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La deriva del capitalismo

26/09/2012

Le mille argomentazioni per spiegare la crisi in cui sono immersi i paesi occidentali da cinque anni a questa parte non ci appaiono molto convincenti e, come ha ricordato Vladimiro Giacché, riportano alla mente le giustificazioni di John Belushi nel film dei Blues Blothers. Per convincere l' ex fidanzata abbandonata sull' altare a non ammazzarlo, Belushi dice: «Quel giorno finì la benzina. Si bucò un pneumatico. Non avevoi soldi per il taxi! Il mio smoking non era arrivato in tempo dalla tintoria! Era venuto a trovarmi da lontano un amico che non vedevo da anni! Qualcuno mi rubò la macchina! Ci fu un terremoto! Una tremenda inondazione! Un' invasione di cavallette!». Alle mille spiegazioni della crisi, noi ne aggiungiamo un' altra: la liberazione del movimento dei capitali, che, all' inizio degli anni ' 80, pose fine al grande compromesso di Bretton Woods fondato appunto sul divieto di circolazione dei capitali a cui faceva da contrappeso la libertà di circolazione delle merci. Lo strappo effettuato dai due leader conservatori, Reagan negli Stati Uniti e Thatcher in Inghilterra, determinò un completo rovesciamento dei rapporti di forza sia tra capitale e lavoro, sia tra capitalismo e democrazia poiché creò una condizione di fortissimo vantaggio per le grandi imprese private nei confronti degli stati nazionali. Da quel momento la capacità di intervento dello Stato nell' economia andò incontro ad un drastico ridimensionamento, mentre i lavoratori cominciarono a subire i ricatti delle delocalizzazioni produttive. La liberazione dei capitali rappresentò dunque la mossa decisiva che influenzò l'evoluzione dell'economia mondiale e diede l'avvio alla fase del capitalismo finanziario. A dire la verità, anche nell'opinione degli economisti classici la libertà dei movimenti di capitale non era stata sempre vista di buon occhio. Un grande pensatore come David Ricardo aveva ammonito sui pericoli inerenti alle loro libere scorribande.

continua

Tratto da www.repubblica.it