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Tre scenari per l’euro

30/11/2011

Può darsi che la moneta europea tenga, oppure che scappino via i forti paesi del nord, oppure che ci sia un “tutti a casa” generale. Pochi giorni e si vedrà

“…in relazione alla situazione di grande incertezza cui si trovano di fronte i responsabili politici, essi devono essere preparati ad affrontare il peggio…” Ocse, novembre 2011

Premessa

Nell’articolo sulla crisi dell’euro apparso la scorsa settimana su questo stesso sito, veniva paventato un possibile crollo del sistema nell’arco di poco tempo. Tale previsione trova ora conferme sempre più autorevoli e l’orizzonte temporale entro il quale tutta la costruzione della moneta unica, in assenza di interventi politici decisi e adeguati, potrebbe essere messa in discussione viene ormai valutato in appena una decina di giorni. La data limite viene ora stimata essere il 9 dicembre, giorno in cui i leader europei si incontreranno per decidere il da farsi. In mancanza di un accordo convincente in tale occasione, l’euro andrebbe in pezzi.

Le novità più recenti

Cosa è intanto successo di nuovo negli ultimi sette giorni?

Oltre a essere aumentata la consapevolezza della possibile imminenza della tragedia, abbiamo assistito all’avanzare rapido del prosciugamento delle risorse finanziarie disponibili del sistema bancario europeo e alla minaccia di un contagio anche per le banche statunitensi, a nuove previsioni molto negative da parte dell’Ocse sui tassi di sviluppo dei vari paesi europei per il 2012, all’ipotesi, poi smentita, ma che sembra avere comunque una sua plausibilità, dell’intervento del Fondo Monetario Internazionale a favore dell’Italia e forse di altri paesi, alla conferma che il mercato dei titoli di stato dei paesi dell’eurozona non esiste in pratica più e infine al fatto che le grandi imprese internazionali stanno preparando dei piani per far fronte alla possibile rottura della moneta unica. Per altro verso, la stampa e alcuni responsabili politici prefigurano ipotesi di varia natura su come si potrebbe uscire dai guai e si parla in particolare di un piano Merkel-Sarkozy (forse anche con il contributo di Monti) in gestazione. Infine, aumenta il coro delle voci che ipotizzano l’uscita della Grecia dall’euro.

Per quanto riguarda il primo tema, apprendiamo intanto che le banche europee hanno visto in queste ultime settimane prosciugarsi tutte le loro precedenti forme di finanziamento a breve termine, dal mercato interbancario ai prestiti delle istituzioni finanziarie statunitensi. Anche i depositi dei clienti mostrano qua e là segni di cedimento. Resta aperto quasi soltanto il canale della Bce, che appare però limitato a prestiti con scadenza massima a un anno.

Su di un altro fronte, va considerato che gli istituti del nostro continente sono riusciti a collocare nel 2011 sul mercato proprie obbligazioni (Alloway, 2011) per un ammontare totale di 413 miliardi di dollari, contro i 654 di quelle che sono venute a scadenza nello stesso anno, con un saldo negativo, quindi, di 241 miliardi. Se si considerano peraltro nel conto anche i “covered bonds”, obbligazioni privilegiate rispetto ai debiti ordinari delle banche, la situazione migliora, ma non abbastanza e resta comunque un buco di circa 150 miliardi di euro. E bisogna tenere presente che intanto lo stesso sistema bancario è alle prese con la necessità di aumentare il livello dei mezzi propri in relazione ai nuovi parametri fissati dall’European Bank Authority, che vuole aumenti di capitale del sistema per circa 105 miliardi di euro entro il giugno 2012 e in applicazione delle direttive di Basilea 3; comunque, poi, nel 2012 dovrebbero venire a scadenza titoli per un importo ancora più elevato e pari a 720 miliardi di dollari (Alloway, 2011), di cui una buona fetta riguarderà le banche italiane. Infine, anche la riduzione in atto nei livelli di redditività degli istituti va considerata nel quadro.

Tutto questo sta tra l’altro portando, in maniera sempre più vistosa nelle ultime settimane, a una riduzione del livello dei crediti all’economia, in particolare al sistema delle piccole e medie imprese, cosa che non può non contribuire a una nuova ondata recessiva che sta già prendendo forma nel nostro continente.

