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Storia di un secolo (e quasi due)
La produzione mondiale, il commercio globale e la rete di Internet che avviluppa tutto. I rapporti tra i Sud e i Nord del pianeta nel rapporto del Programma per lo sviluppo umano delle Nazioni Unite. Lo sviluppo umano passa attraverso l’ascesa del Sud. E anche il nostro futuro muove da lì
Sono passati molti mesi da quando il 14 marzo a Città del Messico è stato presentato il Rapporto dell’Undp (Rapporto del Programma per lo sviluppo umano delle Nazioni unite) per il 2013. I rapporti, pubblicati ogni anno dal 1990, formano delle vere e proprie classifiche tra i paesi del mondo servendosi di tre dati principali: oltre al consueto prodotto interno lordo pro capite, si conteggiano la durata media della vita di uomini e donne e la scolarità. In sostanza l’Onu suggerisce ai decisori politici di ogni dove di lottare per migliorare la posizione in classifica del proprio paese e pertanto di darsi da fare, aumentando il tenore di vita complessivo delle popolazioni, sotto la grezza forma del Pil pro capite, ma senza trascurare salute e istruzione, soprattutto delle donne che in molti paesi sono sacrificate. C’è naturalmente un retro pensiero. Salute e istruzione non fanno solo punteggio, ma sono scorciatoie decisive per migliorare la qualità della vita di quel particolare paese, dell’intero continente e del globo.
Trascorse poche settimane, forse pochi giorni soltanto e l’interesse per l’Undp e le sue classifiche, se pure c’è stato nelle prime ore, è svanito in fretta. C’era ben altro da discutere, in apparenza. Così, soprattutto nel nostro paese, si sono moltiplicate le parole sulla finanza e sulla politica, senza arrivare a risultati consistenti, senza cercare spiegazioni, mentre le considerazioni dell’Undp 2013, se lette con un minimo di attenzione sarebbero servite per guardare più in là. Un vero peccato, perché il Rapporto merita qualche riflessione attenta, a partire dal titolo: “L’ascesa del Sud: il progresso umano in un mondo in evoluzione”. In altre parole, lo sviluppo umano passa attraverso l’ascesa del Sud. Il futuro umano passa di lì.
L’immagine da ricordare, quella più forte del Rapporto – e che invece è stata subito fatta sparire dalle coscienze occidentali – riguarda la produzione complessiva di tre paesi ricompresi tra i cosiddetti Bric – Brasile, India e Cina – messa a confronto con la produzione globale e in particolare con quella di sei paesi che l’uso indica come potenze industriali, tutti quelli del G7, Giappone escluso: Canada, Usa, Germania, Francia, Regno unito e Italia. Una figura presenta due curve: una relativa alla produzione industriale dei tre principali Bric e l’altra quella dei sei G7 occidentali. Per il 2015 le curve della produzione di beni dei tre Bric e dei sei G7 si intersecheranno intorno a un valore 30, facendo pari a 100 la produzione mondiale, per poi allontanarsi rapidamente tra di loro, fino a raggiungere quota 40 i tre paesi del Bric e quota 20 Usa & C. per il fatidico anno 2050. Secondo questa previsione delle Nazioni unite a metà XXI secolo la produzione industriale globale riguarderà per due quinti tre paesi soltanto, Brasile Cina e India e per appena un quinto i paesi del classico G7, Giappone a parte. Così andrà il mondo: gli altri centocinquanta e più paesi si divideranno il restante quaranta per cento. È scritto, ma pochi di noi saranno lì a verificarlo.
Le curve che mostrano quello che avverrà (potrebbe avvenire) tra 20 o 30 o 40 anni sono molto suggestive, ma non altrettanto certe, quindi vanno prese con beneficio d’inventario. Con qualche garanzia in più si può invece leggere le curve stesse nel passato che attraversa il XIX secolo e anche il XX secolo (lungo o breve che fosse), quello che abbiamo comunque lasciato da poco e senza troppi rimpianti. Nel 1820, inizio della ricostruzione fatta dall’Agenzia delle Nazioni unite, Undp i tre paesi, definiti più tardi “arretrati” e poi Bric coprono da essi soli il 50% della produzione mondiale, mentre l’Occidente o il Nord contano solo per il 10. Le curve si incrociano 40 anni dopo, nel 1860, a un valore non lontano dal 33%. La rivoluzione industriale in Europa e in Usa ha lavorato bene. I due sistemi si equivalgono, con un terzo della produzione mondiale ciascuno. In seguito la curva che rappresenta i paesi a capitalismo forte cresce e attribuisce loro fino al 50% della produzione mondiale, una volta superati gli anni segnati dalla crisi del ’29. Ecco dunque i primi anni trenta, ecco la seconda guerra mondiale, e l’industria capitalistica od occidentale ha uno straordinario sviluppo: ecco che cominciano i trenta gloriosi come li chiamano i francesi; gli anni del gran fordismo. La produzione dei tre Bric scende in quegli stessi anni fino al 10%. sul totale mondiale. Segue poi il tempo che conosciamo più da vicino: ora la produzione industriale si riduce nei paesi industrializzati; i capitalisti di quell’area, puntano a ridurre il costo orario del lavoro e aumentare di conseguenza il margine di profitto, scelgono di delocalizzare la produzione nel resto del mondo, nella convinzione di averlo preso al laccio per sempre. E usano per le loro merci proprio i paesi in cui vige una antica cultura industriale. Assumendo il punto di vista dei tre Bric, si può dire che Brasile e compagni si assicurano ordini di produzione dai paesi dell’Europa e del Nord America, e consentono lo spostamento della base industriale “capitalistica” nei loro paesi, importando modelli di produzione, e garantendo flussi di merci a buon mercato anche tra i paesi del sud. I Bric non sono solo la fabbrica per il Nord ma la fabbrica globale.
