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La troika ha salvato le banche, non Atene

16/01/2015

Continente Grecia/Solo l’11 per cento degli aiuti è finito allo Stato ellenico, che ha dovuto tagliare spesa pubblica e welfare. Mentre il debito pubblico è esploso Ecco perché è falsa l’idea che l’Europa abbia salvato il Paese

Le imminenti elezioni greche, e la prospettiva di una possibile vittoria di Syriza, hanno rimesso la questione del debito greco al centro del dibattito europeo. Alexis Tsipras ha infatti annunciato che in caso di vittoria elettorale chiederà “la cancellazione della maggior parte del valore nominale del debito pubblico” e un “periodo significativo di moratoria” sul rimborso della parte restante del debito. Prevedibilmente, la notizia ha mandato in tilt le cancellerie di mezza Europa. Ed è facile capire perché. Solo il 15% del debito greco, che ammonta a 317 miliardi di euro (il 177% del Pil), è in mano al settore privato (il che spiega la relativa calma dei mercati). Il grosso del debito – il 65% del totale, per la precisione – è detenuto dagli altri governi dell’eurozona. Il resto è in mano al Fondo monetario internazionale e alla Bce. Considerando che l’Fmi non permette agli stati di ristrutturare i debiti nei suoi confronti; che la Bce, per bocca del francese Benoît Cœuré, ha dichiarato senza mezzi termini che un’eventuale ristrutturazione del debito in mano alla Bce sarebbe illegale; e che Tsipras ha affermato di non voler colpire i creditori privati, risulta evidente che saranno i governi europei a pagare per intero il prezzo di un’eventuale ristrutturazione del debito greco.

La Germania ha già fatto sapere che è disposta a prendere in considerazione una revisione delle condizioni di rimborso (rinegoziando le scadenze e/o i tassi di interesse, per esempio), ma ha categoricamente escluso l’ipotesi di un taglio del valore nominale del debito. A prima vista la posizione tedesca sembra ragionevole: “Ma come? Nel momento del bisogno vi abbiamo prestato i soldi, e ora ci pugnalate alle spalle?”. È opinione comune, non solo in Germania, che il “salvataggio” – o bailout – della Grecia da parte della troika, prima nel 2010 e poi nuovamente nel 2012, per un totale di 226 miliardi di euro, avrebbe avuto principalmente lo scopo di tenere a galla lo stato greco, permettendogli di far fronte alle spese correnti (gli stipendi di medici, insegnanti, poliziotti e così via). Secondo questa lettura, la Germania potrebbe essere paragonata a una sorella maggiore severa, forse un po’ ottusa, ma comunque disposta ad aiutare i propri fratelli nel momento del bisogno. Ma è veramente così?

Da un recente studio condotto dall’economista greco Yiannis Mouzakis sulla base di documenti della Commissione europea, dell’Fmi e del governo greco emerge che solo circa 27 miliardi di euro di prestiti della troika – l’11% del totale – sono andati a coprire i costi dello stato. Anche perché dal 2013, in virtù della stretta brutale causata dalle politiche di austerità, lo stato greco registra un avanzo primario (in altre parole i ricavi superano le spese).

E allora dove sono finiti tutti i soldi? Il grosso è stato utilizzato per ricapitalizzare le banche greche e per onorare gli impegni con i creditori dello stato e dei privati greci, in gran parte banche tedesche e francesi: in totale, più dell’80% degli “aiuti” della troika sono andati a beneficio diretto o indiretto del settore finanziario (nazionale ed estero).

Questi dati mostrano quanto sia fallace l’idea secondo cui “i soldi dei contribuenti europei”, come amano chiamarli, siano serviti a salvare la Grecia e gli altri paesi della periferia; la verità è che, con la scusa di salvare le cicale greche, i soldi dei contribuenti europei – di tutti noi – sono stati utilizzati per salvare ancora una volta le grandi banche del continente. Molte delle quali tedesche. È la stessa conclusione raggiunta anche da nientedimeno che Peter Böfinger, consigliere economico del governo tedesco, che nel 2011 ha dichiarato che il bailout della Grecia “non riguarda tanto i problemi della Grecia quanto quelli delle nostre banche, che possiedono molti crediti nei confronti del paese”. Nel frattempo il debito della Grecia è esploso, passando dal 130% del 2010 al 177% di oggi. Per aggiungere la beffa al danno, poi, “l’aiuto” della troika è stato utilizzato come giustificazione per imporre alla Grecia un brutale programma di austerità fiscale e salariale che ha bruciato un quarto del reddito nazionale e ridotto in povertà milioni di persone.

