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Da una piccola crisi alla tragedia greca

12/05/2010

La combinazione di errori, ritardi e interessi che hanno portato al disastro. Infine, l'Europa ha deciso, ma è intervenuta così tardi e male che la tragedia non è finita

Negli ultimi quattro mesi l’economia greca è passata da una crisi di modesta entità ad una quasi-catastrofe che si sta diffondendo in tutta l’Europa, in seguito alla combinazione di:

- trend macroeconomici greci effettivamente preoccupanti – in termini di deficit di bilancio, debito pubblico e privato e il suo calendario di scadenze, competitività internazionale, squilibri nella bilancia di conto corrente – resi peggiori da recenti e passate falsificazioni dei conti pubblici e da manipolazioni cosmetiche (entrambi la responsabilità dei precedenti governi di destra);

- più lo sciovinismo europeo nel voler escludere da un intervento il Fondo monetario internazionale, nonostante che solo il Fmi possa mobilitare notevoli risorse a un costo minore, in tempi più rapidi (nel giro di una mezz’ora o giù di lì) e più semplicemente di ogni altro, e che la Grecia dopo tutto abbia diritto a quei fondi. La stessa proposta di istituire un Fondo monetario europeo non era necessaria (perché avere un’agenzia regionale quando ce n'è una globale, dovremmo quindi avere anche un’Organizzazione europea del commercio, un’Organizzazione europea per la sanità, una Banca dei regolamenti europei?). E' stata inoltre una perdita di tempo o, peggio, una tattica dilatoria;

- più il populismo tedesco nel ritardare e ostacolare l’assistenza dell’Ume contro lo stesso interesse del governo e del pubblico tedesco (le banche tedesche hanno almeno 32 miliardi di euro di esposizione all'eventuale insolvenza greca, superiori al costo tedesco del salvataggio in tre anni, pari a 22,2 miliardi di euro) solo per compiacere gli elettori della Nord-Reno Westfalia; Angela Merkel meriterebbe di essere debitamente punita per questo;

- più l’incredibile vaghezza della Ue circa le dimensioni, la forma e le condizioni del salvataggio: “La Ue fornirà quanto sarà necessario se e quando sarà necessario” non dice agli investitori ciò che vogliono sapere: quanti miliardi, se sotto forma di garanzie o di prestiti, da parte dell’Unione o bilateralmente dagli stati membri, dall'Eu o dall'Ume. E c’è ancora incertezza riguardo la stessa legalità del salvataggio, con la Corte costituzionale tedesca che ancora esamina diversi appelli contro il pacchetto di salvataggio. Jean-Claude Trichet e Angela Merkel hanno insistito sul principio di “nessun sussidio” al tasso di interesse da far pagare alla Grecia, così mettendo seriamente in dubbio l’efficacia e il successo del loro stesso pacchetto. Il compromesso di un tasso di interesse del 5% applicato alla fine ai prestiti bilaterali degli stati europei alla Grecia è maggiore sia dell’interesse chiesto dal Fmi (poco più del 3%) che del costo di prendere in prestito per il governo tedesco;

- più l’effetto avverso di discorsi sciocchi da parte di diversi alti funzionari della Ue e di commentatori economici, ad esempio discorsi sulla possibile espulsione della Grecia dalla zona dell'euro (mentre non esiste alcuno strumento legale per cacciarla), o il ritiro volontario della Grecia e il ritorno alla dracma (ciò implicherebbe necessariamente la sua fuoriuscita dall’Unione, che non è nell’interesse di nessuno, e si immagini a che livelli salirebbero i tassi di interesse per la dracma) o l’introduzione di una moneta parallela all’Euro; o la fuoriuscita dalla Germania dalla euro-zona per la ragione opposta; o la creazione di due zone dell'euro, una meridionale dall’euro debole, e una nordica dall’euro forte…

- più la mancata richiesta da parte della Grecia di avere accesso per tempo almeno alle risorse relativamente modeste che le erano state assicurate in aprile (45 miliardi di Euro), a quanto pare per non segnalare l'esistenza di problemi, ma creando in tal modo un ben più ampio disastro;

- più ritardi e litigi che hanno condotto all'aumento dello spread sui bund tedeschi e all’aumento dei prezzi dei Credit default swaps, al punto che la Grecia non poteva più accedere ai mercati finanziari internazionali, perché a tassi di interesse così alti il debito greco sarebbe divenuto insostenibile e certamente sarebbe finito nell’insolvenza in un prossimo futuro.

A quel punto la dimensione dell’intervento necessario era già salita a 110 miliardi di euro (80 da parte dei paesi della Ue e 30 da parte del Fmi), ma quando questo intervento è stato deciso il mercato già richiedeva ancora di più.

E il peso dell’aggiustamento ricadrà sui lavoratori del settore pubblico greco e sui pensionati. Alcuni di loro hanno beneficiato degli alti deficit pubblici, ad esempio con le assunzioni da parte del precedente governo di destra di migliaia di suoi sostenitori, e con il godimento un’età pensionistica inferiore alla media europea (tedeschi compresi). Ma non erano loro i principali beneficiari del crescente debito pubblico, o dello stesso aumento delle disuguaglianze. Quando Romano Prodi fece stringere la cinghia agli italiani per riuscire a rispettare le condizioni di Maastricht e così aderire all’euro, almeno egli fece qualche gesto sia pure simbolico come una modestissima imposta sul saldo dei conti correnti bancari, e una piccola imposta addizionale sulle rendite immobiliari. Le persone su cui il peso dell’aggiustamento della Grecia cade ingiustamente oggi hanno tutte le ragioni per manifestare il proprio dissenso per le strade di Atene - soprattutto dal momento che il partito ora all’opposizione, responsabile della crisi finanziaria, non si assume le proprie responsabilità. Certo la protesta popolare oggettivamente rafforza le aspettative e la probabilità di insolvenza. Nel 1988 Ceaucescu realizzò una brutale deflazione in modo da poter pagare tutto il debito estero della Romania in un colpo solo, ma per fortuna la Grecia del 2010 non è la Romania del 1988: i creditori, i prestatori di fondi per il salvataggio e lo stesso governo greco dovrebbero riconoscere che ci sono limiti alla fattibilità politica anche di misure economiche che altrimenti sarebbero appropriate.

