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Disuguaglianze e salute al tempo della crisi

24/02/2013

I determinanti sociali della salute nel quadro generale delle dimensioni del benessere; una cornice concettuale per l’analisi delle disuguaglianze e per conoscere gli effetti della crisi sulle comunità e sulle persone

La salute nell'accezione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità è uno "stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non consiste soltanto in un’assenza di malattia o di infermità". La sanità pubblica è in connessione con tutte le politiche che una comunità adotta. Posto che le condizioni socio-economiche influenzano la salute, da alcuni anni i suoi determinanti sociali [1] sono oggetto di un'intensa attività di studio. I divari di salute che esse producono tra svantaggiati e favoriti sono variamente documentati e hanno comportato un auspicio che la Commissione OMS sui determinanti sociali ha posto a titolo del suo rapporto finale: “closing the gap in a generation”.

Le disuguaglianze che attraversano la società, e specularmente il suo grado di coesione sociale, sono anche alla base di una comunicazione delle Commissione europea del 2009 [2] a favore della solidarietà in materia di salute. Vi si promuove un'azione in collaborazione con gli Stati Membri per rimuovere l'influenza dei fattori che hanno un impatto diseguale sulla salute, in particolare attraverso le politiche pubbliche. Tra le questioni fondamentali da affrontare vi è il miglioramento delle conoscenze. Già all'inizio della crisi finanziaria, nonostante l'innalzamento generale della lunghezza e della qualità media della vita, si constata che l'aumento della disoccupazione può aggravare le differenze tra ed entro i Paesi, che sembrano in crescita.

Negli anni a seguire, da un lato si continua ad osservare una maggiore concentrazione del reddito in ristretti strati di popolazione [3-5], dall'altro potrebbero star peggiorando alcuni indicatori di salute.

Non sfuggirà agli attenti lettori il legame tra il concetto di benessere inizialmente richiamato e il dibattito sul superamento del PIL come misura del progresso. In un’altra comunicazione del 2009 la Commissione europea [6] si colloca sulla scia di quanto dichiarato nel 2007 [7] e dei risultati di una commissione promossa dal Governo francese [8]. In contemporanea in Italia si è sviluppata un'esperienza per la misura della Qualità dello Sviluppo Regionale [9], utile anche ad Istat-Cnel per sviluppo di un altro indice: il BES (benessere equo e sostenibile) [10].

Anche nel nostro Paese si assiste ad un declino dei redditi da lavoro e ad un aumento delle disuguaglianze economiche [11]. Nel mentre si recepiscono le raccomandazioni per misurare e ridurre i divari con iniziative a vari livelli istituzionali. L'Associazione Italiana di Epidemiologia ha tenuto un congresso con tali tematiche sullo sfondo, e tra gli altri materiali ha prodotto un primo articolo sugli indicatori di salute ai tempi della crisi [12]. Le dimensioni del BES vengono qui collocate in uno schema concettuale in cui la salute e il benessere soggettivo sono il risultato di meccanismi che implicano determinanti più di contesto e distanti dall'effetto (determinanti distali), e altri più prossimi ad esso (determinanti prossimali). Secondo tale schema, i determinanti distali che interagiscono con la crisi sono il lavoro, la politica e il benessere economico. In questa triade, l’influenza sulla salute sarebbe esercitata rispettivamente tramite l’inclusione e la coesione sociale, la partecipazione e la politica, e infine con le risorse materiali disponibili e la sicurezza economica. Le associazioni tra contesto generale e salute sono inoltre mediate dall’ambiente esterno e dai settori dello stato sociale. Istruzione e sanità si collocano tra tali i livelli di tutela e influenzano direttamente la salute.

In tempo di crisi, in estrema sintesi e semplificando i meccanismi di azione delle dimensioni in causa, il benessere economico peggiora insieme al PIL e con un aumento della disuguaglianza di reddito; la disoccupazione e l'incertezza sul lavoro aumentano, con un relativo incremento di insicurezza e stress, in particolar modo tra giovani, tra i meno qualificati ed tra gli immigrati da altri Paesi. I servizi pubblici e i livelli di assistenza subiscono una restrizione e, dato il ruolo nel controllo delle malattie e nella prevenzione, oltre che nel contenimento delle loro conseguenze, ci si può attendere un impatto sfavorevole. I fattori di pressione ambientale potrebbero risultare alleggeriti, per una minore intensità di produzione e dei trasporti, ma la tutela ambientale potrebbe subire una riduzione. I fattori di rischio prossimali potrebbero, a loro volta, divenire meno pressanti, come può succedere a quelli in abito professionale o ad alcuni fattori comportamentali (es.: possibile diminuzione del fumo di sigaretta), oppure più intensi, come a accadrebbe a quelli psico-sociali (es.: stress da debito personale o senso di esclusione sociale).