Ora l’Undp mette a confronto i volumi di traffici tra paesi del Sud e paesi del Nord, l’interscambio in ciascuna area. Di nuovo si può osservare (meglio: è fatta notare) un’altra grande trasformazione.
Gli scambi Sud-Sud all’inizio del decennio ottanta del XX secolo sono inferiori al 10% sugli scambi di merci totali nel globo. Sono invece dell’ordine del 50% per tutto quel decennio gli scambi Nord-Nord. Poi avviene quello che è immaginabile. I poveri producono le merci a basso prezzo per i poveri del proprio e degli altri paesi poveri di tutti i continenti. I ricchi fanno altrettanto e riforniscono di merci costose quelli come loro. Ogni merce va dove deve andare. Il risultato salta agli occhi, purché si guardi la figura 2. Il commercio Sud-Sud sale al 30% e quello Nord-nord si abbassa a un livello analogo. I giorni sono i nostri giorni. Ora non sono più 50 a 10 ma 30 a 30. Bisogna notare che ormai da anni non si usa più parlare di paesi arretrati, per distinguere quelli a basso reddito.
Le merci affidate ai paesi del Sud sono in teoria quelle povere, controllate da noi, i ricchi capitalisti del Nord. Magliette, jeans da poco, scarpe da ginnastica a prezzi abbordabili nei 5 continenti. Ma è proprio così? Ciascuno acquirente di un bene tecnologico sa che esso viene del tutto o quasi da un paese del Sud: ciò vale per sofisticati computer, telefoni, apparecchi televisivi e così via. La leggenda è che quelli del Sud lavorano per noi perché il loro lavoro costa poco e non è protetto da regole o da sindacati. Sono costretti inoltre a praticare prezzi di produzione inferiori a quelli che potrebbero raggiungere eventuali concorrenti degli altri paesi del Sud, asiatici o latinoamericani. Ci vorrà molto tempo perché le cose cambino… Il Rapporto dell’Undp non dice direttamente il contrario, ma suggerisce un po’ di attenzione a sviluppi tecnologici in corso, non necessariamente retaggio del nord. Ciò che emerge dal Rapporto Undp è una dislocazione industriale che non riguarda solo un pugno di paesi, campioni di entrambi gli schieramenti, ma più realisticamente l’intero Sud del mondo che recupera buona parte del divario nei confronti dell’intero Nord. Il Nord si accontenta di dire che nuovi modelli, prodotti, processi sono di sua creazione. Ma le cose cambiano ancora.
Per dare un’altra idea della grande trasformazione in corso, ci si può servire di un’altra figura. Essa non riguarda più produzioni future o attuali commerci di paesi di forza antica o recente, ma un non meno significativo. Un segnale forte e inequivocabile dato da Internet. Internet è un’acquisizione molto recente, in buona sostanza esiste da solo due decenni ed uguale per tutti: servono telefono, forza elettrica e computer o strumento equivalente. Tutti i paesi sono – si potrebbe dire – partiti alla pari.
La figura mostra che il nord sopravanza il sud e anche di molto, con un rapporto almeno di 10 a 1 per i primi dieci anni. Poi, mentre la curva del Nord continua a crescere – della qual cosa tutti noi che abbiamo la singolare fortuna di leggere Sbilanciamoci! siamo ben consci e soddisfatti – coprendo ormai una popolazione di 600 milioni di persone, il Sud con un’energia elettrica frammentaria e un livello di vita assai più povero, pure ha moltiplicato di trenta volte la sua forza, raggiungendo ormai 1600 milioni di internauti. Informazione per tutti, istruzione molto più facile, comunicazione possibile tra persone lontane. Costruendo un trittico con queste tre figure: la produzione mondiale, il commercio tra i Sud e i Nord, la rete di Internet che avviluppa tutto, ne potrebbe risultare un mondo più equilibrato, pacifico e felice oppure un mondo parallelo in cui per difendere ricchezze e prerogative oppure per conquistarne una parte, la convivenza quasi pacifica potrebbe essere messa a grave rischio e soprattutto i lavoratori di ogni paese e costretti a mettersi in vendita, i governi a rinunciare alle proprie scelta di indirizzo accettando molti compromessi in tema ambientale, sociale, economico. Tre fotogrammi sul nostro mondo, come lo abbiamo costruito.
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