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Le vette della stupidità

24/05/2013

Le strategie di politica internazionale che i paesi europei stanno seguendo sono sbagliate. Ottenere più flessibilità di spesa al loro interno servirà a ben poco, visto che non verrebbe rimosso il vincolo di austerità. Se si vuole uscire dal ristagno europeo va rilanciata la domanda finale, ma ciò va fatto “alla grande”, come le politiche Obama insegnano

Arrogante ignoranza e stupidità in crescita dei dirigenti europei sembrano inseguirsi sempre più velocemente. Nel giro di una manciata di secondi da uno dei tanti giornali radio sento le tre cose seguenti: il fatturato delle aziende italiane è diminuito del 7% su base annua; il Ministro Giovannini conta di far diminuire la disoccupazione giovanile di 8 punti percentuali; il premier Letta cinguetta, dichiarandosi soddisfatto del fatto che i primi ministri europei hanno accettato di occuparsi di occupazione e sviluppo in uno dei prossimi vertici, fermi restando i “giusti principi del risanamento dei conti pubblici”.

È difficile digerire questa sagra dell’ottimismo. Qualsiasi artigiano o commerciante è in grado di spiegare che, visto che il fatturato è diminuito dopo essere già diminuito in precedenza, le aspettative sulle vendite future difficilmente possono essere tali da spingere le aziende ad assumere. Se poi si riflette sul fatto che la diminuzione del fatturato è maggiore di quella del Pil, è chiaro che le aziende si trovano a dover smaltire un bel po’ di magazzino prima di pensare a produrre di più e a fare assunzioni. In un contesto di tal genere è chiaro che gli obbiettivi del ministro Giovannini sono quelli di rimaneggiare la composizione della disoccupazione, rinunciando a farla diminuire. Forse era meglio dirlo con chiarezza tanto da farlo capire perfino ai grandi media.

La disoccupazione giovanile è un grande dramma sociale ed economico, per varie ragioni. Quindi può aver senso politico pensare ad una diversa distribuzione di occupazione e disoccupazione, esattamente come ha senso aprire nuovi confronti su una redistribuzione di opzioni di lavoro, opzioni di tempo libero, minore consumo.

Ma deve essere chiaro a tutti, senza ambiguità, che la riduzione della disoccupazione, senza aggettivi, passa per strumenti del tutto diversi e che la disoccupazione giovanile è solo un aspetto della disoccupazione generale. È questa a costituire il segno incisivo di disfunzioni organizzative nelle nostre economie, rese palesi dalla incapacità di saldare la presenza di fattori produttivi disoccupati (capacità produttiva e lavoro) con bisogni insoddisfatti.

Il problema della disoccupazione è il ristagno europeo.

Se lo si vuole risolvere va rilanciata la domanda finale, ma ciò va fatto “alla grande”, come le politiche Obama insegnano. Le strategie di politica internazionale che i paesi europei in difficoltà stanno seguendo è sbagliata. La loro pressione per avere più flessibilità di spesa al loro interno serve a ben poco, visto che non verrebbe rimosso il vincolo di austerità.

Andrebbe invece chiesto che sia la Germania e gli altri paesi in surplus commerciale a rilanciare la propria domanda. Sembra di essere a Bretton Woods, quando Keynes tentava di chiarire che gli squilibri, nel quadro di un accordo monetario e commerciale internazionale, andavano corretti (e con ciò resi automaticamente temporanei) non solo agendo sul piano delle politiche restrittive che avrebbero dovuto essere praticate dai paesi in deficit, ma “imponendo” politiche espansive ai paesi in surplus.

Ma l’Unione europea non era qualcosa in più di un accordo monetario e commerciale?

L’Unione avrebbe dovuto e potuto essere molto di più dei trattati di Bretton Woods. Nel suo ambito esisterebbe una ulteriore, direi esaltante alternativa, illustrata da molti europeisti, economisti e non, in contrasto con la stupidità prevalente: quella di accelerare la creazione di un bilancio federale europeo di rilevanti dimensioni, accogliere l’ipotesi che le politiche per il rilancio dell’Europa quale polo competitivo planetario si collochino nel quadro di tale rinnovato e ampio bilancio europeo, accogliere infine l’idea che le spese associate alle politiche di rilancio possano essere finanziate attraverso la creazione netta di moneta.

L’Europa della Conoscenza era un’idea che poteva incardinare politiche coordinate sul piano della ricerca, dell’educazione superiore, dell’innovazione. L’idea era fondamentalmente giusta e avrebbe potuto facilmente trovare strumenti organizzativi adatti. Tuttavia le “mancavano i soldi!”, un bel segno della stupidità organizzativa di cui parlavo più sopra.

