realtà più povere del pianeta i finanziamenti necessari a sostenere i costi dell’adattamento ai cambiamenti climatici che già oggi stanno pagando.

 

Le risorse da impiegare devono essere pubbliche e non devono presentare delle condizionalità, oltre a essere addizionali rispetto ai livelli attuali degli aiuti pubblici allo sviluppo. Devono essere messe a disposizione attraverso i meccanismi già in piedi nell’ambito della UNFCCC e gestiti sotto l’autorità della Conferenza delle Parti.

 

Se il problema dei governi è come generare le risorse necessarie, si potrebbe iniziare da una tassazione delle esternalità negative, ambientali come finanziarie, che permetterebbe così di risolvere la questione nel breve termine. Al riguardo una tassa sulle transazioni finanziarie internazionali sollecitata da più governi, seppure applicata solo alla zona Euro, potrebbe già contribuire anche alle spese dei paesi più poveri per far fronte ai cambiamenti climatici.

 

Sarebbe inoltre necessaria una pronta riforma dell’attuale sistema degli aiuti, che dovrebbe diventare “climate friendly”. Non è più accettabile che finanziamenti pubblici continuino ad essere spesi per sostenere l’industria estrattiva che danneggia l’ambiente, contribuisce alle emissioni di CO2 globali e non aiuta la lotta alla povertà. In questo senso, la Banca Mondiale, visto che continua ad investire pesantemente nei progetti per l’estrazione di combustibili fossili (2,2 miliardi all’anno di media nel triennio 2007-09, di cui 470 per il carbone) e non nelle fonti rinnovabili (783 milioni nello stesso periodo), non può in nessuna ipotesi rientrare tra le istituzioni candidate alla gestione della finanza per il clima globale.

 

“Per noi è inoltre fondamentale che Copenaghen sia una tappa intermedia per l’estensione del protocollo di Kyoto, che va implementato e reso operativo il prima possibile” ha dichiarato Elena Gerebizza della CRBM. “I governi europei devono accettare gli obblighi vincolanti previsti da Kyoto e impegnarsi diplomaticamente per fare sì che anche gli Stati Uniti entrino nel cosiddetto Kyoto plus” ha continuato la Gerebizza. “E’ impensabile oggi ricominciare a negoziare un nuovo accordo, peraltro su basi volontarie, solo per favorire l’ingresso degli Usa. Altra cosa sarebbe invece tagliare i “rami secchi” del protocollo, come il mercato dei crediti di carbonio, che ha creato solo ulteriori speculazioni finanziarie e non ha portato grandi benefici all’ambiente” ha concluso la Gerebizza.