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Di cosa sono fatte le pensioni delle donne
La maggior parte dei sistemi pensionistici dei paesi Ocse è sviluppata sul presupposto che il reddito pensionabile delle donne sia "derivato" principalmente dal legame che le unisce ai loro mariti. I loro sistemi previdenziali hanno quindi spesso favorito un modello basato sull'uomo come principale apportatore di guadagno, con una traiettoria di carriera di lavoro continua, a tempo pieno e con un profilo di reddito crescente nel tempo. I diritti pensionistici "derivati" delle donne hanno subìto un'erosione nel tempo in molti paesi Ocse. Ma sussistono ancora certe condizioni sociali, economiche e demografiche che ostacolano ancora la perequazione dei trattamenti pensionistici.
Per quanto riguarda i modelli di lavoro, tanto la distribuzione del part-time, che la precarietà delle carriere professionali, che la maggiore probabilità di trovare le donne in settori o occupazioni associati a retribuzioni basse, concorrono a creare delle differenze di genere importanti nelle carriere lavorative e nei profili salariali. Rispetto agli uomini, infatti, le donne impiegate lavorano in media meno ore, hanno una probabilità più bassa di progredire nella loro carriera e sono sottorappresentate in posizioni decisionali. Una conseguenza importante di questo stato di cose - e in alcuni casi anche della discriminazione nei loro confronti che tuttavia è di rado direttamente osservabile o misurabile – è che in media le donne sono pagate il 16% meno di uomini nei paesi Ocse. Inoltre, i divari salariali sono spesso più elevati a livelli più alti di salario – il che riflette il cosiddetto "glass ceiling" (soffitto di cristallo) che blocca le progressione di carriera femminile e porta alla perdita di talenti e di conseguenza di efficienza.
La partecipazione al mercato del lavoro delle donne è influenzata dalla presenza di figli nel nucleo familiare. I dati contenuti nel Family database dell'Ocse considerano la percentuale di donne che lavorano nella fascia di età compresa tra i 25 e 49, insieme alla percentuale di donne con un figlio di età inferiore a 16 anni nella stessa fascia di età. Mentre quest'ultimo è in media del 65,3% nei paesi Ocse, il tasso di occupazione delle donne di età 25-49, è in media di circa il 70%. Le differenze tra paesi sono importanti. In particolare in Irlanda, Giappone, Repubblica Ceca, Svizzera, Nuova Zelanda e Ungheria le differenze sono di 7 punti percentuali o più. Il tasso di occupazione delle donne varia anche in modo significativo secondo il numero di figli presenti nel nucleo familiare. Per i paesi Ocse per i quali sono disponibili dati, il tasso di occupazione medio delle donne con un figlio è di circa il 69%, mentre il tasso di occupazione delle donne con 3 figli è in media del 52%. Differenze ancora più elevate si osservano in Regno Unito, Lussemburgo, Ungheria, Germania, Francia, Austria e Italia. Alcune delle caratteristiche dei sistemi pensionistici possono naturalmente mitigare o esacerbare le differenze di genere. Per esempio, nelle formule di calcolo della pensione, la scelta del numero di anni utili ai fini della pensione, l'uso di tavole differenti per uomini e donne per il calcolo della speranza di vita, i criteri di accesso a prestazioni pensionistiche ridotte in caso di carriere frammentate o part-time possono influenzare significativamente il beneficio pensionistico delle donne. D'altra parte, la presenza di elementi redistributivi nelle formule di calcolo, come le garanzie di reddito minimo, le componenti del sistema di tipo forfettario e la presenza di tetti massimi per i salari assicurati possono ridurre l'impatto di genere su trattamenti pensionistici. Ma il ruolo di tali elementi può essere ridotto laddove il legame tra pensione e contributi sia molto stretto.
L'accesso alle prestazioni pensionistiche è anche influenzato in maniera significativa dalle disposizioni sull'età pensionabile, sulle soglie minime di reddito e sulla durata minima del periodo contributivo. La maggior parte dei paesi utilizza una combinazione di questi dispositivi per determinare l'accesso ai diritti pensionistici. Ognuno di essi può esercitare un ruolo suscettibile di essere amplificato o attenuato dalle altre caratteristiche del sistema.
In particolare le disposizioni sull'età pensionabile – l'età cioè che dà un accesso completo alla pensione – sono di considerevole importanza per le donne. Donne e uomini tendono a lasciare il mercato del lavoro molto prima dell'età di pensionamento ufficiale, e le donne lasciano il mercato del lavoro molto prima degli uomini (1). Questo implica che la fase di "accumulazione" è generalmente più corta per le donne che per gli uomini – il che può portare a diritti pensionistici inferiori ove il legame tra benefici pensionistici e contributi versati sia molto stretto.
Dopo questa lunga premessa ci si può chiedere quali siano le implicazioni di questi fattori per i sistemi pensionistici. Ci sono e ci saranno differenze nella ripartizione dei compiti tra uomini e donne che persisteranno in futuro e che continueranno ad influenzare i percorsi professionali delle donne, i loro redditi e quindi le loro pensioni. In particolare l'evidenza empirica suggerisce che le donne tendono ad avere carriere molto più frammentate e interrotte rispetto agli uomini. E questa è, finora, una delle ragioni principali che sottendono l'esistenza di meccanismi che permettono di tenere conto di periodi spesi per la cura dei figli – al di fuori dei periodi del congedo maternità che sono generalmente riconosciuti – ai fini del calcolo della pensione.