Relativamente agli effetti sulla salute, i primi risultati osservati nel contesto italiano sono coerenti con quelli già visti a livello internazionale e nelle crisi precedenti; tra gli altri, i più immediati e più studiati esiti riguardano la salute mentale e la maggior diffusione di stati depressivi. In parallelo, si registra un segnale di aumento di suicidi e tentati suicidi. Del resto, contemporaneamente paiono calare degli incidenti stradali e i decessi ad essi dovuti. La crescita della natalità sembra subire un arresto, in particolare tra le donne immigrate. A riguardo della mortalità generale, sappiamo che negli USA era calata a seguito della Grande Repressione del 1929, mentre l'aspettativa di vita è aumentata in alcuni paesi europei e diminuita in altri (Russia) a seguito della caduta del Muro di Berlino.

Dal quadro sinteticamente rappresentato, le conoscenze in termini di effetti della crisi sulla salute, come dimensione principale e risultante delle altre componenti del benessere, mostrano come l'intervento della crisi nel nostro contesto nazionale possa avere un impatto non scontato. La contrazione dei livelli di istruzione, di occupazione e condizioni di lavoro e della coesione sociale, che si associa ad un aumento delle disuguaglianze, emergono come fenomeni da contrastare per i loro effetti negativi anche sulla salute. Alcuni fattori di rischio ambientale e comportamentali potrebbero subire una riduzione, che però è prevedibile anche per i livelli di tutela ambientale e dello stato sociale.

Dalle conoscenze disponibili, si possono trarre insegnamenti in negativo e in positivo.

Molte politiche pubbliche hanno il potenziale di agire sulla salute e sul benessere. La riduzione delle distanze socio-economiche, la maggior offerta di servizi e di assistenza (in particolare quella sanitaria, 13) e l'attenzione alla riduzione dei fattori di fischio per la salute, si potrebbero iscrivere in una concezione dello sviluppo più rispettoso dell'ambiente naturale e sociale.

1. www.who.int/social_determinants/en/

2. http://ec.europa.eu/health/ph_determinants/socio_economics/documents/com2009_it.pdf

3. www.oecd.org/italy/49177743.pdf

4. www.novesudieci.org

5. old.sbilanciamoci.info/Sezioni/italie/Italia-poca-crescita-tanta-disuguaglianza-14970

6. http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2009:0433:FIN:IT:PDF

7. www.beyond-gdp.eu/background.html

8. www.stiglitz-sen-fitoussi.fr/documents/Issues_paper.pdf

9. http://old.sbilanciamoci.org/quars/

10. www.misuredelbenessere.it

11. old.sbilanciamoci.info/Sezioni/italie/Per-il-Sole-24-Ore-e-sempre-colpa-del-lavoro-16895

12. www.epiprev.it/intervento/gli-indicatori-di-salute-ai-tempi-della-crisi-italia

13. Taroni F. Salute e politiche sanitarie ai tempi della crisi: vecchie soluzioni per nuovi problemi? In Gensini GF, Nicelli AL,Trabucchi M et al.. Rapporto Sanità 2012. Roma, Il Mulino 2012; pp 329-381.

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La Salute ai tempi della crisi

La salute ai tempi della crisi in Italia: spunti di riflessione
Antonio Caiazzo (1), Cristiana Ivaldi (2), Riccardo Falcetta (3)
(1) antropologo
(2) epidemiologa
(3) medico del lavoro

