Home / Sezioni / globi / Le radici culturali della crisi

facebook-link twitter-link

Newsletter

Registrati alla newsletter di sbilanciamoci.info

Sezioni

Ultimi articoli nella sezione

08/12/2015
COP21, secondo round
di Lorenzo Ciccarese
03/12/2015
Lavoro, la fotografia impietosa dell'Istat
di Marta Fana
01/12/2015
La crisi dell’università italiana
di Francesco Sinopoli
01/12/2015
Parigi, una guerra a pezzi
di Emilio Molinari
01/12/2015
Non ho l'età
di Loris Campetti
30/11/2015
La sfida del clima
di Gianni Silvestrini
30/11/2015
Il governo Renzi "salva" quattro istituti di credito
di Vincenzo Comito

Le radici culturali della crisi

05/05/2010

Come gli errori della cultura economica dominante hanno portato la politica economica nel baratro. Un'anticipazione dal libro "Economisti che sbagliano"

Pubblichiamo qui l'introduzione del libro "Economisti che sbagliano", in uscita per Laterza, dalla prossima settimana in libreria.

Nelle vulgate di storia del pensiero troviamo spesso contrapposte due opinioni sul rapporto tra economia e cultura: quella attribuita a Karl Marx, secondo la quale la struttura economica condiziona la sovrastruttura culturale, e quella attribuita a Max Weber, secondo la quale viceversa è la cultura, incluse le credenze religiose, a influire sull’assetto dell’economia e della società. In realtà nessuno dei due grandi pensatori si è mai sognato di stabilire nessi univoci di causa ed effetto tra i fattori economici e quelli culturali, che costituiscono fra l’altro due categorie assai vaste. Hanno semmai cercato di affermare, in termini netti in quanto si contrapponevano a opinioni di segno diverso, l’importanza dell’una o dell’altra influenza.

Questo intreccio, assai complesso, è riscontrabile anche nelle vicende della crisi che ha scosso le economie di tutto il mondo. In vari casi, la forza degli interessi economici ha favorito il prevalere di questa o quella tesi sul modo di funzionare dell’economia, nel suo complesso o in qualche suo aspetto particolare; in vari casi, concezioni teoriche errate hanno favorito il perseguimento di linee di politica economica (ivi inclusa la scelta di non intervenire di fronte all’evoluzione spontanea dei mercati) che si sono rivelate alla prova dei fatti tutt’altro che ottimali, per usare un eufemismo.

(...)

Come potenzialità di ampiezza e durata la crisi corrente si presenta più simile alla crisi del 1929 (la “Grande Crisi” di cui parlano i libri di storia) che non alle ripetute, e pur importanti, crisi degli ultimi sessant’anni. D’altronde, anche allora la crisi economica si manifestò gradualmente, sia pur in crescendo, arrivando al culmine qualche anno dopo la crisi finanziaria.

Vi sono comunque opinioni molto diverse fra loro. Vari commentatori, ottimisti, parlano di una crisi a forma di V, in cui a una brusca discesa farà seguito una rapida ripresa, con un punto di svolta annunciato come imminente per mesi, e ormai segnalato come oltrepassato. Tuttavia altri, più pessimisti, parlano di una crisi a forma di L, con il crollo seguito da una lunga fase di ristagno. Altri ancora, più prudenti, sottolineano la forte variabilità degli indicatori finanziari e congiunturali e la differenza tra paesi e aree economiche per sottolineare l’elevata incertezza su tempi e modalità di uscita dalla crisi e, soprattutto, la possibilità di un andamento a W, con riprese di corto respiro, segnate da nuove bolle speculative nel contesto di un’economia reale stagnante, e seguite da pericolose ricadute. Come le interpretazioni della crisi e le scelte di politica economica, anche queste valutazioni sono connesse ai diversi orientamenti presenti nel dibattito di teoria economica.

Molte cose sono cambiate, naturalmente, rispetto all’epoca della Grande Crisi. In particolare l’esperienza ha insegnato qualcosa sulle politiche economiche da evitare e su quelle da seguire. I conti correnti non correranno rischi, e sarà possibile evitare le file per ritirare i depositi in banca. La disoccupazione crescerà, ma dovrebbe poter essere contenuta entro limiti socialmente sopportabili (che espressione orribile!). Saranno invece più sensibili i cambiamenti nella distribuzione del potere economico mondiale.

L’effettiva durata della crisi dipenderà molto dalle scelte di politica economica. Gli interventi pubblici adottati finora, in campo monetario, finanziario e reale, hanno globalmente una portata mai vista in tempo di pace. Nonostante questo, il 2009 si è chiuso con un saldo di crescita nettamente negativo in tutte le aree più sviluppate del mondo e una forte riduzione dell’occupazione. Inoltre, le politiche espansive adottate, con notevole successo, per impedire uno sviluppo catastrofico della crisi – le stesse che fino allo scoppio della crisi erano frequentemente irrise come retaggio di un passato sepolto e di una cattiva teoria economica – implicano un forte aumento del debito pubblico e forti rischi per la stabilità monetaria e finanziaria: è difficile pensare che possano protrarsi sugli attuali livelli straordinari per più di due o tre anni. Cosa accadrà quando dovranno essere abbandonate?

La risposta che possiamo dare dipende in larga misura dalla nostra comprensione dei fattori di fondo che hanno portato alla crisi in atto. Per i più ottimisti, la crisi va ricondotta ad alcuni eccessi dei mercati ed errori di politica economica, ma la crescita potrà riprendere in modo quasi automatico senza che siano necessarie grosse correzioni alle istituzioni e alle regole dell’economia di mercato. Si può sostenere invece che il fondamentalismo liberista, che ha favorito la tumultuosa crescita della finanza, abbia avuto una responsabilità notevole per il formarsi delle precondizioni della crisi; sarà quindi necessaria una profonda revisione di regole e istituzioni per evitare che la crisi sia seguita da una lunga stagione di ristagno o che la ripresa sia interrotta da nuove crisi.

La tesi di questo libro è proprio che gli errori della cultura economica dominante – il cosiddetto Washington consensus– hanno portato la politica economica a ballare con gli occhi bendati sull’orlo del baratro della crisi, per poi cadervi dentro. Il mito di una onnipotente mano invisibile del mercato, la fiducia cieca in meccanismi riequilibratori automatici e l’ostilità verso la fissazione di regole del gioco vincolanti per tutti, la sistematica sottovalutazione dell’incertezza sono, come vedremo, errori gravi, la cui diffusione è stata ed è favorita dalla consonanza con importanti interessi economici e finanziari; ed erano già stati indicati come tali da filoni teorici eterodossi, come quello post-keynesiano. Una discussione aperta su questi temi è ora necessaria, per evitare il rischio che la tragedia si ripeta: non come una farsa, ma come una tragedia al quadrato.

Alessandro Roncaglia, "Economistio che sbagliano. La crisi e le sue radici culturali", Laterza, 2010

La riproduzione di questo articolo è autorizzata a condizione che sia citata la fonte: old.sbilanciamoci.info.
Vuoi contribuire a sbilanciamoci.info? Clicca qui

Commenti