Incredibilmente, il dubbio che il bailout così come concepito dalla Commissione europea e dalla Bce avesse lo scopo di salvare le banche e non la Grecia fu sollevato a suo tempo persino dal terzo membro della troika, il Fondo monetario internazionale. È riportato nero su bianco nei verbali della drammatica riunione del 9 maggio 2010 in cui l’Fmi ha dato il via libera al primo piano di aiuti per il paese. I documenti parlano chiaro: più di quaranta paesi, tutti non europei e pari al 40% del board, erano contrari al progetto messo sul tavolo dai vertici Fmi. Il motivo? Era “ad altissimo rischio”, come ha messo a verbale il rappresentante brasiliano, perché “concepito solo per salvare i creditori, nella gran parte banche del vecchio continente e non la Grecia”. L’Fmi era propenso a imporre subito un taglio al debito greco, per mezzo di un “haircut” (come poi è stato fatto nel 2012), ma la Commissione europea e la Bce erano fermamente opposte a imporre qualunque perdita ai creditori. È interessante notare che l’opposizione dell’Fmi al piano si basava sull’argomentazione secondo cui un prestito così ingente in relazione al Pil del paese (in pochi anni la Grecia ha preso in prestito dalla troika fondi equivalenti al 125% dell’attività economica del paese nel 2014) avrebbe reso il debito greco – al tempo ancora sostenibile, secondo l’organizzazione – definitivamente insostenibile. Una previsione che oggi, secondo praticamente tutti gli analisti, è diventata realtà. E che rende la ristrutturazione annunciata da Tsipras una condizione essenziale per permettere al paese di ricominciare a crescere (soprattutto alla luce degli attuali vincoli di bilancio europei, che Syriza ha annunciato di voler rispettare).

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E' falso che la Troika ha salvato le banche senza QUASI nessun beneficio per la Grecia

E' vero, malgrado dal titolo ("La Troika ha salvato le banche, non Atene") si evinca che la Grecia non ha tratto alcun beneficio dall'intervento della Troika, dal testo dell'articolo di Fazi si deduce invece che secondo lui gli interventi della Troika sono stati sì finalizzati a salvare le banche, ma con dei MARGINALI benefici per la Grecia (l'11% del piano di salvataggio). Faccio quindi ammenda: per semplificare, avevo scritto che secondo Fazi la Troika ha salvato le banche senza NESSUN beneficio per la Grecia.
In realtà, da quanto riporta ATTAC (sottolineo, i dati hanno come fonte ATTAC e non la Commissione Europea, o il FMI o la BCE: non mi piace vincere facile!), il 22,46% dei fondi del piano di salvataggio ha alimentato il bilancio pubblico greco (che altrimenti non sarebbe stato in grado di pagare stipendi, pensioni e sussidi), e il 28,13% sono serviti a ricapitalizzare le banche greche (le quali non stanno su Marte, ma appunto in Grecia e senza i soldi della Troika avrebbero fatto bancarotta, polverizzando i depositi e i risparmi di milioni di cittadini greci che lo stato greco non sarebbe certo stato in grado di garantire). Siamo già a più del 50% dei fondi del piano di salvataggio. Quindi l'aiuto ricevuto dalla Grecia non è stato poi così marginale.
Del resto, basta vedere i dati macroeconomici per verificare che senza gli aiuti della Troika, nel momento in cui con lo scoppio della crisi venivano subitaneamente meno - ed anzi invertivano la loro direzione - i flussi di capitale estero che avevano finanziato l'enorme disavanzo estero della Grecia e il suo grandissimo deficit pubblico, l'economia greca sarebbe implosa rovinosamente.
Una riflessione ingenua: a chi e a cosa serve screditare con accuse molto gravi quanto infondate - spesso basate su palesi e grossolane falsificazioni dei fatti - o addirittura criminalizzare le istituzioni sovranazionali che l'Europa si è faticosamente e democraticamente data? A chi se non alla Signora Le Pen, a Salvini, ai peggiori populismi che si aggirano per l'Europa?
Vale la pena tutto questo per sostenere Syriza?