Intanto le istituzioni finanziarie statunitensi registrano un’esposizione di 767 miliardi di dollari in forma di obbligazioni, derivati creditizi e altri tipi di garanzia, verso debitori pubblici e privati delle economie più deboli della zona euro (Thonas, 2011); esse sono molto preoccupate per tale livello di esposizione e cercano di ridurlo come possono.

Per quanto riguarda invece le stime più recenti dell’Ocse (Oecd, 2011), va rilevato che esse, che appaiono in generale piuttosto allarmate, prevedono un forte ridimensionamento dei tassi di crescita dell’economia per il 2012 rispetto alle previsioni precedenti. Così, per l’insieme dei paesi membri dell’organizzazione le ultime cifre parlano di un aumento del pil del 1,6% per l’anno prossimo contro una stima precedente del 2,3%, mentre per i paesi europei la previsione è ora dello 0,2% – siamo praticamente alla stagnazione –, contro quella precedente del 2,0%. Per l’Italia, poi, si parla di un -0,5%, mentre anche la valutazione sull’andamento futuro dei livelli di disoccupazione per il nostro paese appare in peggioramento. Ma l’organizzazione ipotizza risultati ben peggiori per tutti in caso di una rotta dell’euro.

In relazione poi al possibile intervento del Fondo Monetario Internazionale, si è parlato della mobilitazione di 600 miliardi di euro a tassi relativamente moderati (4-5%) a favore dell’Italia per permetterle di passare indenne almeno l’anno prossimo. Ma ci sembra che un’ipotesi di questo genere sia difficilmente sostenibile; non si capisce dove il Fondo potrebbe prendere risorse di tale importo, risorse che certamente oggi esso non possiede – la sua attuale dotazione viene stimata in poco più di 400 miliardi di dollari. Un’idea che sembra prendere in qualche modo corpo a questo riguardo è comunque quella di una qualche operazione di collegamento tra le risorse del Fondo Monetario e quello del fondo salva-stati. Per altro verso, per tenere a galla Italia, Spagna e qualche altro paese minore per i prossimi tre anni è stato calcolato che servirebbero sino a circa 2.000 miliardi di euro.

Le ipotesi in campo

Entro pochi giorni si potrebbe quindi assistere a un passo cruciale della crisi. Secondo quanto riferisce tra gli altri Davies, 2011, gli scenari possibili appaiono a questo punto in sostanza tre, sia pure con qualche variante.

Il primo e il più consolante fa riferimento al raggiungimento rapido di un accordo per un’unione “fiscale”, con la fissazione di parametri rigidi e molto impegnativi da osservare da parte dei paesi membri e con controlli severi e sanzioni adeguate per i trasgressori, secondo più o meno le indiscrezioni che trapelano da Berlino e da Parigi. L’accordo economico-finanziario sarebbe accompagnato da un limitato disegno per fare qualche passo in avanti anche sul fronte dell’unione politica. Si potrebbe, ad esempio, arrivare a un ministero delle finanze a livello di eurozona e/o all’elezione a suffragio diretto del presidente europeo, mentre si farebbe forse intravedere sullo sfondo una serie di misure più incisive.

A questo punto la Bce potrebbe sentirsi autorizzata a intervenire se non altro per estendere i prestiti al sistema bancario, oggi in grave difficoltà e allargarli sino a una scadenza di almeno tre anni, nonché per finanziare in qualche modo il fondo salva stati. Si potrebbe a questo punto varare un primo programma di eurobond, sotto forme tutte da definire, nonché trovare qualche forma specifica di intervento a favore in particolare di Italia e Spagna per i prossimi due-tre anni.

Su questa ipotesi gravano almeno due grandi incognite: i mercati si accontenteranno di tale scenario? E comunque, i politici dell’eurozona arriveranno a varare tale pacchetto minimo di misure? Si può, se non altro, esprimere qualche dubbio su ambedue i fronti.