Il colpo di grazia alla Grecia e forse probabilmente anche all’euro è stato dato dalle agenzie di rating che hanno irragionevolmente declassato i titoli dei governi della euro-zona anche dopo che l’approvazione di un ampio intervento di salvataggio [quello di 110 miliardi di euro]. Le “tre sorelle” avrebbero dovuto essere totalmente screditate dai loro precedenti fallimenti previsivi, dalla Enron alla Lehman Brothers, e dai loro passati, frequenti e dimostrati conflitti di interesse, eppure esse ancora plasmano e guidano le aspettative degli investitori e sono prese sul serio persino dalla Bce, fino a quando fortunatamente Trichet ha deciso di continuare ad accettare i titoli greci come garanzie indipendentemente dal loro rating e ha iniziato una revisione dello status delle agenzie di rating, dovuta già da lungo tempo. Tuttavia, i discorsi sulla creazione di un’agenzia – pubblica? - europea indipendente di rating è ridicola, dato che nessuno prenderebbe sul serio il suo rating dei titoli europei.

L’attacco all’euro deve essere stato incoraggiato - almeno in parte - dagli americani e dagli inglesi per distogliere l’attenzione pubblica dai loro problemi politici ed economici. Non necessariamente attraverso una vera e propria cospirazione, come è stato suggerito da alcuni commentatori, ma anche solo seguendo la propria egoistica inclinazione naturale. Alla fine – durante la notte del 7 maggio – l’Europa si è pronunciata, ma lo ha fatto cosi in ritardo rispetto a quando avrebbe dovuto che la tragedia non è affatto conclusa. E l’accordo ha fatto apparire il solitamente buffonesco Berlusconi – paragonato a Trichet, Merkel e Sarkozy – come uno statista nato.

(versione italiana dal testo pubblicato sul blog di D. Mario Nuti, traduzione di Alessandra Cataldi)

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Commenti

I grandi vecchi?

Caro Mario,

con tutto il rispetto dovuto a un maestro, e con tutto l'affetto che può avere un fiorentino per un aretino, permettimi di considerare opinabile (come direbbe il trio Medusa) l'idea che "L’attacco all’euro deve essere stato incoraggiato - almeno in parte - dagli americani e dagli inglesi per distogliere l’attenzione pubblica dai loro problemi politici ed economici."
Ci vedo un po' di miopia "di breve periodo", un po' di quella esaltazione dell'aneddotico a detrimento del "fondamentale", che in questo momento mi sembra lo strumento principe del quale la destra si serve per confondere le acque.
Sono pronto a cambiare idea, purché tu mi spieghi quale beneficio potrebbe trarre un paese in deficit estero (gli Stati Uniti) da una sopravvalutazione del proprio cambio (cioè da uno sprofondamento del cambio altrui). Dalle nostre parti si dice che ci sia un modo un po' doloroso di far dispetto alla propria moglie, e questo mi sembrerebbe un caso simile.
A me sembra piuttosto che l'euro sprofondi da solo per i motivi esposti da Mundell cinquanta anni fa, rispetto ai quali quello che gli americani o i mercati "cattivi" possono inventarsi nel "day by day" è relativamente poco rilevante (anche se da te splendidamente raccontato - e da me letto con moltissimo interesse e sincera ammirazione).

So che se sbaglio me lo farai notare: probabilmente sono troppo "economico" e poco "politico"...

Alberto

Disuguaglianza del reddito e della ricchezza

Avresti ragione, Marco, se la ricchezza (e non solo quella finanziaria) fosse tutta il frutto di risparmi correnti - anziché di guerre, saccheggi, furti, corruzione, oltre a eredità nel migliore dei casi - e se fosse distribuita in maniera non più inegualitaria della distribuzione del reddito. E invece non lo è: vai a vederer la lista dei 400 beneficiari della generosità di Anemone. E non dimenticare mai che in Italia il coefficiente di Gini per la distribuzione del reddito è intorno al 38%, mentre quello per la distribuzione della ricchezza nel 2000 - il primo e unico anno per cui il dato è disponibile (vedi Davies, Sandstrom, Shorrocks e Wolff, UN-WIDER, 2007) è del 60.9%. E quindi hai torto marcio.

Tasse sul risparmio dei privati? No grazie.

Non vedo cosa ci sia di bello nel tassare le rendite finanziarie. Alla fine abbiamo che si tassano i risparmi delle persone. E di sicuro gli speculatori e i ricchi se ne sbattono di queste tasse, potendo usare paradisi fiscali e società offshore. Col tassare le rendite finanziarie si finisce solo per tassare chi lavora e risparmia. Se qualcuno deve pagare per questa crisi è giusto che sia chi ha tratto vantaggio dal debito indiscriminato: sindacalisti panciuti e dipendenti parassiti del pubblico impiego.