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Un'altra energia è possibile

30/05/2011

L'Italia voterà sul nucleare. Per prepararci, andiamo a lezione in Germania. Il piano enegetico nazionale tedesco farà una scelta chiara: abbandonare l'atomo a favore delle rinnovabili

C’è un’alternativa al nucleare? Sembra proprio di sì. E se questa risposta viene della Germania che ha affidato negli ultimi tre decenni a 17 centrali nucleari il soddisfacimento interno della sua domanda di energia per uso civile, qualcosa vorrà pur dire. Il governo tedesco ha, difatti, annunciato per giugno la presentazione della nuovo Piano energetico nazionale che sancirà l’uscita definitiva della Germania dal nucleare, e si è impegnato a chiudere entro il 2022 i suoi 17 reattori. Ma a quali fonti di energia dovrà affidarsi Angela Merkel per sostituire l’energia dell’atomo senza pregiudicare l’autosufficienza energetica? La strategia nazionale tedesca opta per un deciso riorientamento verso le nuove forme di energia rinnovabile, con un forte impegno dei nuovi investimenti nel settore verde, realizzando così la ricomposizione del suo mix energetico a favore delle energie rinnovabili. La potenzialità delle rinnovabili è elevata, ed è a questa che guarda con lungimiranza la società e l’economia tedesca. Ma cosa accade negli altri paesi?

Nel 2009, in Europa più del 60% della nuova energia è stata prodotta dalle fonti rinnovabili. Leader tra i paesi europei è proprio la Germania. Nell’ultimo decennio essa ha triplicato l’impiego di fonti verdi per la produzione di energia e, secondo le più attendibili proiezioni, comunque precedenti al varo del nuovo Piano nazionale energetico, che segnerà l’abbandono dell’atomo, coprirà entro il 2020 un terzo della sua domanda interna con energia rinnovabile. Al di fuori dell’Europa si registrano trend simili, se non addirittura più sostenuti. Negli Usa tra il 2009 ed il 2010, sulla spinta della green economy varata dal governo Obama, il 45% della nuova potenza elettrica installata ha riguardato le fonti di energia rinnovabile. Nei paesi Bric, e in particolare nella Cina, si è registrata una riconversione della produzione di energia dalle tradizionali fonti fossili (particolarmente il carbone) a quelle rinnovabili.

Anche l’Italia, nel decennio appena trascorso, seppure tra ritardi e contraddizioni, si è mossa in questa direzione. E questa strada si presenta oggi come la via maestra da percorrere per andare oltre il nucleare. Lo sviluppo delle rinnovabili offre infatti alla nostra economia la duplice opportunità di avvalersi di uno stimolo alla crescita attraverso i nuovi investimenti, e di rinnovare e potenziare le politiche per la tutela dell’ambiente, disegnando la nuova traiettoria dello sviluppo sostenibile. Ad oggi, l’Italia è il quinto paese in Europa per produzione elettrica da rinnovabili (circa 59 Tw annui). In testa a questa speciale classifica troviamo la Germania (91 Tw), seguita da Svezia (80 Tw), Francia (64 Tw) e Spagna (60 Tw). Sebbene questo dato sia incoraggiante, nel nostro paese il peso delle rinnovabili sul totale dei consumi di energia primaria resta tuttavia ancora insufficiente, ancorato da oltre un decennio a un valore intorno al 5%. Per comprendere il perché di questa debole crescita delle rinnovabili va ricordato che l’attuale quadro energetico italiano risente della scarsa incisività della politica energetica nazionale, che dalla fine degli anni ’80 – con il Piano energetico del 1988 – a oggi ha mancato nel fornire policy innovative, e strumenti, capaci di incidere sul mix del fabbisogno energetico.

L’attuale politica energetica e ambientale europea, oltre alla crisi del nucleare, impone però al nostro paese delle immediate e radicali scelte. Con il Pacchetto clima-energia il Consiglio europeo ha difatti fissato per i paesi europei gli obiettivi in campo energetico per l’anno 2020: ridurre del 20% le emissioni di gas serra; portare al 20% il risparmio energetico (obiettivo però non vincolante); aumentare al 20% il consumo da fonti di energia rinnovabile. All’Italia l’obiettivo assegnato delle rinnovabili sul totale dei consumi di energia primaria è del 17%, vale a dire a circa tre volte l’attuale livello.

