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Crescita e contraddizioni dei paesi emergenti
I paesi "emergenti" devono affrontare molti problemi, tra cui una forte disuguaglianza interna. E ci interrogano sulla contraddizione di un modello che aspira alla crescita illimitata in un pianeta dalle risorse finite
L’espressione Bric, coniata da un economista della Goldman Sachs una decina di anni fa, prende in considerazione i quattro paesi oggi più importanti tra quelli emergenti; recentemente è stato aggiunto alla lista anche il Sudafrica, non tanto per il suo peso diretto, che appare ancora poco rilevante, ma come rappresentante dell’intera Africa, continente che ha avviato importanti anche se contradditori processi di sviluppo ormai da una decina di anni. Più in generale, dietro ai Bric si sta affermando una realtà molto articolata di altri paesi in forte crescita. Per rappresentare tali fenomeni sono state coniate diverse sigle. La più nota, dopo quella di Bric, è probabilmente l’espressione “Civets” (Allen, 2011), termine inventato dall’Economist Intelligence Unit nel 2009 e che raggruppa Colombia, Indonesia, Vietnam, Egitto, Turchia, Sudafrica, paesi caratterizzati da importanti tassi di sviluppo economico e con notevoli potenzialità di crescita ulteriore. L’Economist Intelligence Unit prevede un tasso di aumento medio del loro pil intorno al 5.0% annuo per i prossimi 20 anni. Si può poi ricordare che ancora dalla Goldman Sachs è venuta nel 2005 l’espressione “N-11” (Next Eleven Nations) (Tett, 2010), che comprende Bangladesh, Egitto, Indonesia, Iran, Corea, Messico, Nigeria, Pakistan, Filippine, Turchia, Vietnam; tale elenco, rispetto a quello dei Civets, include altri paesi non considerati nella sigla precedente.
E’ di poche settimane fa invece la coniazione, da parte di Citigroup, dell’espressione “Carbs” (Occorsio, 2012), sigla che mette insieme paesi emergenti e paesi sviluppati e che fa riferimento a Canada, Australia, Russia, Brasile, Sudafrica. Tali nazioni posseggono nel sottosuolo una parte consistente di molti minerali necessari allo sviluppo economico mondiale, dalla bauxite all’uranio al platino al nickel, ma sono anche importanti produttrici di molte materie prime agricole, ciò che ha permesso loro, tra l’altro, di passare sostanzialmente indenni attraverso la crisi in atto.
Le contraddizioni attuali dello sviluppo
Accanto a rimarchevoli successi sul fronte economico, molti paesi emergenti registrano oggi al loro interno delle rilevanti contraddizioni. Come nel caso del Vietnam. Dopo molti anni di crescita economica molto sostenuta – il pil del paese è aumentato in media dell’8,1% tra il 2003 e il 2007 -, oggi il Vietnam si trova di fronte a grandi problemi, mentre la crescita del pil è rallentata sino al livello del 6% annuo. Il paese (Bland, 2011) soffre di un livello di inflazione che è il più elevato di tutto il continente asiatico; le diseguaglianze sociali vi appaiono molto ampie e in crescita, mentre si registra un alto livello di corruzione, collegato anche ad una burocrazia inefficiente, con la presenza, a livello di sistema di imprese, di grandi conglomerati pubblici molto poco produttivi; vi si rileva anche un basso livello di istruzione media e un sistema scolastico largamente inadeguato, nonché una rilevante carenza di infrastrutture, con una sfiducia quasi totale nella moneta locale e il timore di una crisi bancaria, legato ad un alto livello di crediti dubbi nei bilanci dei principali istituti del paese, che in passato hanno concesso generosi prestiti all’economia in maniera indiscriminata. Intanto, mentre i salari tendono a crescere in misura significativa e la protesta sociale ad aumentare, l’industria ha molte difficoltà a inserirsi nella produzione di beni più ricchi di quelli tradizionali a basso valore aggiunto, quali scarpe, tessili, riso, caffè. Naturalmente gli altri paesi emergenti non presentano tutte le malattie appena elencate, ma il caso del Vietnam è abbastanza indicativo delle insidie che toccano oggi tali nazioni. Così, ad esempio, la corruzione e l’inefficienza della burocrazia in India sono quasi leggendarie, ma non molto differenti da quelle che toccano anche altri paesi, quali ad esempio la Russia, mentre grandi disuguaglianze sociali sono una piaga diffusa quasi ovunque.