Per altro verso, va ricordato che le misure difensive sul fronte finanziario andrebbero parallelamente accompagnate da un grande piano per lo sviluppo dell’area e in particolare da provvedimenti di sostegno per aumentare la competitività dei paesi del Sud Europa.

Una seconda ipotesi prevede invece che gli stati periferici abbandonino l’euro, con il ritorno alle monete nazionali; una terza, che siano invece i paesi forti a uscirne, con molte possibili varianti. Ad esempio, se sono gli stati del nord a lasciare, può anche darsi che quelli rimanenti poi si separino e tornino alle monete nazionali o che invece, cosa più improbabile, si mantenga l’euro come moneta comune.

Lasciamo da parte almeno per il momento per scaramanzia le conseguenze, in alcuni casi tragiche, almeno all’interno di alcuni dei paesi della zona euro, di tali ipotesi negative. Vorremmo in ogni caso non doverne parlare in un prossimo articolo.

 

Testi citati nell’articolo

Alloway T., Europe’s banks feel funding freeze, www.ft.com, 27 novembre 2011

Davies G., Thinking the unthinkable on a euro break-up, www.ft.com, 27 novembre 2011

Oecd, Economic Outlook, Parigi, novembre 2011

Thomas L. jr, Pressure keeps building for a solution to eurozone morass, International Herald Tribune, 28 novembre 2011

La riproduzione di questo articolo è autorizzata a condizione che sia citata la fonte: old.sbilanciamoci.info.
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Commenti

Ancora su "scenari di uscita"

@ Polini. "...Il primo scenario (l'uscita di un paese debole, nel caso l'Italia) sembra impossibile perchè credo proprio che governo e parlamento italiano non lo deciderebbero mai...". Sono d'accordo, ma potrebbe accadere che siano costretti a deciderlo da fattori esterni. E poi comunque discutere di quelle che potrebbero essere le conseguenze di una uscita dall'euro (o di un suo dissolvimento generale) non è inutile : se non altro serve a contrastare la disinformazione a carattere intimidatorio e catastrofista che da trent'anni (lo SME è stato introdotto nel 1979) supporta la nostra adesione alla moneta unica.
Detto questo, a proposito dei rapporti di Citigroup e altre banche sulle conseguenze di un dissolvimento dell'euro è difficile ragionare, non conoscendoli. Si danno - così riferisce Giacchè sul "Fatto quotidiano" e altri - addirittura delle cifre (impressionanti) sulla valutazione dei costi. Ma come sono state costruite, con quali ipotesi ?
Infine la ipotesi Roubini sulla "ristrutturazione" del debito prima della uscita : da evitare come la peste. La via giusta è quella della ridenominazione "forzosa" del debito nella nuova moneta: Ne conseguirebbe anche certo una svalutazione del debito : ma - e questa è la differenza fondamentale e positiva - decisa dal mercato che non "remerebbe contro" e flessibile.

Scenari: esce la Germania

Ringrazio Tommaso Sinibaldi per il lucido contributo.
Vorrei ricordare sinteticamente che:
a) il caso di uscita di un paese importante ma "debole" dall'euro è stato esaminato a settembre da Citigroup (USA), Ubs (Svizzera) e Natixis (Francia) e le prospettive non sono rosee, almeno per le conseguenze immediate [1];
b) il caso di un'uscita dei paesi "forti" dall'euro è stato esaminato dal prof. Dirk Meyer, che ne ha quantificato in circa 300 miliardi di euro il costo immediato e una tantum per la Germania, mentre il costo per loro di una permanenza nell'euro sarebbe di 80 miliardi all'anno non si sa fino a quando.

Il primo caso sembra pressoché impossibile, perché credo proprio che governo e parlamento italiani non lo deciderebbero mai. Mi sembrerebbe più concreto (se posso dirlo) ragionare sulla prospettiva di una eventuale uscita indotta da un default, magari nella forma di una ristrutturazione del nostro debito che Roubini ritiene necessaria e... più urgente di un'uscita dall'euro [2].

