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Se si sveglia la politica e attacca i mercati

05/09/2011

Il New York Times di venerdì scorso ha titolato un importante articolo di N. D. Schwartz: «U.S. is set to sue a dozen big banks over mortgages» (Gli Stati Uniti sono pronti a citare in giudizio una dozzina di grandi banche per i mutui ipotecari). L'articolo è stato poi ripreso ieri dai maggiori quotidiani mondiali (sul Sole 24 Ore si vedano anche oggi gli approfondimenti a pagina 12).

La notizia, pur clamorosa, non è isolata, perché s'accompagna a un'altra, cioè che la Federal Reserve ha richiesto alla Bank of America di indicare quali misure intenda prendere qualora peggiorino le condizioni economiche delle sue riserve in relazione alle perdite sui mutui ipotecari. Quest'ultimo episodio è del tutto inusuale e se ha creato non pochi problemi in Borsa a Bank of America, sembra tuttavia aver mostrato una nuova positiva e trasparente direzione di vigilanza da parte della Fed.

Certamente più sconvolgenti e rivoluzionarie sono tuttavia le azioni legali, che verranno formalizzate entro mercoledì per scadenza dei termini, da parte dell'agenzia governativa Federal Housing Finance Agency, creata nel 2008 per sorvegliare la ristrutturazione del debito di Fannie Mae e Freddie Mac, i due fondi che hanno garantito i mutui ipotecari e che a seguito delle perdite sono stati poi di fatto nazionalizzati. L'accusa a 17 banche è di aver fornito false valutazioni sulla qualità e affidabilità degli strumenti finanziari, che inglobavano appunto i mutui ipotecari e venivano venduti agli investitori ignari ai quali non erano svelate le scadenti condizioni economiche dei mutuatari. Questi ultimi, poi, incapaci di pagare alle scadenze, facevano precipitare il valore dei titoli e dell'intero mercato immobiliare a danno degli investitori.

L'azione legale dell'agenzia governativa ha lo scopo di ottenere dalle banche il rimborso delle perdite subite da Fannie e Freddie, ammontanti a più di 30 miliardi di dollari. Va inoltre ricordato che i mutui ipotecari (subprime) sono stati indicati come origine dell'attuale crisi, esplosa soprattutto grazie alle innovazioni finanziarie dei derivati il cui valore è ancora oggi almeno sei-sette volte superiore al Pil del mondo intero. Né va scordato che un gruppo di dieci grandi banche controlla circa il 90% del mercato dei titoli derivati.

La decisione del Governo americano, che era già stata preceduta da una causa intentata con le medesime accuse all'Ubs nel mese di luglio, manda improvvisamente al macero una serie di principi, di filosofie e di miti, sui quali si è retta l'economia globale.
Il primo di essi a cadere è l'epicentro del capitalismo finanziario, quell'entità metafisica chiamata "mercato", giudice indiscusso dell'efficienza e dell'equità degli scambi, che si appalesa invece un complesso sistema, tutt'altro che metafisico, non solo asimmetrico e opaco nell'informazione, ma manipolato dalle grandi istituzioni finanziarie private e dalla speculazione. Ciò che è maggiormente singolare è che questa rivoluzionaria smentita non venga da qualche isolato detrattore intellettuale, bensì dal Governo americano, finora impegnato col denaro dei contribuenti a salvare soprattutto le grandi banche, evitandone il fallimento. Salvataggio che ha avuto come effetto paradossale di alimentare e non frenare la speculazione, imponendo misure di austerità negli Usa e in Europa, con la conseguente immissione di ulteriore liquidità da parte delle banche centrali per acquistare titoli pubblici.

Il secondo principio che sta saltando è il "too big to fail" (troppo grande per fallire) sulla motivazione che quel fallimento potrebbe provocare una catastrofe apocalittica nell'economia e nella politica. Il concetto di "istituti di sistema" che debbono essere comunque salvati è per la prima volta minacciato dal principio di responsabilità, caposaldo questo di ogni teoria della giustizia, e fatto finalmente valere nei confronti della irresponsabile libertà dei mercati finanziari. Ma il fatto assolutamente nuovo è che non siano i singoli investitori danneggiati a richiedere il rimborso dei danni subiti, ma il Governo degli Stati Uniti. Sembra questa una prima, evidente e impietosa rivolta della politica nei confronti della sua sudditanza alla finanza, agli investitori istituzionali, agli speculatori. Ci si può chiedere allora se l'azione contro le banche potrebbe costringerle a risarcire i danni e a rischiare nuovamente l'insolvenza, ma questa volta a fallire?

Il terzo principio, che cancella anni di ignoranza, è il ricorso al diritto, e in particolare alla giustizia civile, da parte della politica e non solo dei risparmiatori arrabbiati. La politica che finora il diritto l'ha creato sembra adesso finalmente obbedire allo Stato di diritto. Il capitalismo finanziario aveva da sempre condizionato, dei tre poteri fondamentali della democrazia, l'esecutivo e il legislativo, imponendo regole autoreferenziali a sua esclusiva protezione e incurante della tutela dei meno abbienti, fiducioso che il ricorso al potere giurisdizionale rimanesse comunque marginale e preferibilmente delegittimato.

Questa nuova svolta americana rimette decisamente in discussione tutta la struttura dell'economia finanziaria e i principi della democrazia, spingendo a rifondare le basi sulle quali impostare le regole della globalizzazione capitalista. Questa volta, oltre a decidere come debba risolversi la crisi con diretti e indiretti problemi, riguardanti il flusso dei capitali, la qualità degli investimenti, la disoccupazione, la tutela di una vita buona dei cittadini, la destinazione del debito pubblico e tutto quel che dipende dalla politica economica non sembrano più essere solamente i politici, i banchieri centrali con i loro suggeritori, ma anche i giudici, e non solo quelli penali. Più che mai sono ancora oggi decisive le idee del famoso saggio La funzione della giurisprudenza al tempo presente di Piero Calamandrei del 1955. L'opera del giudice infatti nell'economia ha, nel bene e nel male (ricordo che la Corte suprema degli Stati Uniti bocciò una serie di leggi del New Deal roosveltiano), una funzione, sicuramente non solo interpretativa, diretta a soddisfare le ragioni e le esigenze di legalità, senza sacrificare né equità né giustizia.