Per il finanziamento in deficit occorrerebbe forse rivedere alcune clausole del Trattato, probabilmente quelle che fanno divieto alla Bce di sottoscrivere alla emissione i titoli del debito emessi dagli stati membri (lascio ai giuristi stabilire se la Bce possa sottoscrivere all’emissione titoli emessi dall’Unione stessa in relazione al suo bilancio federale). Nell’affrontare tale problema occorre in ogni caso risalire all’origine di quelle clausole. Esse erano state inserite per volontà delle banche centrali nazionali per “sovra-proteggersi” dai condizionamenti politici. Immagino che oggi, sulla base dell’esperienza comparativa Europa-Usa dell’ultimo decennio, la maggior parte delle banche centrali (Germania a parte) sarebbero disposte a rinunciare a quelle clausole, accettando l’invito di Obama a fare della Bce qualcosa di simile alla Fed.

 

 

 

 

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Commenti

E continuano a chiamarla stupidità

Caro prof, forse ricorda che la stupidità, come categoria interpretativa, convince poco anche me.

Andare oltre non è certo facile, ma provo a proporle un paio di spunti, chiedendole scusa per il titolo scherzoso.

In primo luogo, i tempi di Bretton Woods sono lontani. Allora si poteva mirare a una correzione generalizzata degli squilibri commerciali, oggi è pressoché impossibile. Il motivo ci viene da alcune rilevazioni di un grande storico dell'economia, Paul Bairoch [1]: fino alla metà dello scorso secolo l'Occidente era sostanzialmente autosufficiente quanto a energia e materie prima, dopo non più. Ci sono molti paesi (paesi arabi e Russia in primo luogo) in forte e costante avanzo semplicemente perché forniscono petrolio, gas, minerali ecc. a tanti altri. Tanti altri costretti a importare, quindi a esportare per non saltare per aria.

Prima conseguenza: anche la Germania è costretta a importare, quindi è costretta a esportare. E bene o male ci riesce meglio di altri. Non a esportare indiscriminatamente: la Germania sta cercando ostinatamente di esportare proprio da chi importa, anche costruendo gasdotti e ferrovie in Russia. E sta anche cercando di importare meno energia, ricorrendo a fonti alternative. Mi pare l'unico modo per cercare di avviare un processo, inevitabilmente lungo, di riequilibrio degli scambi internazionali. Temo che una nuova Bretton Woods che costringesse la Germania a «rilanciare la propria domanda» non scalfirebbe il problema.

Quanto a noi, siamo ancora rimasti alla speranza, per dirla con Marcello De Cecco [2], che in Veneto fabbrichino le ruote per un giochino che poi i tedeschi venderanno ai cinesi. Una speranza da anni '70. Mentre la Turchia, invece, fa affari partecipando massicciamente alla ricostruzione nella vicina Libia.

Seconda conseguenza: quei paesi in perenne surplus dispongono di enormi masse di denaro, ma non le usano a casa propria per «rilanciare la propria domanda»; in parte le usano per investimenti diretti all'estero, anche in Europa, in parte le affidano alle banche occidentali perché trovino il modo di farle "fruttare".

La prima ondata si ebbe dopo i primi shock petroliferi, e ne venne fuori l'esplosione del debito in America Latina [3]. Ora tocca a noi.

Come ha scritto Paolo Palazzi su Facebook, c'è talmente tanto denaro in giro che "i mercati" comprano titoli di Stato accettando tassi reali negativi come male minore. Male minore, aggiungo, in attesa di migliori opportunità: quelle offerte dalle privatizzazioni, dallo smembramento dei servizi pubblici (da lungo tempo agognato e preparato: GATS, Direttiva Bolkestein ecc.).

Se questo fosse vero, allora l'austerità non sarebbe solo una fissazione tedesca, ma conterrebbe soprattutto un chiaro messaggio: basta emettere bond che ci danno così poco! Vogliamo meno Stato! Vogliamo sostituirci agli Stati per lucrare sui loro cittadini! (e infatti le tariffe dei settori privatizzati...)

I politici sembrano prestarsi al gioco. Forse perché sono stupidi?

Ricordo un articolo di Andrea Baranes [4]: come mai molti ex-commissari europei vengono reclutati da imprese finanziarie? Sembra ben attiva una vera e propria lobby, ma senza le regole di trasparenza in vigore oltre Atlantico.

Se fosse così, i politici non sarebbero certo stupidi. Solo, come dire, un po' egoisti...

----

[1] Paul Bairoch, Economia e storia mondiale, Garzanti, 2003.