Il secondo sarebbe decisamente migliore per noi. Sarebbero i paesi "forti" a sostenere l'onere di perdite dell'export, svalutazione di depositi e investimenti all'estero e costi del passaggio a una nuova valuta. I tedeschi sembrano desiderare comunque questa opzione perché la preferiscono a dover continuare ad "aiutare" altri (Meyer) o a rischiare un aumento dell'inflazione (Deutsche Bank).
Probabilmente ritengono anche una svalutazione dei titoli di stato dei paesi "deboli" preferibile a ristrutturazioni dei loro debiti: la svalutazione (calcola Meyer) sarebbe del 25%, ma una ristrutturazione efficace potrebbe avere effetti più pesanti, soprattutto se poi fosse seguita comunque da una svalutazione (cioè se, come dice Roubini, prima ristrutturassimo e poi uscissimo dall'euro).

La domanda che si impone è: che faremmo in questo caso? Resteremmo in un'eurozona ridotta (che comprenderebbe anche la Francia, esclusa del nord-euro immaginato da Meyer)? Come vorremmo che fosse regolata? Cosa se pensano i futuri nostri partner di questa eventuale eurozona ridotta?
Rattrista vedere che mentre i tedeschi pensano concretamente a una soluzione che avrebbe impatti più equilibrati di quella delineata da Roubini, noi continuiamo a sognare gli "Stati Uniti d'Europa".
Ci sveglieremo mai?

--------------------------------------
[1] Ne riferisce sinteticamente http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09/21/2011-fuga-dalleuro/158863/
[2] «Nemmeno una ristrutturazione del debito risolverebbe i problemi di mancanza di crescita e di netta recessione, di scarsa competitività e di deficit del conto corrente della bilancia dei pagamenti. Per risolvere questi problemi occorrerebbe una svalutazione reale che può ben richiedere l'eventuale uscita dall'euro dell'Italia e di altri paesi. Ma l'uscita dall'euro può essere rimandata per un po'. La ristrutturazione, comunque, va fatta subito. L'alternativa è molto peggiore» (Nouriel Roubini, Italy’s debt must be restructured, Financial Times, 29/11/2011, http://blogs.ft.com/the-a-list/2011/11/29/italys-debt-must-be-restructured/#axzz1f6nNZAkD

Uno sguardo nel "baratro"

Credo anch'io - come Polini - che non sia più tempo di fare scaramanzie o mettere la testa sotto la sabbia. Pensare concretamente alle alternative sul tavolo è non solo meglio, è doveroso. Audacemente ci provo (nei limiti di un post).
Poniamo dunque il caso di un paese importante (l'Italia ?) che esca dall'euro.
Due cose almeno sono evidentemente necessarie :
1 ) Questo paese dovrà "lanciare" una sua nuova moneta. Non se ne è parlato molto, ma da alcuni è stato detto (ragionevolmente, mi pare) che la soluzione migliore sarebbe che la nuova moneta abbia una parità di 1 ad 1 con l'euro (1 Nuova Lira = 1 €), ma che si dichiari contestualmente e con assoluta chiarezza che la nuova moneta aderisce pienamente ad un regime di libera fluttuazione. Sottolineo questo punto, che è fondamentale : qualsiasi svalutazione "concordata" sarebbe da evitare come la peste.
La nuova moneta si svaluterebbe rispetto all'euro, ma potrebbe trovare il nuovo equilibrio in tempi brevi.
2 ) Chiaramente sarà necessaria una conversione "forzosa" del debito pubblico nella nuova moneta. Non è pensabile infatti che un grande paese abbia il suo debito pubblico interamente denominato in una moneta straniera (sarebbe quello che B. Eichengreen chiama "peccato originale" dei paesi sottosviluppati).
Quindi anche il debito pubblico si svaluterebbe.
Le conseguenze negative (ovvero il "baratro") :
1 ) il paese in questione precipiterebbe in una rovinosa spirale svalutazione - inflazione ;
2 ) il paese sarebbe "tenuto fuori" dal mercato internazionale dei capitali per un tempo lunghissimo ;
3 ) il paese sarebbe "cacciato" dall'Unione Europea ;
4 ) si svilupperebbe un lunghissimo e complicato contenzioso su tutti i contratti con l'estero ;
5 ) si creeerebbero danni rilevantissimi ai sistemi bancari di alcuni paesi dell'eurozona.
Debbo evidentemente qui essere sintetico, ma sarei assai lieto (illusione?) se un approfondimento si sviluppasse su questi punti.
Qui mi limito a dire che :
le conseguenze di cui in 1 e 2 non sono confermate dall'esperienza - ormai quarantennale - dei paesi che operano in regime di cambi flessibili ;
La conseguenza di cui in 3, anche se giuridicamente (forse) fondata, è politicamente del tutto discutibile.

