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La diseguaglianza passata ai raggi X

12/01/2010

Cause ed effetti dell'aumento delle sperequazioni di reddito e ricchezza. Quali obiettivi per la politica economica del futuro? Un numero di Intereconomics

Il tema delle diseguaglianze economiche ha in passato assunto un ruolo assolutamente marginale nel dibattito economico. A livello macroeconomico si sosteneva, infatti, una sostanziale stabilità delle quote distributive del reddito tra salari e profitti, mentre a livello microeconomico un certo grado di diseguaglianza tra i redditi personali degli individui era considerato inevitabile: secondo la legge di Kuznets, nel corso dello sviluppo economico di un Paese, le diseguaglianze sarebbero aumentate durante il periodo di urbanizzazione associato al passaggio da una struttura agricola ad una sviluppata economia industrializzata, per poi stabilizzarsi ed eventualmente ridursi in fase successive dello sviluppo in seguito all’affermarsi di strutture economiche più mature basate sulla diffusione del settore dei servizi.
Negli ultimi due decenni, tuttavia, l’eclatante aumento della sperequazione dei redditi personali sia nei Paesi emergenti che nelle moderne economie occidentali, associato alla pesante caduta della quota di reddito aggregato destinato ai salari è divenuto un elemento incontestabile che ha contraddetto la teoria economica e riacceso l’interesse nei confronti del tema della distribuzione del reddito e delle diseguaglianze.
Cosa può aver determinato la persistenza e l’incremento della diseguaglianza negli ultimi decenni e cosa è possibile dire oggi sul tema della distribuzione?
Una panoramica dei principali fatti osservati è offerta nel numero di Dicembre 2009 della rivista Intereconomics, che dedica un intero approfondimento monografico di sette articoli all’analisi delle cause della diseguaglianza e ai possibili interventi di politica economica attuabili per contrastarla.
Gli articoli analizzano soprattutto la realtà europea che appare molto critica: ad eccezione di Svezia e Danimarca, il grado di diseguaglianza tra i redditi personali all’interno dei vari Paesi è cresciuto quasi ovunque dagli anni ’70 in poi e l’indice di Gini (indicatore del grado di concentrazione del reddito normalizzato tra 0 e 1, dove 1 rappresenta il caso di massima sperequazione e 0 quello di equa distribuzione) assume valori particolarmente elevati (0,30 in media). In Paesi come Italia, Gran Bretagna, Germania, Svezia e Finlandia il tasso di crescita dei redditi appartenenti al quintile più alto della distribuzione è stato doppio rispetto a quello del quintile più basso. Valutando la performance europea nel complesso, la situazione appare ancora più preoccupante e l’indice di Gini calcolato su tutto il territorio UE presenta un valore prossimo a quello rilevato negli USA (0.37), considerato generalmente il Paese occidentale con la più alta diseguaglianza economica (si veda M. Giammatteo: Economic Inequality of Europe, mimeo, March 2009).
Per comprendere i meccanismi alla base di quanto rilevato, gli autori sostengono che il ruolo congiunto di sviluppo tecnologico, attori sociali e istituzioni è fondamentale nel definire il legame crescita-diseguaglianza.
Ad esempio, si osserva che, riconoscendo una certa “conflittualità” della distribuzione del reddito tra le parti sociali, la variazione nella distribuzione funzionale ed il crollo nella quota di reddito destinata a remunerare il lavoro sono sintomi di un cambiamento dei rapporti di forza istituzionali tra capitale e lavoro. Come osserva Maurizio Franzini, poiché l’aumento della quota di profitti è concentrato nelle mani di una parte minoritaria degli agenti economici (solitamente i più abbienti), mentre la restante parte fa affidamento sostanzialmente sui redditi da lavoro, una caduta nella quota di questi ultimi comporta inevitabilmente un aumento delle diseguaglianze dei redditi personali complessivi.
La crescita delle rendite e dei profitti è, inoltre, certamente favorita da globalizzazione, deregolamentazione e apertura dei mercati finanziari. In aggiunta, il mercato del lavoro negli ultimi anni è stato ovunque segnato da politiche di flessibilità e - spesso - di precarizzazione che, attraverso la maggiore diffusione di lavori atipici, temporanei e poco remunerati (anche tra lavoratori qualificati), hanno contribuito ad accrescere le disparità. Contestualmente, l’apertura dei mercati internazionali e le possibilità di trasferire alcune produzioni in Paesi in cui il costo il lavoro è a basso prezzo e senza tutele (o anche solo l’eventuale minaccia psicologica di un eventuale trasferimento esercitata sui lavoratori), ha contribuito a paralizzare la dinamica salariale delle economie occidentali. A ciò ha fatto seguito un certo depotenziamento del ruolo dei sindacati, accusati di difendere solamente gli interessi degli iscritti o di coloro che già hanno un lavoro (i cosiddetti insiders) e di incentivare, attraverso “eccessive” richieste salariali, la disoccupazione. Tuttavia, l’articolo di Andrew Watt e Rory O’ Farrell mostra che recenti risultati empirici contraddicono questa lettura critica del ruolo dei sindacati.
