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La sfida di Tsipras

13/03/2015

Dopo la troika/Cambiare la Grecia senza soldi né alleati. A Bruxelles il governo di Atene non ha trovato gli appoggi che sperava. I Paesi del nord devono mostrare al mondo (in primis a spagnoli e irlandesi) che la strada indicata da Tsipras è perdente. E in casa si trova spinto da sinistra a rispettare il programma elettorale

Il morale, per ora, è alto. Quando nei suoi concerti la popolare cantante Eleftherìa Arvanitaki intona la strofa «non andrò via di qui, questo è il mio posto», il pubblico la accompagna con impeto, quasi facendo proprie quelle parole in uno slancio di appartenenza e di orgoglio. Come sottolineato da Tsipras la sera stessa della vittoria, e come ribadisce anche il magazine di Vima dedicato ai talenti under 30 rimasti in patria, la fuga dei cervelli migliori verso l'estero (la Germania in primis) è una delle piaghe più serie per la Grecia e per tutto il Mezzogiorno d'Europa (Italia inclusa), forse perfino più grave – nel medio periodo – rispetto ai massicci trasferimenti di capitali dalle banche elleniche a quelle straniere (ben 26 miliardi da dicembre).

Ecco: chi oggi vive in Grecia prova l'orgoglio di una politica finalmente vera, di un governo che, pur senza ostentare trionfalismi o toni nazionalistici, forte di una fiducia al 76% prova a riacquistare dignità, a rivendicare la sovranità accantonando anni di amministrazione controllata e proponendosi come decisore a pari titolo delle istituzioni europee, anzi giungendo a insediare una commissione parlamentare per indagare su chi ha condotto il Paese – in un modo secondo gli esperti del tutto incostituzionale – dentro il buco nero del Memorandum.

Tuttavia, dinanzi al risveglio della coscienza popolare si profila lentamente l'impotenza di un esecutivo drammaticamente a corto di denari (forse basteranno per gli stipendi di marzo: negli ultimi mesi si sono avute minori entrate per 1,5 miliardi, e le coperture per gli interessi sono ancora da trovare), e apertamente osteggiato, al di là di cravatte e pacche sulle spalle, da tutti i partner europei. La strada del compromesso, battuta finora dai greci con consumata destrezza e lavorando senza posa su ogni interstizio e ogni spiraglio, è ancora percepita dai più come l'unica percorribile, e sicuramente lo è. Ma sul piano politico – a meno di fatti nuovi – assomiglia a una parete verticale, in cui si guadagna un po' di tempo e qualche etichetta, ma non si possono cambiare davvero le carte in tavola.

Per questo, l'accordo con l'Eurogruppo del 25 febbraio è apertamente denunciato dalla Piattaforma di sinistra, che rappresenta da sempre un settore rilevante di Syriza e che non voterebbe a favore in caso di un passaggio parlamentare. Nella direzione del partito è finita 92 a 68 per il segretario: un esito inquietante, che ha indotto Tsipras a evitare in ogni modo di mettere l'accordo in votazione alla Vulì, giacché la spaccatura di Syriza e un probabile voto favorevole di Pasok, Potami e Nea Dimokratía significherebbe la crisi di governo immediata e la fine del sogno. L'incognita è se il massimalismo di Lafazanis (leader della Piattaforma) rappresenti un salutare pungolo al governo, o possa spingersi fino a far saltare il banco: Tsipras è dinanzi a un delicatissimo gioco di equilibrismo. Ma non perde tempo: sono già depositati quattro disegni di legge per bloccare i pignoramenti delle abitazioni sotto i 300 mila euro, per ridare l'energia elettrica a 30 mila famiglie e contributi alimentari ad altre 100 mila, per rateizzare i debiti di 3,7 milioni di persone fisiche e piccole imprese, per riaprire la televisione di stato (Ert) chiusa da Samaràs due anni fa. E si riparla fattivamente della cittadinanza ai figli degli immigrati e della chiusura dei Centri di detenzione ed espulsione per i clandestini, veri e propri lager contro cui si scagliano dai muri delle città i centri sociali più intransigenti.

D'altra parte, il semplice fatto che le prime misure umanitarie – in parte a gravare sulla riduzione dell'avanzo primario dal 3 all'1,5% – vengano condannate da Schäuble come «atti unilaterali» fa capire che nell'Europa politica (quella delle istituzioni, vanamente contrapposta da Tsipras a quella della troika, come se le due non rispondessero al medesimo orientamento) la battaglia di Atene contro l'austerità non gode di alcun sostegno. Basterebbero uno o due grandi Paesi per aprire un fronte, ma l'operazione non è riuscita, Renzi e Hollande non hanno alcuna intenzione di inimicarsi Merkel, in Spagna le elezioni sono ancora lontane, Irlanda e Portogallo vantano le loro più o meno presunte success stories e sono i più aspri oppositori delle pretese greche.