Svegliarsi o continuare a sognare?

Ho il timore di non essermi spiegato bene.
Altri paesi "terzi" si stanno preparando concretamente ad affrontare una probabile dissoluzione dell'euro. Abbiamo visto tutti in tv l'accorato appello della Banca d'Inghilterra alle banche inglesi.
In Germania non solo singoli (come può essere il prof. Dirk Meyer), ma la stessa Deutsche Bank auspica un'uscita della Germania dall'euro. NB: non la vede come un possibile terribile scenario da evitare a tutti i costi. La auspica!
Soprattutto, nel fare questo la Deusche Bank si preoccupa di individuare meccanismi di tutela dei cittadini tedeschi (emissione di titoli indicizzati convertibili in una nuova moneta).
Lamento che in Italia si preferisce mettere la testa sotto la sabbia, cioè che non si vedono né riflessioni serie su scenari assolutamente possibili, forse anche probabili, né la ricerca di meccanismi di tutela dei cittadini.
Questo vuol dire che, se l'euro si sfacerà (come USA, UK, Svizzera ritengono probabile e la Deutsche Bank auspicabile), noi arriveremo largamente impreparati e subiremo passivamente.
Dovrebbe essere ovvio che subire passivamente un evento è peggio che prepararsi a gestirlo.
E, dopo aver detto che è megio non pensarci "per scaramanzia" (!) Comito si risponde che non c'è problema perché... se ne parla sui quotidiani???
Io cito un rapporto di Deutsche Bank Research e Comito cita La Stampa!
Ma stiamo scherzando?

Mi viene il sospetto che il sano realismo sia scomparso nelle nebbie dei sogni, delle utopie, di quel fantasticare di "Stati Uniti d'Europa" evocati da GianMario Raggetti - che probabilmente affascina anche Comito.
GianMario Raggetti ignora evidentemente molte cose, a partire da quanto gli economisti dicono da mezzo secolo circa l'impossibilità di una unione monetaria europea [1].
Ma non ignora solo cose così specialistiche.
Ignora il paradosso sottolineato da Il Sole 24 Ore [2]: «L'economia della Grecia rappresenta il 2% dell'eurozona e il suo debito il 3%. Fosse stato ben gestito in famiglia, un problema quasi irrilevante. Tra il settembre 2008 e il dicembre 2010, invece, nel tentativo di stabilizzare un settore investito dalla bufera finanziaria, i 27 dell'Unione hanno mobilitato ben 4.285 miliardi di euro a sostegno degli istituti di credito, cioè il 36% del Pil dell'Unione europea e il 10% del totale degli attivi bancari. Con Germania e Gran Bretagna con una quota ciascuno superiore ai 500 miliardi».
Che vuol dire? Che sostenere le proprie banche è molto più "nazionalistico" che risolvere il problema greco, anche se maledettamente più costoso. Il nazionalismo fa a cazzotti col sogno di Stati Uniti d'Europa, ma nei fatti, nella dura e cruda realtà, prevale.
GianMario Raggetti ignora quindi anche, quando parla di una fantomatica Costituzione dello Stato Federale Europeo, che esistono da tempo unioni monetarie (e politiche e fiscali) che funzionano egregiamente: USA e Canada. Ignora che i rispettivi governi federali trasferiscono sistematicamente quote consistenti delle loro risorse in favore degli stati (USA) e delle province (Canada) in difficoltà. Ignora che negli USA e in Canada sono previsti trasferimenti mirati ad aiutare stati/province che si trovino temporaneamente in maggiore difficoltà rispetto ad altri (i cosiddetti shock asimmetrici) e che in Europa non esiste nulla del genere. Ignora che la costituzione canadese assegna espressamente al governo federale il compito di trasferire risorse dalle province "ricche" a quelle "povere" in modo che possano godere tutte di servizi pubblici di livello analogo.
La Germania ha preferito dedicare al sostegno delle proprie banche un importo maggiore dell'intero debito pubblico greco!
GianMario Raggetti, come può pensare che una eventuale "Costituzione dello Stato Federale Europeo" potrebbe somigliare anche solo lontanamente alla costituzione canadese? La prego, si svegli!