P.S. L'argomento secondo cui i soldi dati alla Grecia per ripianare i suoi debiti (il 49,41% del totale, secondo ATTAC) non vanno considerati aiuti alla Grecia mi ricorda una storiella: è la storiella di quel signore senza un soldo che va in un ristorante di lusso a gozzovigliare alla grande e al momento del conto chiede aiuto ad un amico seduto su un altro tavolo affinchè gli eviti guai seri pagandogli il conto; il giorno dopo, quando l'amico gli suona a casa per chiedergli la restituzione di quanto prestatogli, il signore dice all'amico: "Ma cosa vuoi da me? Fatti restituire i tuoi soldi dall'oste: gli hai dati a lui, mica a me!"

Per quelli che "è tutta colpa della Grecia"...

http://www.forbes.com/sites/stevekeen/2015/01/21/its-all-the-greeks-fault/

Hugo Chavez il monologante

Tu ami i monologhi (indizio di debolezza), lo dimostra il fatto a) che non ti rivolgi al tuo interlocutore in seconda persona, ma in terza; b) che anziché rispondere alle domande, ripeti le tue tesi; c) che comodamente e gratuitamente definisci le tesi dell’interlocutore demagogiche (sic!); d) che dici cose ovvie: le banche “svolgono un insostituibile ruolo sistemico” (mai dire cose ovvie, o dove avrei scritto il contrario?); e) anziché replicare al mio giudizio negativo del tutto personale sulle banche frutto della mia esperienza rispondendo sì o no e perché, ripeti la stessa cosa ovvia (mai, proprio mai, ripetere cose ovvie e/o mai eccepite: sono un indizio di debolezza). Se non reggi i dialoghi, non inventarti balle (sono un indizio di debolezza), come anche quella che Fazi abbia scritto che “gli interventi della Troika sono stati finalizzati a salvare le banche, senza nessun beneficio per la Grecia”, mentre già nell’abstract è ben evidenziato che “Solo l’11 per cento degli aiuti è finito allo Stato ellenico”.
Comunque, lascia stare Fazi, rispondi puntualmente alle mie domande, se ne sei capace, argomentando con dati di fatto, cosa di cui dubito assai, poiché ardisco pensare che la tua inclinazione irresistibile sia quella di sciorinare i tuoi fantasiosi pregiudizi…unidirezionali.

A proposito di demagogia...

A dir la verità il mio intervento intendeva mostrare come fosse antitetica ai fatti la ricostruzione della crisi greca di Thomas Fazi, volta a mostrare che gli interventi della Troika sono stati finalizzati a salvare le banche, senza nessun beneficio per la Grecia. Pensavo infatti che i commenti dovessero vertere su questo. Invece Vincesko preferisce polemizzare con me, perché avrei fatto un panegirico delle banche, che a lui (o lei) "sembrano tutte peggio di un fruttivendolo che bara sul peso e sul prezzo". Che aggiungere di fronte a cotanto argomento? Non è proprio un buon esempio di quelle sparate demagogiche verso cui mettevo in guardia nel mio precedente intervento?
In realtà, riguardo alle banche, avevo solo fatto notare che esse svolgono un insostituibile ruolo sistemico (forse è questa ovvia constatazione è apparsa all'amico Vincesko "un panegirico"), che quando sono grandi rende necessario -- piaccia o non piaccia (al Tea Party americano, ad esempio, non piace) -- il loro salvataggio in caso di crisi. Avevo poi aggiunto che prima della crisi l'acquisto di debito pubblico greco era percepito, e con buone ragioni, un investimento a bassissimo rischio e che certo non era un investimento speculativo ad alto rendimento. Avevo inoltre rilevato che, secondo molti, sarebbe stato preferibile che la crisi greca fosse stata gestita senza interventi delle istituzioni europee dal solo FMI, che avrebbe fatto ricorso alla sua consolidata expertise in materia maturata in 60 anni, senza le improvvisazioni e i contrasti inevitabilmente emersi tra i governi europei di fronte ad una situazione mai affrontata prima. Si sarebbe arrivati ad un default parziale della Grecia, con una ristrutturazione del debito in cui i vari governi europei a loro discrezione e comunque con propri fondi avrebbero deciso se ripianare le perdite subite dalle loro banche. Cosa che del resto avevano già fatto non molto prima con quelle loro banche gonfie di asset tossici di provenienza americana. Avevo infine sottolineato che la ragione principale per cui non è stata seguita questa strada è stata la paura che questo precedente innescasse una reazione a catena che finisse per travolgere anche altri paesi a rischio (leggasi Italia e Spagna). Peraltro, occorre ammetterlo, una preoccupazione certamente non infondata. Il resto è fuffa.
se questo non è stato fatto