La questione è ideologica: Schäuble e i Paesi del nord devono mostrare al mondo (in primis a spagnoli e irlandesi) che la strada indicata da Tsipras è perdente. Le riforme pretese dall'Eurogruppo sono le stesse della troika, quelle che Tsipras ha apertamente rifiutato, preferendone altre: Varoufakis vuole ridurre e unificare l'Iva al 15%, anziché aumentarla come promesso da Samaràs; il ministro Kurublìs ha escluso qualunque taglio alla sanità, e ha anzi già usato 24 milioni per pagare finalmente le notti dei medici degli ospedali pubblici dal 2012 al 2014. Lafazanis, che è anche ministro dello Sviluppo, ha annullato la privatizzazione del vecchio aeroporto, ha bloccato le concessioni per il devastante sfruttamento minerario canadese in Macedonia e ha ribadito che i porti rimarranno in mano pubblica. Il presidente del maggior ente energetico ha dichiarato che terrà lontani i cartelli delle multinazionali e ha rinnovato i contratti di lavoro per tre anni. Si reintrodurranno a breve i contratti collettivi e dal 2016 il salario minimo sarà aumentato (forse gradualmente, forse non per tutti) del 20%. La lotta all'evasione e alla corruzione, così come la ristrutturazione del settore pubblico, sono bensì finalmente credibili, ma daranno frutto solo nel medio periodo – quel tempo che l'Europa non pare disposta a concedere.

Nulla incarna l'irriducibile alterità di principio meglio del best-seller da settimane in cima a tutte le classifiche: Parlando di economia a mia figlia di Ghianis Varoufakis (Pataki 2013). In questo précis di economia marxista, lucido e impietoso, il popolare ministro sciorina un'analisi storica e macroeconomica fondata sul problema delle diseguaglianze e sul nesso perverso fra governanti banchieri e capitale; un'analisi convincente, ma del tutto incompatibile con i principi stessi sui quali è nata l'unione monetaria oggi vigente. Si racconta che in una delle ultime riunioni dell'Eurogruppo – in cui le ricette del governo Tsipras venivano respinte come too political – il ministro di un importante Paese sia sbottato contro la pretesa di Varoufakis di «insegnarci come va il mondo». In mancanza di alleati, e senza un euro in cassa, si possono (e si devono) ottenere piccoli vantaggi strategici, si può (e si deve) scommettere sui margini di "oscurità creativa"; ma è lecito il sospetto di una sconfitta annunciata, in quanto pervicacemente voluta dai governi dell'Europa, incuranti del rischio delle svastiche, e nonchalants se in Grecia il 44,3% della popolazione è oltre la soglia di povertà, la disoccupazione balla attorno al 26%, e nelle città, dove il valore degli immobili è sceso del 40% in tre anni, la devastazione è palese nelle strade, nelle persone "normali" che vagano sperdute, non possono più curarsi e zoppicano o dormono sotto il cielo.

Il festival del documentario di Salonicco (da oggi al 22 marzo) offrirà una serie di preziosi lavori relativi a scioperi, licenziamenti, sanità e immigrazione. Su tutti, Il pesce sul monte di Stratula Theodoratou sul crollo dei cantieri navali a Pèrama, e Agorà di Ghiorgos Avgheròpulos, dove il termine antico nel titolo non designa più la piazza della democrazia antica, ma l'onnipotente mercato che opprime, deprime e – violentemente – reprime.

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Commenti

Sarò forse cattivo

<In mancanza di alleati, e senza un euro in cassa, si possono (e si devono) ottenere piccoli vantaggi strategici, si può (e si deve) scommettere sui margini di "oscurità creativa"; ma è lecito il sospetto di una sconfitta annunciata>
Sarò sicuramente cattivo, forse maniaco, non so fate voi: ma come è possibile che un sito come questo sia talmente intriso di sindrome TINA da dare per scontato che non sia possibile uscire da un'unione monetaria che consentirebbe di ottenere non "piccoli vantaggi strategici" ed una sicura sconfitta ma di dar corso alle scelte del popolo sovrano espresse nel corso delle elezioni? Dentro l'euro il governo greco può solo scegliere in che modo morire, non di salvarsi. Perchè l'unione monetaria è, tra le altre cose, strumento per il dominio imperialista della Germania e dei suoi satelliti sui paesi dell'Europa mediterranea, trasformati o in maquilladoras o in luoghi per il sollazzo degli alti, biondi e belli o in fornitori di manodopera specializzata e non da sfruttare per lavori non qualificati per mantenere la pressione nel mercato del lavoro interno.
L'UME, l'UE non sono fatti naturali, non sono il Sole che tramonta sempre ad occidente!

Bell'articolo

Bell'articolo! Grazie.