Nello scorso mese di ottobre, dal 29 al 31, si è svolto a Bari il XXXVI Congresso di Epidemiologia.
Il tema di quest’anno è stato “La salute ai tempi della crisi”. L’epidemiologia è nata nel secolo scorso come disciplina che studiava dapprima le malattie infettive, poi ha avuto per molti anni larga applicazione ai temi delle esposizioni occupazionali e a quelle ambientali, per arrivare poi a ragionare, con i suoi strumenti e metodi, di disuguaglianze sociali e impatto sulla salute.
Il periodo di gravissima crisi che sta attraversando il nostro paese costringe tutti, ricercatori e gente comune, a ragionare su come i fattori economici possano influire sulla salute, o meglio, determinare impatti negativi sulla salute. E’ di questi giorni l’affermazione del premier sulla necessità di rivedere le modalità di finanziamento del SSN, che allo stato attuale non risultano più sostenibili.
L’epidemiologia non si è quindi sottratta a questa riflessione e nel corso del Convegno, a portare il suo contributo cercando, da un lato, di comprendere come la crisi economica possa influire sulla capacità delle persone, delle comunità e dell'ambiente di promuovere la salute e sulla capacità del sistema sanitario di proteggerla in modo sostenibile e dall’altro, come la funzione epidemiologica possa dare un contributo significativo a governare le risposte alla crisi, tutelando meglio i livelli di salute .
I lavori si sono sviluppati in cinque sessioni plenarie di cui quattro scientifiche.
La prima sessione ha cercato di analizzare in che modo nel passato le crisi economiche hanno influenzato la salute, cosa sta accadendo ora nello scenario italiano ed europeo e se gli indicatori di salute disponibili sono abbastanza sensibili da cogliere i primi segni di queste trasformazioni.
La seconda sessione plenaria ha approfondito il ruolo dei principali determinanti distali di salute, quelli economici e sociali come l’educazione, il lavoro, il reddito.
La terza sessione plenaria ha riguardato il ruolo dei determinanti distali ambientali, e infine, la quarta sessione plenaria ha coinvolto e sollecitato i professionisti sanitari, perché sappiano usare la crisi come finestra di opportunità, per migliorare la qualità delle loro conoscenze e pratiche. I temi trattati all’interno di quest’ultima sessione sono stati ispirati dalle riflessioni di Alessandro Liberati, epidemiologo ed esperto proprio dei temi dell’epidemiologia valutativa, scomparso a gennaio 2012, a cui l’Associazione di Epidemiologia ha reso in questo modo omaggio e ricordo.
Sul sito della Rivista Epidemiologia e Prevenzione (http://www.epiprev.it/) sono disponibili l’editoriale da cui sono tratte le informazioni relative al Congresso sopra riportate e la documentazione relativa al Convegno.
A partire dai temi trattati nel Congresso e allargando la visione al contesto più generale economico e sociale del panorama europeo, presentiamo di seguito alcune riflessioni, basate sull’analisi approfondita della letteratura specifica, affinché possano essere di eventuale spunto, per un ulteriore dibattito su questi temi.

Le politiche di austerità adottate dalle istituzioni europee e nazionali, per fronteggiare gli effetti della crisi, che perdura oramai da cinque anni, contribuiscono all’erosione, già in corso da alcuni decenni, dell’edificio culturale e sociale costruito, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, nei paesi del mondo occidentale. Questo edificio era stato auspicato e in parte, realizzato per evitare il pericolo che le forze distruttrici dell’umanità potessero generare nuovi eventi catastrofici, in grado di stravolgere tragicamente la vita delle popolazioni e “per promuovere il progresso sociale e un miglior tenore di vita” . “Mai più” è stata allora la consegna: si cercava la massima garanzia che la pace e i diritti dei popoli sarebbero stati da quel momento in avanti rispettati, perché era stato “il disconoscimento e il disprezzo dei diritti umani” a portare alla catastrofe. Il fondamento normativo del nuovo “mondo” auspicato risiede nella “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani” del 1948 e dalle sue successive integrazioni, elaborata dall’ONU nel segno della centralità della persona umana.