Molti recenti studi hanno tentato di quantificare l’effetto di questi mutamenti sulla crescita economica e sull’occupazione in Europa e in Italia. Tuttavia, misurare i cambiamenti indotti dalle politiche energetiche a favore delle rinnovabili è complesso poiché numerose sono le variabili tecnologiche, socio-economiche e istituzionali, che influenzano la crescita dei nuovi comparti verdi. Il caso della Germania è esemplificativo. Esso mostra come le politiche tedesche dell’ultimo decennio a sostegno delle rinnovabili siano state determinanti non solo per la produzione di energia verde e per l’innovazione tecnologica nel settore, ma anche per le esternalità positive sulla crescita e sugli spazi occupazionali al di fuori del settore elettrico e, dunque, a vantaggio dell’intera economia nazionale tedesca.

Poiché, diversi modelli econometrici offrono stime differenti al 2020, un buon punto di partenza per un confronto è il livello attuale dell’occupazione nei settori delle rinnovabili. Concentriamoci sull’Italia. Secondo i dati forniti dalla Commissione europea, dall’Enea e dalle associazioni di settore si valuta che in Italia l’occupazione verde, tra occupati diretti e indiretti, conti attualmente poco più di 100 mila unità. Per fare un confronto, nell’Europa a 27 si stimava nel 2005 un’occupazione diretta di circa 1,4 milioni di occupati. In Italia, i comparti delle rinnovabili più importanti per l’occupazione sono l’eolico, con circa 10.000 addetti complessivi (4.400 quelli diretti), il solare fotovoltaico, con circa 5.700 addetti complessivi, e quello delle biomasse, con circa 25.000 occupati diretti; mentre il resto dell’occupazione si distribuisce tra il geotermico, il solare termico, il mini idrico e le altre forme minori di produzione di energia da fonti rinnovabili che impiegano, tra diretti e indiretti, circa 50 mila occupati. Va sottolineato che, nel nostro paese il settore delle rinnovabili ha una distribuzione territoriale disomogenea. Tuttavia lo sviluppo del settore verde lascia presagire il rafforzamento di questi comparti (l’eolico e il fotovoltaico in particolare) specialmente nelle regioni del Mezzogiorno, presentandosi quindi come un’ulteriore occasione da non perdere.

Per quanto riguarda gli scenari attesi da oggi al 2020 le previsioni dei modelli possono variare, ma non sembra possa essere messo in discussione l’impatto complessivamente positivo sul potenziale occupazionale delle rinnovabili. Riassumiamo alcuni dei dati più significativi delle indagini. Per l’Italia emerge che l’occupazione potenziale lorda al 2020, ossia quella riguardante il solo settore delle rinnovabili, potrebbe superare, negli scenari più ottimistici, le 200 mila unità. La Commissione europea (Rapporto EmployRes, 2009) stima al 2020 pari a 210 mila unità l’occupazione lorda in Italia, con 32 mila occupati nell’eolico, 35 mila nel fotovoltaico e 91 mila nelle biomasse. Lo studio dell’Iefe-Bocconi (2009) valuta che un investimento medio annuo nelle rinnovabili di 8 miliardi avvantaggerebbe l’Italia di un potenziale occupazionale complessivo di 100 mila occupati nelle bioenergie, seguito dall’industria eolica (77 mila) e dal solare (47 mila). La restante occupazione si distribuirebbe tra gli altri comparti delle rinnovabili come l’idroelettrico e la geotermia per un totale di 250 mila occupati nel settore. Valori simili per il comparto eolico e fotovoltaico sono indicati da uno studio del Cnel-Issi (2009). Stime sempre positive, anche se più prudenti, emergono infine dal rapporto “Lotta ai cambiamenti climatici e fonti rinnovabili” (2010) curato dell’Osservatorio sull’Energia e Innovazione dell’Ires-Cgil. Sommando i dati dell’occupazione diretta di quella indiretta e dello spiazzamento occupazionale che seguirebbe alla ricomposizione del mix energetico a favore delle rinnovabili, l’Ires stima un effetto netto sull’occupazione totale del settore elettrico (rinnovabili e non) che oscilla tra le 53.500 e le 97.500 unità complessive. Ciononostante, le proiezioni fornite dal Rapporto Ires mostrano che l’occupazione italiana nel settore delle rinnovabili è crescente, raggiungendo le 200 mila unità al 2020 con una predominanza delle biomasse, del fotovoltaico e dell’eolico.

È dunque in corso una rivoluzione epocale dei metodi di produzione di energia. Questa rivoluzione intreccia le questioni relative ai temi ambientali, a quelli economici, occupazionali, e normativi. Ma, il successo di questo cambiamento dipenderà sia dalla capacità del sistema produttivo di adeguarsi ai nuovi processi e alle nuove tecnologie green, che dalla velocità con cui la politica saprà intercettare i nuovi bisogni delle famiglie e delle imprese, definendo regole che sostengano la crescita delle rinnovabili, tutelando la salute e l’ambiente. Sarà il combinato disposto di questi fattori a determinare il successo delle rinnovabili e la loro capacità di condurci oltre il nucleare.

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