Se poi si svegliassero anche altri, non sarebbe male...

----------------------------
[1] Cfr. Alberto Bagnai, «Se cade anche il muro dell'euro», http://old.sbilanciamoci.info/Sezioni/globi/Se-cade-anche-il-muro-dell-euro-4411
[2] http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2011-10-22/banche-pigliatutto-081326.shtml?uuid=Aatwj2EE

Facciamo presto: realizziamo gli Stati Uniti d'Europa

Forse si potrebbe convenire sul fatto che, al momento in cui siamo, continuare a discutere, per ore ed ore e giorni e giorni, sui meri aspetti tecnico-finanziari relativi al come rinforzare il capitale proprio delle banche europee, od sul come rinforzare l'Euro proponendo una qualche unione fiscale europea, o sul come far crescere di un punto percentuale in più l'economia europea, ecc., stia divenendo ripetitivo ed anche molto noioso. Sul piano intellettuale, economico, sociale, culturale, sarebbe interessante ed utile, invece, pensare ed agire affinchè si riesca ad:
- approvare una versione nuova della Costituzione dello Stato Federale Europeo;
- indire elezioni europee per eleggere un nuovo Parlamento Federale Europeo, un Presidente dello Stato Federale Europeo ed un Governo Federale Europeo.
- accelerare la trasformazione della Bce in una Banca Federale che emetta moneta e svolga funzioni di Politica Monetaria Europea.
Data la situazione attuale, tutto questo dovrebbe essere concretato nel prossimo anno, ma lo si dovrebbe annunciare immediatamente ed in modo istituzionale da parte dei Capi di Stato dell'eurozona. In assenza di tali scelte e del raggiungimento di tali obiettivi, l'Euro , oggettivamente, non sopravviverà. Non potra continuare ad esservi spazio per una moneta senza uno Stato federale Europeo che la emetta e la gestisca. Purtroppo, non sembrano esservi in giro per l'Europa, figure politiche lungimiranti, carismatiche, genomicamente capaci di intuizioni e di visioni sovranazionali innovative di portata storica. Per questo, con afflizione profonda, non si eviterà la liquefazione del sogno Euro: sono troppo solidi e diffusi, nonostante tutto, gli interessi miopi di alcuni paesi che sperano solo di evitare gli effetti negativi di tale evento. Il disfacimento dell'Euro, in realtà, provocherà danni, a molti paesi: a tutti quelli che usano tale moneta, a quelli che hanno finanziato le economie di questi ultimi, a quelli che hanno l'Euro tra le proprie riserve monetarie, ed ai paesi che continuano ad esportare merci, servizi e materie verso i 500 milioni di persone del mercato europeo. Ma, nonostante questo, i ceti politici dei paesi dell'eurozona continuano ad agire sulla base degli interessi nazionali. Di conseguenza, l'evaporazione dell'Euro..è solo questione di tempo. Forse, ci troveremo a sorridere, mestamente, vedendo i numismatici quotare, per le loro collezioni, le monete e le banconote europee in circolazione tra il 2002 ed il ..2013? Dovremmo preoccuparci, quindi, sul come evitare tutto questo, proponendo driflessioni e suggerimenti utili ad accelerare scelte politiche illuminate e di grande respiro storico...tutto il resto (purtroppo).. ..è noia!

