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Finanza e politica, la corsa agli anni ’30

16/12/2011

Christine Lagarde si è spaventata: la finanza corre verso l’abisso, la recessione avanza, gli stati sono al si salvi chi può, la politica non capisce e non decide. Ma l’alternativa al ritorno di una depressione stile agli anni trenta ci sarebbe

È stato relativamente facile per Mario Monti avere ieri la fiducia della Camera al suo programma di austerità. Più difficile è il compromesso dell’ultimo minuto negoziato al Senato Usa su come trovare i 200 miliardi di dollari che mancano in bilancio. Per mantenere gli sgravi fiscali ai lavoratori dipendenti, i democratici vogliono tassare i redditi oltre 1 milione di dollari, ma i repubblicani hanno posto il veto; senza accordo, la spesa pubblica sarebbe senza copertura e lo stato dovrebbe letteralmente chiudere gli uffici pubblici.

La politica sembra paralizzata e finanza corre verso l’abisso. L’agenzia di rating Fitch ha abbassato i voti a sette delle maggiori banche – da Goldman Sachs a Deutsche Bank – gonfie di titoli pubblici e privati che valgono sempre meno; le tengono in vita solo i finanziamenti illimitati – a costi quasi zero – offerti da Banca centrale europea e Fed Usa, e i facili guadagni a spese degli stati che devono pagare il 30% sul debito della Grecia e il 7% sul debito dell’Italia.

L’accordo di Bruxelles sulla revisione dei Trattati – che impone austerità a tutti – non ha ridotto la speculazione finanziaria e il peso del debito pubblico si fa più pesante: Standard & Poor sta per togliere le tre A alla Francia, e la Banca di Francia replica puntando il dito sui conti in rosso della Gran Bretagna, isolata dopo il suo no all’Europa. Per fortuna i regolamentatori Usa hanno proposto di eliminare ogni ruolo delle agenzie di rating nella valutazione dei rischi finanziari: una misura essenziale da introdurre al più presto anche in Europa.

La finanza in picchiata trascina dietro di sé l’economia reale. Nel 2011 la crescita del commercio internazionale è appena un terzo rispetto all’anno passato, il boom dei paesi emergenti si sgonfia, le spinte al protezionismo si moltiplicano, la Cina impone tariffe sulle auto di lusso Usa e Washington minaccia ritorsioni. L’idea che sarà il commercio a rilanciare la crescita si mostra un’illusione. Perfino Mario Monti, nel suo primo discorso al Senato, ha raccomandato di “comprare italiano” per Natale, dopo una vita passata a sostenere l’apertura dei mercati internazionali. A liberalizzare i mercati interni, come abbiamo visto alla Camera, ha rinunciato subito.

La recessione prende piede in Europa – grazie alle politiche di austerità imposte dalla Germania – e i tassi di disoccupazione salgono al 21% in Spagna e al 17% in Grecia, mentre in Italia Confindustria si aspetta 800 mila posti di lavoro in meno. Da Washington, perfino Christine Lagarde, direttore del Fondo monetario, ha avuto un sussulto: se non cooperiamo tutti, avremo protezionismo e depressione: “proprio quello che è avvenuto negli anni trenta, e quello che è successo dopo non è esattamente quello che desideriamo”. Il problema è quello che è successo prima: oggi la depressione si può evitare legando le mani alla finanza e rimettendo al posto di comando una politica che lasci i dogmi del liberismo e prenda le difese del 99% della società.

 

articolo apparso su il manifesto il 17 dicembre 2011

 

 

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Commenti

di chi e la vera colpa,dell'ecconomia,in occidente.

la colpa e dei politici europei.che hanno traditto i loro popoli,con la globalizzazione,sia quella di aprire le frontiere,alle popolazioni non europee sia,al comercio indiscriminato,in ogni parte del mondo, divendere loro merci a bassissimo costo,da non poter comparare fra i costi europei con quelli del terzo mondo.cosi,loro si aricchiscono e noi si inpoveritti.a spese loro.piu' mantenendo.tutti i loro delinguenti di ogni speccie.piu' lasciando i nostri industriali andare aprire lavori al terzo mondo,portando con loro tutto il capitale,senza penalita' del 50% per cento,cosi nesuno sarebbe andatto,all'estero lasciando a spasso gli italiani,piu' a sua volta le industrie rimaste in italia faliscono perche' non vendono piu' a prezzi stracciati. piu' da 4 anni c;e' la crisi, continuano lasciare entrare gente di ogni speccie. senza fare i conti chi li dovra' mantenerli tutte queste spese,se non c'e' lavoro per i nostri figli e per noi stessi.e non ci sta piu' moneta.serve mandare tutti a casa loro chi unque non cia' un vero lavoro,retribuito e registratto ed assicurato.questa non e europa unita,e un equivoco fino dall'inizio.ci vuole un unione federale con un governo unico.con le frontiere ,sigilate. in tutti i sensi.che no meglio soli che male accompagmatti.ciao. da vic...