Alcune domande a Hugo Chavez

@Hugo Chávez
Hai fatto un panegirico sulle banche, che, in base alla mia esperienza, non meritano affatto, poiché mi sembrano tutte peggio di un fruttivendolo che bara sul peso e sul prezzo. A te no?
Nulla quaestio sulla salvaguardia dei soldi dei depositanti (che peraltro fino a 100 mila € sono assicurati), ma qui la questione è un'altra: a) le banche tedesche, francesi e olandesi hanno soprattutto speculato con quei soldi, incamerando il differenziale correlato al rischio elevato; b) sono state salvate con i soldi pubblici di tutti gli Europei, presi in gran parte dalle tasche dei non ricchi, anche senza depositi bancari; c) i salvataggi delle banche sono aiuti di Stato, vietati, ma la Commissione Europea non ha obiettato nulla; d) appena salvate con soldi pubblici, le banche si sono rimesse a speculare sui debiti sovrani; e) hanno aiutato la Grecia a falsificare i conti pubblici. Mi dici chi e perché si oppone alla separazione tra banche commerciali e banche d’affari?
Hai dimenticato la terza opzione: come scrive Romano Prodi, se si fosse intervenuti subito a risolvere la crisi del debito pubblico greco, sarebbe costato 30 mld, non 300. Chi ha preso la differenza di 270? E soprattutto chi l’ha pagata?

Per favore, andiamoci piano con la demagogia!

Immancabilmente, demagogia e populismo finiscono col prevalere quando in situazioni di gravi difficoltà la gente si convince della veridicità di alcuni miti ("la vittoria mutilata", la "pugnalata alle spalle", il "complotto demo-giudo-plutocratico", "le trame della finanza e delle grandi banche", "la signora Merkel e l'egoismo tedesco"...) che le consentono di indirizzare il suo risentimento su dei facili capri espiatori, di auto-assolversi per comportamenti collettivi che hanno avuto larga parte nel determinare quelle situazioni, nonché di spiegare in modo semplice e rassicurante complesse catene di eventi. Syriza sta riuscendo molto bene in questa operazione. Smontiamo allora tre di questi miti che ritroviamo puntualmente nel pezzo di Fazi e accomunano il populismo di destra e di sinistra, del tutto indistinguibili sui temi economici.

L'AUSTERITY. Un punto essenziale che continua a sfuggire a molti benpensanti è che essa non è stata il risultato di un diktat della Troika o della perfida Sig.a Merkel, ma l'inevitabile conseguenza del fatto che tutti quelli che prestavano soldi alla Grecia (così come in misura minore al Portogallo, alla Spagna...), permettendole di spendere ben di più (il 15% alla vigilia della crisi) di quanto riusciva a produrre, da un certo punto in poi - e per buone ragioni visto quanto è poi accaduto e sta accadendo - non hanno più voluto continuare a farlo. Non solo i capitali non sono più entrati in Grecia, ma anzi hanno cominciato velocemente a fuggire. Ciò ha comportato una drastica caduta della capacità di spesa (pubblica e privata) della Grecia, precedentemente ampiamente finanziata a debito, ovvero ha comportato l’austerity (che altro non è stata se non questo). Questa drastica caduta, peraltro, è stata fortemente attutita dai vari interventi e prestiti di emergenza che la Grecia ha ottenuto attraverso le istituzioni europee e i suoi partner dell’area euro, oltreché del FMI. Questi sono i fatti. Syriza (e Fazi) ci restituiscono un mondo alla rovescia che non è mai esistito se non nella loro narrazione.