Per di più, i sistemi di welfare europei non sempre hanno accompagnato le riforme del mercato del lavoro attraverso interventi compensativi indirizzati a controbilanciare la crescente sperequazione: mentre l’intervento statale è stato molto rilevante nei Paesi del Nord Europa, in quelli Mediterranei i cambiamenti nel mercato del lavoro sono stati accompagnati da politiche redistributive deboli e da scarsa attenzione agli interventi egualitari, dovuta alla convinzione che la crescita economica fosse spinta piuttosto dalla accumulazione di risparmio e dagli investimenti.
Tuttavia, il legame tra accumulazione di reddito e crescita non è cosi diretto come per lungo tempo è stato sostenuto. Infatti, Stephan Klasen presenta esempi di Paesi emergenti, come il Brasile, nei quali interventi redistributivi, programmi di trasferimenti pubblici, politiche attive di sostegno dell’istruzione giovanile hanno favorito, contestualmente, un percorso di crescita economica e di riduzione delle diseguaglianze.
Inoltre, i cambiamenti istituzionali descritti hanno avuto luogo in un contesto di profondi mutamenti del paradigma tecnologico-produttivo, quali la diffusione dell’ICT, il declino delle industrie tradizionali in cui era occupata forza lavoro mediamente o poco qualificata e l’espansione di settori più innovativi, a cui si è associata la crescita della domanda di forza lavoro altamente qualificata. Leopoldo Nascia e Mario Pianta osservano come a ciò abbia fatto seguito una polarizzazione delle tipologie lavorative associata ad una crescente dispersione salariale. Nei settori poco innovativi, che hanno posto in essere forme di competizione di prezzo, la crescita dei profitti è avvenuta spesso a danno dei salari, mentre nelle industrie più innovative, in cui ha avuto luogo una competizione di tipo tecnologico, c’è stato spazio per una crescita tanto dei salari che dei profitti, i quali, tuttavia, hanno beneficiato in modo decisamente superiore del tipo di sviluppo tecnologico in atto.
Infine, lo studio condotto da Michele Raitano mostra la stretta correlazione tra diseguaglianza presente e diseguaglianza persistente, ossia diseguaglianza che viene a cumularsi nel tempo attraverso la trasmissione intergenerazionale di vantaggi economici e sociali dai genitori ai figli. Ad eccezione dei Paesi del Nord Europa, nella maggior parte delle economie occidentali si riscontra una forte correlazione tra status sociale ed economico della famiglia di origine e capacità reddituali dei figli, che persiste anche indipendentemente dai livelli di istruzione personali. In aggiunta, laddove i livelli di diseguaglianza correnti sono maggiori, si rileva anche una maggiore influenza del background familiare sui redditi da lavoro dei figli.
Per riassumere, gli elementi alla base dell’aumento della sperequazione osservata risultano molteplici ed attribuibili tanto a fattori prettamente tecnici e produttivi quanto a cambiamenti nell’assetto istituzionale e nei rapporti di forza tra gli attori economici. Sulla base delle analisi effettuate e raccolte nel numero di Dicembre 2009 della rivista Intereconomics, emerge la necessità di definire opportune azioni di politica economica finalizzate a contrastare la crescente diffusione delle diseguaglianze, poiché gli interventi sociali ed economici realizzati fino ad oggi sembrano tendenzialmente inefficaci. La proposta avanzata dagli autori citati si fonda sulla costituzione di un adeguato sistema di welfare capace di sostenere meccanismi redistributivi, sulla definizione di nuove politiche in tema di istruzione e formazione e, contemporaneamente, sull’introduzione di nuovi meccanismi di accesso al mercato del lavoro in grado di facilitare la riduzione delle diseguaglianze esistenti e, di conseguenza, la stessa mobilità intergenerazionale. Anche i modelli di sviluppo tecnologico e di integrazione dei mercati internazionali andrebbero ridefiniti in modo da permettere una più equa distribuzione dei benefici da essi prodotti. Il perseguimento di tali politiche viene considerato assolutamente necessario poiché elevati livelli di diseguaglianza possono non solo minare la crescita, ma anche la stabilità e la coesione sociale di un Paese.

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a sottolineare la mancanza di lungimiranza dei nostri governanti (e concittadini)