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Depressione sull'Atlantico

12/07/2011

Crolli ed emergenze globali, nel vuoto della politica. La finanza non deve essere rassicurata, ma messa in condizioni di non nuocere. Ecco come, in quattro semplici mosse

Tutta l’Europa che conta era ieri a Bruxelles a discutere di come Roma dovrà replicare le penitenze finanziarie di Atene, Dublino, Lisbona e Madrid. Ma se la crisi agita il Mediterraneo, altrettanto inquiete sono le acque dell’Atlantico. Il prossimo 2 agosto gli Stati uniti si troveranno in insolvenza, a meno di un accordo politico in extremis. La maggioranza repubblicana della Camera rifiuta di votare la legge necessaria per portare il limite del debito Usa oltre gli attuali 14.300 miliardi di dollari (circa il 100% del Pil), dopo aver respinto il piano da 4.000 miliardi di dollari in dieci anni proposto da Barack Obama per tagliare pensioni e sanità (ma non la spesa militare, che conta per la metà di quella mondiale) e limitare le deduzioni fiscali.

In tutte le capitali dell’occidente, la preoccupazione principale è rassicurare la finanza. Le banche, salvate dai governi dopo il grande crollo del 2008, hanno ripreso a speculare attaccando il debito degli stati. Tengono sotto tiro i più fragili paesi della periferia europea – ieri hanno “votato” una sfiducia record contro il governo italiano – ma tengono d’occhio anche i conti fallimentari di Gran Bretagna e Stati uniti.

L’Italia precipita nel vuoto di una politica degna di questo nome. L’Europa annaspa sul debito pubblico – meno di 300 miliardi di euro – di un paese che rappresenta il 2% del Pil dell’Unione. Gli Usa scivolano in un declino annunciato. Nessun governo mette un freno a speculazione e agenzie di rating, nessuno pensa all’economia reale, a che cosa produrre, al lavoro, ai redditi sempre più disuguali.

La nuova grande depressione è già qui, in questa generale incapacità di capire come funziona l’economia e nella subalternità a una finanza irresponsabile. I tagli ai bilanci di Grecia, Italia e Usa fanno cadere ancora di più l’economia e l’occupazione: l’Italia è da anni a crescita zero, Atene vede il Pil cadere del 3%, negli Usa ci sono 14 milioni di senza lavoro. Tutto questo avvita una spirale che aumenta il debito in rapporto al Pil e rende più probabili le insolvenze. Sui due lati dell’Atlantico i politici sono accecati dalla loro stessa ideologia, un tardoliberismo finanziario che ha dimenticato le lezioni sia della crisi degli anni trenta che del boom del dopoguerra, sostenuto dall’espansione della domanda e dal ruolo della stato.

Anziché venire “rassicurata”, la finanza dev’essere messa nelle condisioni di non devastare ulteriormente le economie più ricche del pianeta. Quattro semplici misure, discusse da anni e pronte per essere realizzate, potrebbero cambiare in breve tempo i rapporti di forza, le “aspettative dei mercati”, ed evitare depressione che ci aspetta. L’Unione europea potrebbe rilanciare la domanda con l’emissione di 100 miliardi di eurobond, titoli europei garantiti dal bilancio dell’Unione, destinati a finanziare la riconversione a un’economia sostenibile: ricerca, risparmio energetico e fonti rinnovabili, piccole opere pubbliche, tutela del territorio. Il debito pubblico dei paesi dell’area euro può essere garantito dall’Unione monetaria, azzerando così gli spazi di speculazione e definendo poi accordi specifici con le banche più esposte. Le minacce della speculazione si possono ridurre drasticamente con l’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie che colpisca per lo 0,05% le operazioni su tutti i mercati finanziari e delle monete. Infine, la creazione di un’agenzia di rating pubblica europea potrebbe mettere a tacere gli annunci interessati delle tre agenzie attuali. Quattro idee che funzionano, al posto del conformismo lacrime e sangue.

(articolo pubblicato anche sul manifesto del 12 luglio 2011)

 

 

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Commenti

Cosa c'è "di sinistra" nell'euro?