IL SALVATAGGIO DELLA GRECIA. E’ semplicemente falso, pura propaganda, che i fondi degli altri paesi europei e del FMI che tramite vari canali sono giunti alla Grecia sono serviti solo per ripagare le banche creditrici e non hanno dato pressoché nessun sollievo al paese. Senza tali fondi, la Grecia sarebbe stata costretta ad azzerare immediatamente sia l’enorme disavanzo con l’estero che il grandissimo deficit pubblico che aveva al momento della crisi, invece di spalmare l’aggiustamento nell’arco di alcuni anni. Altro allora che riduzioni contrattate degli stipendi e delle pensioni pubbliche! Senza tali fondi, l’intero sistema bancario greco sarebbe fallito e l’intera economia greca sarebbe andata nel caos. La caduta del PIL che la Grecia ha avuto in questi anni sarebbe stata poca cosa al confronto.

IL SALVATAGGIO DELLE BANCHE. Fare della demagogia sulle banche è facilissimo, anche perché le banche se la vanno spesso a cercare (ad esempio, per il ruolo che hanno avuto nel determinare la crisi subprime americana). Del resto, è da millenni che chi maneggia i soldi non ha mai goduto di grande popolarità. In realtà, i banchieri sono percepiti come bravi e buoni finché danno a prestito e perfidi quando vogliono i loro soldi indietro. Nel caso in questione, prima della crisi il debito sovrano greco era accettato come collaterale alle stesse condizioni di quello tedesco dalla Banca Centrale Europea (del resto, se non avesse fatto così, immaginiamo gli strali e le accuse alla BCE di iniqua discriminazione contro un paese membro a pieno titolo dell’Unione Monetaria!). E’ vero che ciò non rappresentava in alcun modo una garanzia formale su tali titoli, ma allo stesso tempo non si può dire che gli investitori di tutto il mondo che acquistavano i titoli greci stessero intraprendendo operazioni particolarmente rischiose o ad alto contenuto speculativo. Che cercassero quindi, scoppiata la crisi greca, di salvaguardare il valore del loro investimento grazie ai soldi pubblici degli altri paesi europei non è da considerarsi particolarmente scandaloso. Ma il punto non è tanto questo. La Grecia non è stata salvata per evitare perdite alle banche francesi (le più esposte) e tedesche. A conti fatti, ad esempio, ai tedeschi sarebbe convenuto lasciarla fallire e poi semmai ripianare le perdite subite dalle proprie banche con denaro pubblico. Si temeva piuttosto di creare un precedente, generando un effetto domino che come nel caso del fallimento di Lehman Brothers avrebbe presto travolto altri debitori a rischio e gettato nel panico l’intera economia europea. Ex post, si può forse dire che fu un errore e che sarebbe stato meglio per gli altri paesi europei (ma non per la Grecia!) fare come auspicava il Financial Times, ovvero lasciare che il default greco seguisse il suo corso, evitando di coinvolgere le istituzioni europee e non esponendole così al tormentone accusatorio (di cui il pezzo di Fazi è un ottimo esempio) che le sta corrodendo. Cionondimeno, il radicalismo stile Tea Party americano, per cui ogni soldo pubblico utilizzato per il salvataggio delle banche costituisce un inaccettabile furto per i contribuenti e un ingiustificato regalo per il settore finanziario, è pura demagogia. Va semmai discusso di come “punire” gli amministratori delle banche che hanno avuto bisogno di denaro pubblico per salvarsi e di come penalizzare i padroni di queste banche (che peraltro spesso in Europa sono entità pubbliche che ne utilizzano gli utili per finalità sociali). Deve essere chiaro anche al popolo di sinistra che “salvare le grandi banche del Continente” vuol dire – che piaccia o non piaccia -- salvaguardare i depositi di milioni di risparmiatori piccoli e grandi, evitare che i titoli pubblici che esse hanno in portafoglio vengano gettati sul mercato (con conseguenze catastrofiche per paesi come l’Italia o la Spagna), impedire il crollo del valore delle loro obbligazioni rendendo inadempienti i fondi pensioni e le assicurazioni di tutto il continente, scongiurare la paralisi del credito e dell’intero sistema dei pagamenti. A questo servono i soldi dei contribuenti “andati a beneficio diretto o indiretto del settore finanziario”. Per favore, andiamoci piano con la demagogia: se la gente ci crede, può tramutarsi in un’arma di distruzione di massa.