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L'Europa di fronte alla crisi mondiale
Ancora una volta è stata la grandeur francese ad aprire il gioco, in attesa dell'imminente insediamento della nuova e storica Presidenza americana, per dare una prima risposta alla crisi globale. Nicolas Sarkozy, sostenuto dalla presenza di Angela Merkel, da uno stranamente ritrovato Tony Blair e dal ministro Tremonti, ha discusso per due giorni di una via più etica al capitalismo, modo elegante per parlare di riforma del sistema economico e finanziario internazionale o di nuovo ordine economico internazionale in cui non siano solo gli Usa a decidere il risultato finale. Sarkozy si è anche spinto oltre, decretando forse un po' troppo precocemente la fine di un fallimentare capitalismo finanziario.
E' indubbio che di fronte alla crisi vi siano numerosi tentativi di far rinascere un asse franco-tedesco come motore di una rinnovata iniziativa europea a livello internazionale. Ma proprio nell'azione franco-tedesca vi è un intrinseca contraddizione. Da un lato si sfida la Presidenza Obama ad accettare la strada del multilateralismo – e se si vuole del ridimensionamento dell'unica super-potenza rimasta – per trovare un accordo su temi sistemici e così rilanciare il G20 come il vero nuovo foro multilaterale rappresentativo di tutti gli interessi e la cassa di compensazione politica della globalizzazione economica e finanziaria. Con questo si conferma la testardaggine europea di promuovere un nuovo ruolo della Banca mondiale e del Fmi, nonché accettare il rafforzamento del poco trasparente e democratico Financial Stability Forum guidato da Mario Draghi – senza menzionare l'ossessione per la chiusura del Doha Round alla Wto. In breve, uno status quo con minimi aggiustamenti in termini di politiche neoliberiste.
Dall'altra parte si riconosce che tutto ciò non basterà nel lungo termine e l'incontro di Parigi si è chiuso a sorpresa con il rilancio dell'idea - da sempre francese – della necessità di creare un consiglio di sicurezza economico nelle Nazioni Unite. Una vera e propria sfida al prossimo negoziato del G20 ad inizio aprile a Londra, se si pensa che le Nazioni Unite hanno creato sin da novembre una propria task force di alto livello, presieduta da Joseph Stiglitz, sulla crisi finanziaria e la necessaria riforma dell'architettura finanziaria internazionale su richiesta del Segretario Generale e del Presidente dell'Assemblea Generale dell'ONU. Un tentativo di non lasciare tutta la scena globale ai soliti Fmi e Banca mondiale con la loro nuova e finta retorica di ritorno al neokeynesismo e aiuto pubblico ai più poveri. La stessa ONU da marzo dovrebbe avviare il processo negoziale verso una nuova Conferenza monetaria ed economica da tenersi entro l'anno.
Oramai è chiaro come ci sia uno scontro tra due modelli per discutere e risolvere in maniera duratura la crisi attuale. Come sempre l'Europa è nel mezzo e non riesce a scegliere, con un Regno Unito che rischia di tirare il gioco agli Stati Uniti più che al Vecchio Continente. Per il momento la Cina e le altre potenze emergenti temporeggiano ancora, ma è evidente che in un rinnovato dualismo tra le due sponde dell'Atlantico e dentro l'Europa stessa saranno probabilmente queste a fare la differenza.
E l'Italia, da pochi giorni presidente di turno dell'obsoleto G8? Beh, l'idea di un G8 a geometria variabile nei suoi allargamenti in funzione dei temi da trattare sembra solo una fase di transizione destinata a chiudersi presto. Così come un “G8 ombra” per appianare le divergenze tra il modello anglosassone e gli altri in preparazione degli incontri del G20 sembra pure inadeguato alla situazione. Indubbio che molti degli stessi partner europei, a partire da Downing Street, difficilmente lasceranno spazio al protagonismo della diplomazia italiana nell'esplorare soluzioni di lungo periodo in attesa di una “nuova Bretton Woods”. Di sicuro a ben poco serviranno in questo gioco sul futuro assetto mondiale le riflessioni intellettualoidi sull'etica del capitalismo che hanno tenuto banco fino a oggi a Via XX Settembre.