Tali meccanismi (che permettono cioè alle madri di beneficiare di periodi trascorsi al di fuori del mercato del lavoro ai fini del calcolo della pensione) non sono tuttavia omogenei ed il loro funzionamento varia spesso da paese a paese. In alcuni paesi, essi non richiedono che la madre interrompa la carriera lavorativa (come in Francia), mentre in altri paesi le madri devono smettere di lavorare per poterne usufruire. In altri paesi ancora, il credito per periodi dedicati alla cura e all'educazione dei figli è implicito nel sistema pensionistico. Per esempio questo accade dove le pensioni siano erogate sulla base di criteri di residenza e quindi indipendentemente dai salari, o nel caso in cui il numero di anni per ottenere una pensione completa è relativamente basso. In altri paesi, tali periodi danno luogo ad una maggiorazione della pensione (per esempio in Lussemburgo). In altri ancora, i periodi per la cura dei figli non sono presi in considerazione per il calcolo del reddito utile ai fini della pensione nel senso che essi non riducono la base imponibile (per esempio in Repubblica ceca). In altri, questi periodi sono presi in considerazione unicamente per determinare l'accesso alla prestazione pensionistica. Infine ci sono paesi in cui vengono concessi crediti particolari solo per le famiglie numerose (3 o più figli) o variabili a seconda del numero di figli.
I risultati ottenuti con i modelli sulle pensioni dell'Ocse suggeriscono per esempio che il tasso lordo di sostituzione del sistema pensionistico per una lavoratrice che guadagna il salario medio si riduce del 4% dopo 5 anni di pausa dedicata alla cura dei figli rispetto ad una donna che non ha interrotto la sua carriera. Questo divario si allarga quando i periodi passati al di fuori del mercato del lavoro si allungano (2). Osservando l'intera distribuzione dei redditi, il declino è ancora più pronunciato. Le maggiori differenze rispetto alle donne con carriere complete sono osservate ai livelli di reddito più elevati. L'analisi suggerisce anche che i paesi privi, nei loro sistemi pensionistici, di espliciti meccanismi che tengano conto delle assenze per la cura dei figli, hanno dei risultati relativamente buoni ai bassi livelli di reddito. Questo è probabilmente legato alle caratteristiche redistributive del sistema. Parallelamente, i meccanismi di credito funzionano meglio a livelli di reddito più elevati poiché essi permettono di evitare forti riduzioni nei tassi di sostituzione. Inoltre è utile menzionare che la forza del legame tra i contributi versati e pensioni ricevute è un elemento cruciale. In assenza di appositi elementi redistributivi nel sistema pensionistico, più forte è il legame, più forte sarà l'impatto delle assenze per la cura dei figli sui trattamenti pensionistici.
In conclusione, è chiaro che alcuni cambiamenti degli ultimi decenni hanno implicazioni evidenti per i redditi da pensione delle donne. Molti sono avvenuti all'interno degli stessi sistemi pensionistici (per esempio l'aumento dell'età pensionabile e l'introduzione di sistemi basati su un legame più stretto tra pensioni e contributi versati sono alcuni di questi) ma altri sono avvenuti altrove. Tra questi, quelli di maggior rilievo sono: a) la riduzione del numero di figli; b) l'aumento della speranza di vita delle donne e il fatto che esse vivono, in media, più a lungo degli uomini – il che implica che le donne tendono a spendere una parte crescente della loro vita in famiglie monoparentali, e soprattutto, a incorrere in un rischio maggiore di povertà; c) l'aumento continuo del loro livello di istruzione e, d) di conseguenza, l'aumento continuo della loro partecipazione alla forza lavoro. Queste tendenze suggeriscono che il divario di genere nei trattamenti pensionistici tenderà a ridursi nel futuro. Ciò significa che più donne avranno diritti propri alla pensione, piuttosto che contare su quelli dei loro mariti. Ma questo non significa affatto che la parità di genere verrà risolta nei trattamenti pensionistici. Mentre i sistemi pensionistici sono in grado di assorbire alcuni degli shock generati dai percorsi professionali, essi non sono tipicamente concepiti per risolvere altre disuguaglianze di genere che hanno la loro origine altrove. A questo proposito è utile osservare che le disuguaglianze generate sul mercato del lavoro e il maggior rischio di povertà incorso dalle donne nella vecchiaia, richiedono un approccio più globale alle sfide che hanno di fronte i genitori che lavorano. Ciò implica anche che la politica delle pensioni debba essere vista in un contesto più globale, utilizzando un approccio integrato con altre politiche, per esempio le politiche di supporto alle famiglie, le politiche redistributive del reddito e le politiche del mercato del lavoro.
(1) L'età pensionabile media delle donne era di circa 63 anni nel 1950 nei paesi Ocse. Essa raggiunse un livello minimo uguale a circa 61 anni nel 1993. Per gli uomini nello stesso anno l'età pensionabile media era di 63 anni. A partire da quella data, le varie riforme attuate nei diversi paesi Ocse hanno iniziato a invertire questa tendenza sia per gli uomini che per le donne, riempiendo al tempo stesso il divario di genere esistente. (si veda la scheda su questo stesso sito).
(2) Cfr. OECD 2012, Women and Pensions, di prossima pubblicazione; e D'Addio (2012), "Pension Entitlements of Women with Children in OECD and EU countries", in Non-Financial Defined Contribution (NDC) Systems: Progress and New Frontiers in a Changing Pension World, di prossima pubblicazione.