Da anni, Alberto, mi pongo la domanda : ma perchè la sinistra difende l'euro come una bandiera ? cosa c'è "di sinistra" nell'euro? Io ci vedo piuttosto qualcosa di "sinistro".
E su questa falsa bandiera la sinistra si sta impiccando e collabora attivamente ad impiccare l'Italia.
Nel merito del tuo commento :
- il rimedio non è semplicemente svalutazione : è uscire dall'euro e contribuire a "smontarlo" per quanto possibile dolcemente, passando ad un sistema di cambi flessibili anche tra i paesi europei, come già accade tra tutti i paesi del mondo. L'euro non serve affatto all'Europa, anzi.Naturalmente uscire dall'euro vorrebbe certamente dire svalutazione per l'Italia, come, assai di più ovviamente, per la Grecia.
Oggi l'euro si regge soprattutto su di un "equilibrio del terrore" : l'argomento più forte contro l'uscita è che uscendo si va incontro ad una catastrofe ,non solo del sistama euro, attenzione! (rischio contagio), ma del singolo paese uscente. E, vero? Io credo di no e credo che se noi economisti dessimo un contributo a sfatare questa visione faremmo cosa assai utile.

Ostinazione

Caro Tommaso,

sintetizzando il commento tuo e parafrasando quello di Mario, direi quindi che il problema è l'ostinazione con cui ci si rifuta di pensare a una svalutazione come soluzione del problema. Ma non è qui che devi dirlo, perché qui si pensa che l'euro sia "di sinistra", in quanto gloriosa conquista di un governo di sinistra... guidato da un democristiano! E tu lasciaglielo pensare: di elezioni da perdere ce ne saranno ancora molte, sempre di più, perché gli elettori stanno cominciando a capire. E una cosa simile non si perdona facilmente.

Nel fascio, però, c'è la stessa erba: una crisi di current account. Da una parte e dall'altra dell'Atlantico, per motivi diversi, il problema è il debito estero.

AB

P.S.: ah, sì, dimenticavo... "l'inflazione è la tassa più iniqua ecc. ecc.". Certo. E la disoccupazione no?

depressione sull'atlantico

"La finanza non deve essere rassicurata, ma messa in condizioni di non nuocere."
Questa semplice frase di Mario Pianta - così semplice ma importante - viene totalmente ignorata dai nostri politici e dai mass media perchè siamo noi cittadini a dover pagare il conto.
Mi domando con quali strumenti "politici" si potrà imporre questa nuova strada?
Enrico Comastri

Non facciamo di tutta l'erba un fascio

Ma no, non facciamo di tutta l'erba un fascio ! Le situazioni sulle due sponde dell'Atlantico son del tutto differenti. In America i repubblicani tempo fa hanno strappato una demagogica legge che impone un tetto al debito pubblico al 100% del Pil : ma perchè un debito al 99% può andare ed uno al 101% no? E' solo un cinico gioco politico.
In Europa i mercati in ultima analisi dicono semplicemente che Germania e Grecia non possono avere la stessa moneta. Hanno ragione i mercati : l'euro è stato un errore che ha fatto e fa molto male alle economie di molti paesi europei e quindi alla stessa idea di integrazione europea. Bisogna, credo, cominciare a pensare come uscirne col minor danno possibile.
Quanto alle misure proposte da Pianta, sono sostanzialmente d'accordo con Nuti.

Cambiare (almeno un po’) le regole del gioco

Le obiezioni di Mario Nuti mettono in luce la difficoltà di introdurre cambiamenti nella politica europea e nei rapporti col sistema finanziario. La crisi attuale è però anche l'occasione di provare a riscrivere alcune regole del gioco.

