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Il fallimento di Cannes

11/11/2011

Con la solita modestia francese, per le strade di Cannes campeggiavano manifesti di benvenuto che non passavano inosservati. “A Cannes si scrive la storia”, recitavano. E così è stato: il vertice del G20 ha sancito il flop definitivo del nuovo club dei Paesi che contano nel governare la crisi e nella trasformazione dell’economia mondiale

Quello sulla Costa Azzurra era il sesto summit in quattro anni, basato sulla premessa che il G20 sarebbe stato il nuovo forum della governance economica e finanziaria mondiale. Gli obiettivi erano ambiziosi: superare la crisi finanziaria ed economica divenuta globale con il crollo di Lehman Brothers, tornare a crescere in maniera bilanciata e risolvere strutturalmente i problemi dell’economia mondiale, possibilmente tenendo a mente le esigenze dei più poveri e le sfide ambientali.

Sembrava ieri che, in vista del vertice di Londra nell’aprile 2009, diversi leader si affrettavano a dichiarare che ormai serviva una nuova Bretton Woods. Ma da allora il G20 ha scelto la strada tecnocratica per risolvere i problemi della crisi, le cui cause sono profonde, politiche e vanno indietro nel tempo fino alla creazione del capitalismo finanziario negli anni Settanta. Come sempre si è lasciato tutto nelle mani delle solite istituzioni finanziarie internazionali, e di nuovi consessi tecnocratici, quali il Financial Stability Board, a Cannes elevato addirittura a istituzione a sé stante.

La crisi europea, che trova le sue cause specifiche nella follia del progetto liberista continentale collegato all’euro, moneta comune priva di un sistema politico comunitario di dominio sulla finanza e sull’economia, poteva essere l’occasione per aprire una nuova discussione in seno al G20 e riaffermare la supremazia della politica su Wall Street, la City di Londra e i tecnocrati. Ma il G20 ha fallito questa ultima chance, anzi la sua risposta è stata ancora una volta quella di riaffidarsi al Fondo monetario internazionale, senza completare la sua riforma democratica e senza ridefinire con chiarezza il ruolo e i mezzi dell’istituzione. Anche il governo italiano, sotto attacco speculativo, è stato costretto “volontariamente” a chiedere l’aiuto dell’Fmi. Povero presidente del consiglio, che pensa di decidere lui quando staccare la spina al Fondo come consulente dell’Italia. L’aggiustamento strutturale imposto da Washington e Bruxelles sarà destinato a durare a lungo.

In questa confusione, i Paesi emergenti saggiamente tentennano a mettere risorse nell’Fmi, e ancora una volta si torna alla solita partita decisiva e mai risolta, in assenza di una nuova Bretton Woods. Tutta l’agenda mondiale è bloccata sul riequilibrio del potere tra i vari Stati e delle rispettive aree di influenza, e si cerca un approccio per tentativi a trattare questioni cruciali, quali il nuovo sistema monetario internazionale e il coordinamento delle politiche monetarie. Un approccio destinato ancora a fallire.

Allora anche l’illusione che si possano muovere passi significativi nel regolamentare la finanza internazionale – un potere a sé stante e al di sopra dei singoli governi – si dissolve. Sempre più governi dicono di volere una tassa sulle transazioni finanziarie, ma non quelli che ospitano i principali centri finanziari. Su tutto il resto – derivati collegati alle commodity, credit default swap, agenzie di rating e così via – le proposte messe in campo sono marginali. Per quel che riguarda le banche si punta solo a stabilizzarle con requisiti di capitale più stringenti per evitare nuovi fallimenti e salvataggi pubblici, ma non a trasformarle per renderle funzionali e subordinate al sistema economico produttivo. Insomma, la finanziarizzazione dell’economia continua indisturbata anche dopo la crisi. Per i campesinos drammaticamente impattati dalla speculazione finanziaria si consiglia ai governi in via di sviluppo di promuovere l’uso dei prodotti derivati anche per loro. Una follia, ma d’altronde Mario Draghi aveva consigliato alla Grecia di usare i derivati per nascondere il deficit, giusto? Poi sappiamo come finisce la storia… L’unica certezza è che siamo solo all’inizio della crisi, e nessun governo è all’altezza del nome che porta, ossia di governarla.

Tratto da www.crbm.org