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Il biopotere della finanza

30/04/2010

Nel testo “Dieci tesi sulla crisi finanziaria” e nei saggi di Stefano Lucarelli e Christian Marazzi, pubblicati nel volume collettaneo di UniNomade, “Crisi dell’Economia Globale” (Ombre Corte, 2009), i mercati finanziari vengono definiti forma di “biopotere”. Credo sia necessario partire da questa definizione per comprendere cosa sta avvenendo in Europa e in particolare in Grecia.

1. E' da circa due decenni che i mercati finanziari di fatto determinano il valore delle valute internazionali e i loro rapporti di cambio, una volta venuto meno nel 1971 il rapporto di parità fissa tra dollaro e oro fissato a Bretton Woods nel 1944. Le scelte politiche di liberalizzazione del mercato internazionale dei capitali attuate negli anni ’80 a livello globale, le innovazioni finanziarie (per esempio i derivati) che hanno moltiplicato le operazioni puramente speculative, lo smantellamento dei sistemi pubblici di welfare e la precarizzazione del rapporto di lavoro hanno reso i mercati finanziari il perno su cui si fonda nel capitalismo contemporaneo. Essi rappresentano la base del processo di finanziamento dell’attività di investimento e dei principali meccanismi di distribuzione del reddito e di fatto "assicurano" la vita sociale di milioni di uomini e donne nel mondo.

La prima volta in cui tutto ciò è risultato manifesto è stato nel 1994. In seguito alla mancata firma del trattato di libero scambio tra Stati Uniti, Canada e Messico (Nafta), dopo la sollevazione zapatista nel Chapas, le principali società finanziarie (da Goldman Sachs alla Lehmann) hanno immediatamente stornato i loro investimenti finanziari speculativi dal Centro America ai mercati del Sud-Est asiatico. Nonostante il cospicuo intervento della Federal Reseve Usa a sostegno della valuta messicana, il pesos si è svalutato in pochi giorni in modo tale da rendere irrealizzabile qualsiasi accordo di libero scambio. Per la prima volta, i mercati finanziari si erano rivelati più forti di qualsiasi altra istituzione monetaria, in grado di condizionare l’operato della più potente Banca Centrale del mondo.

La capacità dei mercati finanziari di generare “valore” è legata allo sviluppo di “convenzioni” (bolle speculative) in grado di creare aspettative tendenzialmente omogenee che spingono i principali operatori finanziari a puntare su alcuni tipi di attività finanziarie. Negli anni ’90 è stata la Internet Economy, negli anni 2000 l'attrazione è venuta dallo sviluppo dei mercati asiatici (con la Cina che entra nel Wto nel dicembre 2001) e dalla proprietà immobiliare. Gli effetti devastanti del crollo della bolla immobiliare nel 2008 hanno reso necessario un forte intervento degli Stati per tappare le falle di bilancio apertesi nelle grandi istituzioni bancarie, assicurative e finanziarie. Lo Stato ha svolto così il ruolo di prestatore d’ultima istanza, quindi a fondo perduto e senza effetti di stimolo sulla domanda. E’ la recessione attuale, più che l’eccesso di spesa pubblica, la causa princiapale dell’incremento del rapporto deficit/Pil. In un simile contesto, sono i paesi più dipendenti dalla dinamica economica internazionale a essere i più penalizzati, ovvero i paesi che svolgono il ruolo di subfornitori, senza poter influenzare le traiettorie tecnologiche dominanti. L’area del Mediterraneo è tra queste. La speculazione finanziaria cerca così di sviluppare una nuova convenzione, che potremmo definire “convenzione welfare”, dove oggetto della stessa speculazione è direttamente il benessere (il bios) degli individui. Da convenzioni di tipo settoriale ad alta intensità cognitiva (Internet economy), passando a convenzioni legate allo sviluppo di aree territoriali globali, si giunge così a convenzioni che hanno come oggetto le condizioni di vita e lavoro degli esseri umani. Il biopotere della finanza si conferma pervasivo e sempre più diretto.

2. Tale situazione rivela il fallimento della costruzione monetaria europea. I maggiori quotidiani europei e italiani, in questi giorni evidenziano come sia lenta, confusa e insufficiente la reazione dei

paesi europei di fronte all’acuirsi della crisi greca. Tranne poche eccezioni, nessuno rileva come l’Unione Economica Europea risulti una costruzione monca. Appare paradossale che proprio in un contesto dove le politiche economiche nazionali sono ostaggio dei mercati finanziari, non esista, a livello europeo, una politica comunitaria fiscale, in grado di delineare un bilancio pubblico europeo, mentre invece esistono una politica monetaria e una Banca Centrale. E’ l’esito di precise scelte politiche che oggi rivelano tutta la loro miopia. Se l’Europa, per ipotesi, fosse dotata di una comune politica fiscale con anche l’eventuale fissazione di un target nel rapporto defici/pil, le posizioni nazionali più critiche potrebbe essere compensate dalla maggior solidità di altri paesi. In tal modo, il terreno per iniziative speculative verrebbe ridotto, a vantaggio della comunità europea stessa.

3. In ogni situazione di crisi, per un breve periodo viene evidenziato come gli interessi economici delle società di valutazione dei rischi finanziari (esempio Standard Poors o Moody’s) siano strettamente intrecciati con gli interessi della speculazione finanziaria. Così è stato nel 2000 (vi ricordate il caso Enron?), così è oggi. Passata la tempesta, tutto ritorna come prima e le società di rating per rifarsi una nuova reputazione diventano inflessibili nel penalizzare alcuni titoli, soprattutto se sono pubblici e se gli obiettivi della speculazioni è il welfare pubblico. E’ questo il caso non solo della Grecia, ma anche del Portogallo e della Spagna. Dal momento che tali società sono in grado di influenzare le scelte di portafoglio dei grandi investitori istituzionali privati, il conflitto di interesse è palese, tale da rendere irrilevante quello del nostro Presidente del Consiglio. Se si volesse veramente procedere ad una maggior regolamentazione dei mercati finanziari – così come a parole viene promesso -, il primo atto da compiere sarebbe quello di controllare le stesse società di rating, intervenendo sulla loro struttura proprietaria. Ma non sembra che ciò sia all’ordine del giorno.

4. Il biopotere della finanza può essere solo contrastato da un contropotere. Questo contropotere può essere attivato da una ridefinizione delle politiche di welfare che sia adeguato agli odierni meccanismi di valorizzazione e quindi in grado di consentire una riappropriazione di quella ricchezza che oggi gli stessi mercati finanziari sono in grado di accumulare tramite l’espropriazione della cooperazione sociale produttiva. Diritto al reddito e ai beni comuni ne rappresentano i cardini. Il welfare del comune ne è l’orizzonte.