1. La politica della domanda
Con le regole attuali, l'Unione Europea ha un bilancio estremamente modesto, in pareggio, dipendente dai trasferimenti dei governi nazionali. Questi, a loro volta, hanno una spesa pubblica vincolata dal Patto di stabilità e quando hanno dovuto affrontare la crisi del 2008 tutti i paesi si sono trovati a non rispettarne più i parametri, senza peraltro riuscire a evitare una prolungata recessione. Esiste quindi il problema di ricreare lo spazio per la politica della domanda, una condizione essenziale per evitare di scivolare in una depressione. Vogliamo muoverci qui a livello nazionale o a livello europeo? Il primo è appesantito dalla rigidità dei conti pubblici e del debito nazionale. Il secondo mi sembra più promettente, aprirebbe una dinamica politica nuova, in cui il dibattito democratico su quale Europa vogliamo riprenderebbe respiro (e il Parlamento europeo magari troverebbe un ruolo). L'emissione di eurobond è ormai sostenuta da molti anche nell'establishment europeo, richiede naturalmente modifiche alle regole del bilancio europeo, e sarebbe in sostanza garantita dalla solidità dell'economia europea - la più grande del mondo. C'è da scommettere che i mercati finanziari - e i paesi in surplus come la Cina - li comprerebbero molto volentieri.
Per avere effetti "antidepressivi" tuttavia, la spesa europea finanziata da eurobond dovrebbe essere rigorosamente "di qualità": destinata all'economia reale (non a investimenti finanziari, tipo rimpiazzare il cattivo debito greco), per progetti con un lungo orizzonte temporale, come la riconversione a un'economia sostenibile, il passaggio a fonti di energia rinnovabili, il risparmio energetico, dovrebbe evitare l'ossessione delle grandi (e inutili) opere come la Tav Torino-Lione e diffondere i suoi effetti soprattutto nelle economie periferiche, lasciate senza domanda e senza prospettive.

2. Garantire il debito europeo
Anche su questo le regole attuali non bastano, ma non si tratta di avere riserve pari all'intero debito esistente. Quando è scoppiata per la prima volta la crisi finanziaria greca, la quantità di titoli greci da rifinanziare era minima; le riserve della BCE, delle banche centrali e l'emissione di moneta avrebbero potuto risolvere il problema prima che scoppiasse la crisi. Inoltre, la garanzia sarebbe sostanzialmente politica: ancora una volta, dietro il debito pubblico dell'area euro ci sarebbe la forza delle 17 economie e dell'euro. E' quello che fanno da decenni gli Stati uniti con il dollaro e la loro potenza internazionale. Una dichiarazione di questo tipo avrebbe il vantaggio enorme di eliminare ogni spazio per la speculazione sul debito pubblico europeo. E' chiaro che questo richiederebbe un cambio delle regole, in particolare di come (non) funziona la BCE, ma questo sta già avvenendo comunque, al di là delle dichiarazioni ufficiali di "autonomia" dai governi. Il problema è che i cambiamenti in corso e le misure di "salvataggio" prese non riescono comunque a fermare la speculazione, sono subalterni alla logica dei mercati finanziari, devastano le economie reali dei paesi colpiti e portano alla depressione.

3. La tassa sulle transazioni finanziarie
L'obiettivo della tassa non è ottenere grandi entrate (che pure potrebbero servire a finanziare la nuova spesa europea legata agli eurobond), ma ridurre le dimensioni delle transazioni finanziarie e gli spazi per la speculazione che produce instabilità e crisi. Con margini di guadagno ridotti si ridimensionerebbero molti dei problemi attuali creati dalla speculazione - oltre alle crisi del debito, la speculazione immobiliare, l'altalena delle monete, la corsa dei prezzi dei prodotti alimentari, etc. E' chiaro che la speculazione potrebbe trovare altre vie, ma altre contromisure sarebbero possibili.
Quest'obiettivo sarebbe più facile da realizzare introducendo regole generali più restrittive sulla finanza: ritorno alla divisione tra banche commerciali e banche d'investimento (lo chiede anche De Grauwe), limiti alle operazioni allo scoperto, armonizzazione europea del trattamento fiscale dei redditi finanziari, contrasto ai paradisi fiscali, incentivi a indirizzare la finanza verso investimenti nell'economia reale e qualche forma di controllo degli squilibri delle fluttuazioni di breve periodo nei flussi di capitale tra paesi (ne parla ormai perfino il Fondo monetario).