Il Preambolo della Dichiarazione Universale è di estremo rilievo per comprendere le caratteristiche della società che i fondatori del nuovo “mondo” intendevano costruire. In esso è riconosciuto il rispetto della dignità che inerisce a “tutti i membri della famiglia umana” e dei loro diritti eguali e inalienabili. Il rispetto della dignità sta alla base della libertà, della giustizia e della pace nel mondo, dunque anche dell’ordine mondiale: il valore della dignità umana è perciò posto al di sopra della sovranità degli stati. E’ proprio questa dignità che nella nostra epoca vediamo messa in pericolo, con il progressivo indebolimento degli istituti attuativi dei Diritti universali. Il fondamento dei diritti umani è l’essere umano in quanto tale: si nasce con i diritti e le libertà fondamentali che sono indipendenti dalle contingenze dei cicli economici. I diritti umani sono intesi come “verità pratiche” e non come principi astratti: il diritto alla vita è il bisogno vitale di vivere, il diritto al lavoro è il bisogno vitale di lavorare e così via. In sintesi, è stato proclamato come “la più alta aspirazione dell’uomo” l’avvento di un mondo in cui le persone vivano nella “libertà dal timore e dal bisogno”.

La Dichiarazione Universale, con l’affermazione del diritto alla sicurezza sociale, alla quale sono associati i “diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla dignità della persona e al suo libero sviluppo”, apre la serie di norme che fanno riferimento al valore del benessere integrale della persona umana, in ottica di welfare e di stato sociale. Il diritto a un tenore di vita sufficiente a garantire la salute personale e della famiglia, il diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchia e negli altri casi di perdita dei mezzi di sussistenza, il diritto alla protezione della maternità e dell’infanzia. E’ proclamato il diritto al lavoro e a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro, a una remunerazione equa e soddisfacente che assicuri alla persona e alla sua famiglia un’esistenza conforme alla dignità umana. Il settore del lavoro non può quindi essere lasciato al libero arbitrio del mercato, ma deve costituire oggetto di politiche pubbliche, nel quadro di una più ampia programmazione di stato sociale che assicuri la piena occupazione. La sicurezza sociale della persona è quindi quella condizione nella società che le consente di essere, quanto più possibile, libera dal bisogno e dalla paura.

Il Diritto internazionale dei diritti umani non lascia di conseguenza posto al neoliberismo, alla sovranità del mercato, alla deregolamentazione e alla precarizzazione del mercato del lavoro che sono state le parole d’ordine delle politiche nazionali dagli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso e di cui oggi paghiamo le pesanti conseguenze, con la progressiva diffusione del malessere sociale. L’imperativo dei diritti umani dice invece: “più società, più pubbliche istituzioni, più stato sociale, più multilateralismo” . Lo “stato sociale” non è un elemento accessorio per gli stati, ma una caratteristica fondante, se s’intende rispettare l’idea di “mondo” maturata nelle coscienze dopo il disastro delle guerre mondiali.

Il Diritto internazionale dei diritti umani e le istituzioni dello stato sociale che ne sono derivate costituiscono, in chiave di salute pubblica, uno strumento di orientamento e di controllo del contesto generale dei “determinanti sociali” della salute. La Costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, coerentemente con la Dichiarazione Universale, afferma che: “la salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non consiste solo nell’assenza di malattia o d’infermità. Il possesso del migliore stato di salute possibile costituisce un diritto fondamentale di ogni essere umano, senza distinzione di razza, di religione, d’opinioni politiche, di condizione economica o sociale. La salute di tutti i popoli è una condizione fondamentale della pace del mondo e della sicurezza” .

Sulla base dell’affermazione di questo diritto non si può non considerare il problema della salute umana come un problema di giustizia sociale e di esigibilità di diritti umani. Una conseguenza del concetto di salute definito dall’OMS, infatti, è che, in ogni stato della vita, la salute e il benessere delle persone e delle comunità sono condizionati dalla complessa interazione tra i fattori economici e sociali, l’ambiente fisico, i comportamenti individuali e i fattori ereditari. L’accesso a un reddito, a un’abitazione e a un’alimentazione adeguata, al lavoro, all’istruzione, ai servizi essenziali e, in generale, alle risorse necessarie per vivere una vita dignitosa – quindi il rispetto dei Diritti umani universali - sono conseguentemente ritenuti “determinanti sociali di salute”, in quanto influenzano il grado di benessere e di salute raggiungibili dagli individui e dalle comunità.

Alcuni individui e gruppi di persone esperiscono sistematicamente una cattiva o peggiore salute rispetto ad altri. Ci si riferisce in questi casi alle “disuguaglianze di salute”, che riflettono le differenti esposizioni, durante il ciclo di vita, ai rischi associati alle condizioni socio-economiche. Se la salute, misurata nei termini di aspettativa di vita, in Europa sta migliorando, le disuguaglianze di salute tra alcuni sotto-gruppi di popolazione stanno aumentando, come quelle tra la popolazione benestante e i gruppi socio-economicamente svantaggiati . I “determinanti sociali di salute” sono i principali responsabili delle disuguaglianze di salute, quelle inique ed evitabili differenze nello stato di salute che si possono osservare sia internamente ai paesi sia tra paesi differenti .