la Germania ci sta pensando

per fortuna sembra che all'ultimo momento i membri dell'eurozona faranno forse i passi minimi necessari per evitare almeno per i prossimi mesi il crollo dell'euro, anche se bisogna -ahimè- attendere il verdetto dei mercati, peraltro forse anch'essi stremati dalla lunga crisi e probabilmente ormai orientati ad accerrare le decisioni di Bruxelles . Comunque, non ho ritenuto di dettagliare nel mio articolo cosa succederebbe se l'euro crollasse anche perchè i giornali sono pieni di tali ipotesi; si veda ad esempio oggi stesso sul tema il quotidiano La Stampa o quello che ne hanno scritto i principali quotidiani italiani nelle scorse settimane, per non citare la stampa internazionale.
Concordo con D'Antonio sul problema da lui sollevato; per altro verso, almeno Unicredit ha tirato fuori i conti giusti, che sono drammatici, ma molte altre grandi banche ancora non lo hanno fatto; speriamo di non avere a tale riguardo grandi sorprese.

Chi controllerà le banche?

Anche se prevarrà la prima ipotesi perché la Germania altrimenti dovrebbe affrontare il duplice problema di una rivalutazione del marco (si stima di almeno il 25%) e di un appesantimento delle passività bancarie, resta aperto il problema di una necessaria ricapitalizzazione delle banche non risolto da maggiori prestiti della BCE alle banche stesse. La ricapitalizzazione delle banche chiama in causa gli ostacoli frapposti dagli assetti di potere finora vigenti nelle grandi banche. Gli attuali azionisti non disponendo di capitali necessari non sono ben disposti ad accogliere nuovi azionisti magari esterni, non europei. Temono di perdere il controllo delle banche. La questione è particolarmente acuta in Italia quando si parla delle due grandi banche da ricapitalizzare.

La Germania ci sta pensando

Trovo l'articolo di Davies piuttosto debole per almeno due motivi: 1) non cita alcuno studio "serio", ma si basa solo su sue personali opinioni («my own guess»); 2) non formula alcuna stima quantitativa e dipinge così scenari troppo fumosi (ad esempio, nel suo caso 2b, un euro senza Germania & C. «would be devalued against the dollar and the new mark», ma questo resterebbe vero - pur non risultando affatto traumatico - anche nel caso di una svalutazione dell'1% verso il dollaro e del 25% verso la Germania).
Per il resto, mi limito a osservare che mentre qui non sembra solo lei a "non volerci pensare per scaramanzia", in Germania ci stanno pensando seriamente.
In uno studio della Deutsche Bank si legge che i paesi "creditori" temono una BCE nel cui Consiglio dei Governatori i paesi "debitori" hanno la maggioranza, temono il prevalere di scelte inflazionistiche; si ipotizza quindi un abbandono dell'euro accompagnata dall'emissione di titoli indicizzati convertibili in una nuova moneta dopo l'uscita dall'euro:
http://www.dbresearch.de/PROD/DBR_INTERNET_DE-PROD/PROD0000000000279906/Euroland%E2%80%99s+hidden+balance-of-payments+crisis.pdf
Sulla stampa tedesca, inoltre, sembra aver avuto un certo risalto la proposta del prof. Dirk Meyer dell'Università Helmut Schmidt di Amburgo, che prevede un lunedì di chiusura delle banche, dal giorno la dopo diffusione di banconote sempre in euro ma diverse, dopo un paio di mesi uscita dall'euro e un nuovo lunedì di chiusura per la conversione di tutti i conti e i depositi dal vecchio al nuovo euro, che si rivaluterebbe del 25% rispetto al vecchio:
http://video.repubblica.it/dossier/crisi-italia-2011/la-germania-ha-un-piano-per-uscire-dall-euro/81741?video=&ref=HREA-1
Il prof. Meyer sembra pensare in prima battuta a un nuovo marco, NDM, poi a un "nord-euro/nordo" esteso ad Austria, Olanda, Finlandia, Svezia e Danimarca:
http://www.hsu-hh.de/meyer/index_g3dPRljWPGj6CrHT.html
Mi perdoni: è meglio pensare concretamente e seriamente alle alternative sul tavolo, oppure mettere la testa sotto la sabbia? È meglio elaborare un "piano B" -- possibilmente in sintonia con altri paesi che potrebbero trovarsi a condividere lo stesso percorso -- oppure non volerci pensare... per scaramanzia?