4. La società di rating pubblica europea
Qui si tratta di dare concretezza al fatto che la logica dei mercati finanziari - incarnata dalle società di rating - non è capace di valutare correttamente il rischio, come mostrato nel crollo del 2008. Inoltre, il monopolio delle tre agenzie private anglosassoni è uno strumento che alimenta la speculazione e va spezzato, come avverebbe di regola in qualunque altro mercato regolato da un Antitrust. Un soggetto pubblico europeo con il mandato di valutare i rischi finanziari, la solidità economica delle imprese e dei paesi e la sostenibilità ambientale e sociale degli investimenti (sono costi che prima o poi vanno pagati) avrebbe un ruolo importante. Ancora una volta: gli investitori cinesi di chi si fiderebbero di più? Delle tre agenzie attuali, piene di errori e conflitti d’interessi, o di un soggetto europeo di questo tipo?

5. Le possibilità di default
Con le attuali regole del gioco, è chiaro che il default concordato con i creditori sarebbe la soluzione più ragionevole, con minori conseguenze negative. Ma le resistenze non devono stupire: tutto il sistema – e i rapporti di forza politici - funziona per tutelare i creditori e scaricare i costi sui debitori. Di qui l’orrore – anche per il “selective default” di rinegoziare il debito – manifestato dalle agenzie di rating. Inoltre l’insolvenza sul debito della Grecia creerebbe immediatamente aspettative di insolvenza anche per gli altri paesi fragili, Italia compresa, con un effetto a catena di fuga dai titoli, aumento degli spread, etc. Il default di un paese dell’area euro creerebbe un precedente non elegante, destinato a diventare “costoso” in termini di oneri del debito per gli altri paesi deboli, di credibilità dell’Unione monetaria e dell’euro. Credo che “costerebbe di meno”, tutto considerato, garantire il debito della Grecia e negoziare poi a porte chiuse con le banche esposte la divisione dei costi della ristrutturazione. Se non si prendono altre misure (come quelle proposte sopra) la prospettiva dell’insolvenza si fa comunque più vicina e condivido il giudizio che sia comunque preferibile a un prolungamento (rollover) delle scadenze del debito pubblico.
Infine, le conseguenze sull’economia reale: il default potrebbe dare solo un po’ d’ossigeno all’economia greca – riducendo i tagli alla spesa e gli oneri del debito – ma non creerebbe le condizioni per una ripresa del paese, né eviterebbe la più generale depressione europea. Questo mi sembra resti il compito centrale della politica economica.

Quattro rimedi un po' dubbi

Simpatizzo con lo spirito delI'articolo dell'amico Mario Pianta ma ho forti dubbi sui quattro rimedi da lui proposti. Un bilancio europeo di appena l'1% del PIL e sempre ex-post in pareggio coi contributi degli stati membri in proporzione al loro PIL (e quindi con un surplus primario strutturalmente uguale a zero) non puo' credibilmente garantire proprio niente, nemmeno eurobonds per 100 miliardi di euro; questa proposta che Stuart Holland va proponendo dal 1993, e che lui e altri hanno cercato di resuscitare recentemente, non a caso fu bocciata dallo stesso Delors e cade su orecchie sempre sorde. E come fa l-Unione Monetaria a garantire il debito sovrano dei paesi membri, quando la BCE ha un capitale di poco piu' di 6 miliardi di euro, e un sistema delle banche centrali europee con un'ottantina di miliardi di euro, che sono una piccola frazione della loro esposizione al solo debito greco. Facciamo pure un'imposta sulle transazioni finanziarie, ma non aspettiamoci fondi ingenti visto che se non e' universale puo' essere evitata e anche se fosse universale le transazioni potrebbero sempre essere condotte esentasse sul cyberspazio, E che autorevolezza potrebbe avere un'agenzia europea di rating addomesticata e non indipendente?

Certo che l'austerita' collettiva puo' solo precipitare un'avvitamento dell'economia globale. Ma rimane sempre la possibilita' di un default, preferibilmente prima che tardi, e concordato con i creditori piuttosto che unilaterale e disordinato. Costoso, certamente, in termini della ricapitalizzazione delle banche, dell'ECB e del sistema delle banche centrali europee. Ma pur sempre molto meno costoso sia del default disordinato sia del rollover dei debiti sovrani (da IMF e istituzioni europee) non sostenibili seguito inevitabilmente prima o poi da default su scala ancora piu' vasta.

L'assurdita' e' l'ostinazione con cui sia le agenzie di rating, sia - perversamente - la Banca Centrale Europea, si rifiutano di considerare la differenza fra un default unilaterale e disordinato e un default concordato con i creditori,