Queste circostanze sono determinate dall’ineguale distribuzione del denaro, del potere e delle risorse a livello globale, nazionale e locale, che sono a loro volta influenzate dalle scelte politiche . Le decisioni nei settori delle politiche pubbliche e private sia in campo economico sia in quello sociale possono quindi avere un enorme impatto sulla salute pubblica globale . Esse sono oltremodo interrelate, tanto che le decisioni prese in un settore possono determinare degli impatti sugli obiettivi di altri settori .

La giustizia, o l’ingiustizia, sociale è quindi una questione di estrema importanza, perché colpisce il modo in cui le persone vivono e i loro conseguenti rischi di cattiva salute e di morte prematura. Per dare una dimensione, una bambina nata oggi può avere un’aspettativa di vita di ottant’anni se nasce in un certo paese e in certe condizioni socio-economiche, ma questa aspettativa di vita può essere limitata a quarantacinque anni se la bambina nasce in un contesto di indigenza. Differenze evitabili di queste dimensioni semplicemente non devono esistere, né tra paesi diversi né all’interno dello stesso paese . L’ineguale distribuzione di esperienze dannose per la salute non è in alcun modo un fenomeno “naturale”, ma è il risultato di una combinazione tossica di politiche e programmi sociali poveri e accordi economici iniqui.

Per rispondere alla persistenza e all’ampliamento delle disuguaglianze di salute e allo spirito di giustizia sociale, l’OMS ha istituito nel 2005 la Commissione sui Determinanti Sociali di Salute (Commission on Social Determinants of Health – CSDH), con il compito di fornire indicazioni per ridurre le disuguaglianze e di promuovere un movimento globale per l’equità nella salute. Il rapporto finale della Commissione del 2008 contiene tre raccomandazioni generali: migliorare le condizioni di vita quotidiane delle popolazioni; contrastare l’iniqua distribuzione del potere, del denaro e delle risorse; misurare e comprendere approfonditamente il problema e valutare l’impatto delle scelte . L’insieme di questi concetti inerenti la salute si riferisce a un “modello sociale di salute” , che l’”European Policy Health Impact Assessment” (EPHIA – Politica Europea sulla Valutazione dell’Impatto sulla Salute) ha adottato come concetto fondante della valutazione dell’impatto delle politiche dell’Unione Europea sulla salute umana. Le politiche nazionali e sovranazionali devono quindi tenere in conto i bisogni di tutti i gruppi di popolazione allo scopo di migliorare la salute dei più svantaggiati e vulnerabili .

Nonostante gli sforzi della comunità scientifica, la realtà odierna del nostro Paese, e non solo del nostro, ci dice che purtroppo le scelte politiche non vanno nella direzione auspicata. Dopo anni di politiche liberiste di austerità e di assenza d’interventi di controllo sulla speculazione finanziaria, che della crisi è causa, i risultati per l’economia reale segnano un progressivo peggioramento, con la conseguente precarizzazione delle condizioni di vita di una quota sempre più ampia della popolazione. I numerosi interventi strutturali, tra i quali quelli della riforma Fornero sul mercato del lavoro, i tagli alle pensioni e agli stipendi, l’aumento della pressione fiscale e altre misure che hanno colpito le categorie più deboli, non hanno evitato all’economia italiana una spirale recessiva. Il PIL continua a diminuire così com’è calata la domanda interna, mentre la condizione delle famiglie è in costante peggioramento. Sono in aumento le persone che faticano ad arrivare alla fine del mese e quelle che sono costrette a intaccare i propri risparmi. E’ proseguita la diminuzione della ricchezza, mentre è aumentata la concentrazione sia del reddito sia della ricchezza. La disoccupazione è cresciuta a ritmi elevati, il numero delle persone occupate è diminuito, per i giovani è sempre più difficile trovare un’occupazione e la qualità dei nuovi lavori è più scadente rispetto al passato. Anche la finanza pubblica versa in cattive acque. Il rapporto debito/PIL è in aumento e malgrado le numerose e pesanti manovre fiscali, con l’introduzione dell’IMU, l’innalzamento dell’IVA, l’aumento delle tasse sui carburanti, le maggiori imposte di bollo le entrate fiscali sono stagnanti a causa del crollo dei consumi, della riduzione della produzione e del lavoro e delle insufficienti misure di contrasto all’evasione fiscale.