[2] http://notizie.tiscali.it/articoli/economia/10/05/13/de-cecco-intervista.html

[3] https://www.mtholyoke.edu/acad/intrel/globdebt.htm

[4] http://old.sbilanciamoci.info/Sezioni/capitali/La-lobby-della-finanza-colpisce-ancora-4478

La radice della stupidità

La radice vera della stupidità è più a monte : è l'euro. Imporre un sistema di cambi fissi - anzi, super-fissi, la moneta unica appunto - quando il mondo aveva "scoperto" la fattibilità e vantaggiosità dei cambi flessibili è stata la vera, originaria stupidità. Anzi, se vogliamo dirla in altro modo, è stato un progetto reazionario nel senso più proprio del termine, che è opporsi in modo ottuso al nuovo, al progresso evidente. Camminare contro la storia insomma.

Le vette della stupidità

La considerazione di “micro” che “manca un’analisi critica delle cause più profonde che stanno alla base” della cecità delle politiche europee che “non va imputata alla sola generica stupidità” mette secondo me il dito sulla piaga. Cosa spieghi la stupidità apparente di classi dirigenti, che sono vincenti e confermate elettivamente, è la vera domanda.
Me la sono posta, con bersagli più limitati, in varie fasi della mia vita. Per un lungo periodo mi sono chiesto cosa spiegasse il successo delle banche centrali e delle loro strutture vicarie (FMI, sezioni economiche dell’OCSE, World Bank, ecc.) nello sviluppare una posizione di egemonia indiscussa rispetto ad altre agenzie governative nella regolazione delle politiche economiche. Ora me la pongo rispetto a membri della Commissione, a premier e ministri dell’economia di molti dei paesi membri, ecc.
Non sono riuscito a darmi risposte convincenti, non ho una cultura da politologo e sociologo sufficiente. L’unica cosa che mi aiuta è che le mie considerazioni sulla stupidità non sembrano, almeno soggettivamente, diverse da quelle che animavano Keynes nei tanti saggi da lui scritti a partire dalla sua uscita polemica dalla delegazione che a Parigi fissò i danni di guerra da imporre ai paesi che hanno perso la Prima Guerra Mondiale, poi in gran parte raccolti nei suoi Essays in Persuasion. In quei saggi combatteva esplicitamente la stupidità dei governanti dei paesi vincenti, che non vedevano i rischi connessi all’imporre sacrifici e umiliazioni insostenibili alla Germania, rischi che presero rapidamente il volto del nazismo. Si può ascrivere nascita crescita e successo del nazismo alla stupidità dei governanti europei? Sembra troppo, eppure Keynes sosteneva qualcosa del genere. Sembra troppo perché fenomeni così complessi come la brechtiana “resistibile ascesa di Arturo Ui” richiedono il combinarsi di un insieme complesso di connivenze, responsabilità parziali in parte inavvertite, in parte seppellite in cattive coscienze, in parte giustificate da interessi e corruzione; un insieme complesso di debolezze; ma anche un insieme di fattori casuali imprevedibili, del loro sinergizzarsi in momenti particolari.
Quando vedo affermare con solennità proposizioni apparentemente nobili e retoricamente vincenti, tuttavia, mi è difficile non pensare alla ignoranza crassa e alla stupidità. La “madre” di tali proposizioni è che vi possano essere modi per fare le stesse cose (una guerra, un investimento in ricerca, ecc.) che possano avere effetti diversi sulle generazioni future a seconda di come vengono finanziate (con debito o con imposte). E’ un tema su cui si sono pronunciate con chiarezza le migliori teste economiche, da Ricardo a Pareto a Keynes e Lerner.
Il futuro è condizionato da ciò che si costruisce o non si costruisce nel presente, ma non si possono “attingere risorse reali dal futuro”, cose che invece sono alla base del modo con cui vengono riguardati i debiti pubblici dai governanti, a cominciare dal nostro premier. Le modalità con cui si finanziano le cose regolano la distribuzione di redditi e patrimoni tra contemporanei; cosa importantissima e che può influenzare il futuro (il debito favorisce i ricchi), ma che non ha nulla a che fare sul significato che le cose fatte con quei finanziamenti hanno per il futuro. Ma sarà un caso che il vocabolo “debito” si traduca in tedesco con “schuld”, che traduce anche il vocabolo “colpa”? E sarà un caso che i compiti attribuiti alle banche centrali, di fatto amplissimi, vengano ufficialmente ridotti al controllo dell’inflazione?

stupidità politica economica europea

Ottima analisi sintetica dell'inefficacia delle attuali proposte di politica economica europee. Sono anche individuate le due sole possibili soluzioni. Manca però un'analisi critica delle cause più profonde che stanno alla base della miopia di queste proposte, cecità che a mio avviso non va imputata alla sola generica stupidità.