the middle income trap
Al di là dei problemi contingenti, presenti in misura più o meno grave nei vari paesi, e lasciando da parte gli ostacoli economici e politici che i paesi già sviluppati sono tentati di frapporre al cammino di quelli meno abbienti, si possono segnalare due questioni potenzialmente rilevanti nel loro sviluppo. La prima questione, a cui abbiamo già fatto menzione in un articolo apparso in passato su questo stesso sito (Comito, 2011), è ciò che gli economisti chiamano the middle income trap (Economist, 2011),con cui ci si riferisce al fatto che, ad un certo punto dei processi di sviluppo di un paese, la sua crescita rallenta o svanisce del tutto. Vista la questione in altro modo, si può dire che un paese emergente, raggiunto un certo stadio di crescita, possa da una parte perdere competitività nelle sue tradizionali industrie labour intensive e dall’altra non riuscire a trovare nuove fonti di crescita. Secondo le analisi portate avanti da alcuni studiosi, la soglia critica per tale fenomeno può essere indicativamente fissata intorno ai 17.000 dollari di reddito pro-capite, calcolato con il criterio della parità dei poteri di acquisto. Tale soglia è stata superata negli ultimi 60 anni soltanto da cinque paesi asiatici. Il fenomeno sembra riconducibile al fatto che, man mano che l’economia cresce, essa diventa più complessa e richiederebbe, per continuare a svilupparsi, grandi mutamenti strutturali, tra i quali una molto maggiore capacità di innovazione - superando la fase precedente nella quale bastava copiare le innovazioni altrui -, nonché la messa in opera di istituzioni pubbliche di maggiore qualità rispetto alla situazione precedente. Molto di recente la Banca mondiale ha indicato l’esistenza in prospettiva di tale problema nel caso cinese (World Bank, 2012): per l’istituzione di Washington il paese asiatico può superare le difficoltà incombenti con la privatizzazione delle imprese pubbliche e la liberalizzazione del settore finanziario.
il problema delle risorse
Il secondo problema, potenzialmente ancora più grave, fa riferimento alla ben nota questione delle limitate risorse fisiche del globo e al fatto che, se lo sviluppo dei paesi emergenti continuasse ancora per un po’ allo stesso ritmo di oggi, tali risorse sarebbero presto del tutto esaurite. Così, ad esempio, uno scrittore indiano, Chandran Nair (Bunting, 2011) ricorda che certamente miliardi di cinesi e di indiani possono aspirare a standard di vita di tipo statunitense, ma che se tali aspirazioni venissero realizzate, ci troveremmo di fronte ad una catastrofe. Così Nair sostiene che l’Asia deve sviluppare un nuovo modello di capitalismo, che egli chiama “capitalismo limitato” (constrained capitalism), che controlli l’uso delle risorse naturali e il comportamento dei consumatori; tra l’altro, l’Asia ha attualmente 3 miliardi di abitanti e nel 2050 ne avrà cinque e i comportamenti futuri di tale continente saranno assolutamente determinanti per evitare la tragedia. Su di un altro piano, Nair sottolinea come oggi 2,5 miliardi di asiatici abbiano un telefono mobile, ma come molti di meno possiedano in casa l’acqua corrente o i servizi igienici. Sarebbe ovviamente necessario un grande accordo a livello mondiale per programmare e controllare un uso sostenibile delle risorse del globo, ma non si vedono tracce di un qualche disegno che vada in tale direzione.
testi citati nell’articolo
-Allen K., The Civets: a guide to the countries bearing the world’s hopes for growth, www.guardian.co.uk, 20 novembre 2011
-Bland B., Vietnam: a question of balance, www.ft.com, 24 novembre 2011
-Bounting M., Arguments for constrained capitalism in Asia, www.guardian.co.uk, 21 aprile 2011
-Comito V., L’economia cinese è in difficoltà?, old.sbilanciamoci.info, 6 luglio 2011
-Occorsio E., Dopo i Bric, i Carbs re delle commodity, la Repubblica, Affari & Finanza, 23 gennaio 2012
-Tett G., The story of Brics, www.ft.com, 15 gennaio 2010
-The Economist, Rising power, anxious state, 25 giugno 2011
-World Bank, China 2030: building a modern, harmonious and creative high-income society, Washington, febbraio 2012