Gli esiti negativi di tali politiche sono tangibili nella vita quotidiana. E’ di pochi giorni fa l’eclatante allarme lanciato da insegnati e parrocchie di alcuni quartieri torinesi sulla malnutrizione dei bambini. Famiglie, strette nella morsa della crisi, non potendo pagare la retta, hanno tolto i figli dalla mensa scolastica o dei centri estivi, ma poi il pranzo al sacco è costituito da qualche merendina o a casa non danno loro da mangiare, se non un frutto o poco più. Il servizio pubblico viene sostituito dall’intervento del terzo settore che si fa carico di distribuire borse di cibo alle famiglie, sempre più in difficoltà. Il numero crescente delle richieste d’aiuto ai servizi sociali conferma l’aumento della povertà in cui versano le famiglie torinesi . A livello macroscopico, nel campo dell’assistenza sanitaria, i tagli ripetuti alle ASL e agli ospedali producono effetti paradossali. All’Ospedale di Crema, la direzione ha stabilito di togliere ai degenti le bottiglie d’acqua durante i pasti. Un rapporto del mese di ottobre del Ministero della Salute, che ha misurato le performance sui ricoveri ospedalieri, assistenza ad anziani e disabili, accesso ai farmaci e salute alimentare ha riscontrato che solo otto regioni su venti sono in grado di garantire appieno le oltre seimila prestazioni comprese nei livelli essenziali di assistenza, che entro l’anno saranno rivisti al ribasso .

Rispetto alle prescrizioni dei Diritti universali, ci troviamo in una situazione paradossale: nel momento in cui la popolazione ha maggior bisogno di sostegno da parte delle istituzioni pubbliche, le politiche governative sono principalmente rivolte alla drastica riduzione del finanziamento della spesa pubblica, degli enti locali, della sanità, dell’assistenza, dell’istruzione e dei dipendenti pubblici. La prospettiva dei Diritti universali è completamente ribaltata: la priorità delle politiche è assegnata al sostegno della finanza a discapito della qualità della vita, quindi della salute, delle persone. Sarebbe invece necessario un radicale ridimensionamento della finanza, con l’introduzione della tassa sulle transazioni finanziarie, limiti alla finanza speculativa e ai movimenti di capitali; il rovesciamento delle politiche di austerità e politiche che tutelino il welfare e i salari, con un’Europa capace di stimolare la domanda, assicurare l'armonizzazione fiscale, spostare l’imposizione fiscale dal lavoro ai profitti e alla ricchezza, promuovere la piena occupazione e avviare uno sviluppo equo e sostenibile. Le politiche neoliberiste nazionali invece aggravano la recessione e disegnano una prospettiva di declino economico, ingiustizia sociale, perdita di democrazia. Per l’Italia è particolarmente importante riaffermare che il lavoro e la contrattazione collettiva devono essere difesi; i diritti del lavoro sono parte essenziale dei diritti democratici in Europa e in Italia.

L’erosione della cultura dei diritti universali a vantaggio dell’ideologia liberista provoca, tramite le politiche di austerità, nell’organizzazione e nel processo sociale l’erosione degli istituti dello stato sociale e delle condizioni di vita che sono stati alla base del benessere di cui hanno potuto progressivamente godere le generazioni nei decenni successivi alla fine delle guerre mondiali. Se il benessere integrale della persona umana è sinonimo del concetto di salute, secondo la definizione dell’OMS, allora dobbiamo aspettarci, nel breve e medio periodo, un peggioramento della salute della popolazione. E’ necessario quindi contrastare le politiche liberiste e lo smantellamento dello stato sociale se vogliamo riaffermare e conservare la centralità del valore della qualità della vita umana nella nostra società.

Costa G., Michelozzi P, Ancona c., Bertozzi N., Caranci N., Fano V., Gini R., Gnavi R., Zocchetti C. La salute ai tempi della crisi in Italia Epidemiol Prev 2012; 36 (5): 227-228
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