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Grandi opere in perdita nei porti italiani
Il business dei container è prossimo al crack? E allora mettiamoci fondi pubblici. Ecco le grandi opere in corso nei porti italiani, da Venezia ad Augusta. Soldi buttati in mare / 2
Di tutto il bailamme legato alla bolla dei mari, in Italia non si è avuto sentore. Come dei sonnambuli, i rappresentanti della nostra classe dirigente, a livello nazionale ministri e sottosegretari, a livello locale deputati delle città portuali, assessori regionali, sindaci, alcuni presidenti di Autorità portuali, hanno continuato a vaneggiare di progetti per il potenziamento dei porti, che non hanno alcun senso comune.
1. Era cominciata con il progetto del superporto di Monfalcone, elaborato da Unicredit, che pretendeva di farlo in project financing (ma garantito dallo stato, quindi debito pubblico), un porto nuovo fatto in faccia al porto di Trieste, il quale ha dei fondali da poter far arrivare navi da 14 mila Teu, un’opera che avrebbe reso necessario rimuovere 9 milioni di tonnellate di materiale (in parte inquinato) a spese del contribuente, progetto grazie al cielo finito nel nulla ma sul quale si sono spesi i deputati e gli eurodeputati friulani (e qualcuno di questi non se lo è ancora tolto dalla testa). Poi il presidente dell’Autorità portuale di Venezia ha tirato fuori il progetto di un terminal container da 1 milione e passa di Teu al largo della costa, un terminal off shore, che avrebbe potuto avere senso se il porto di Venezia avesse dovuto realizzare il porto petroli off shore, deciso anni fa e finanziato per poter allontanare le petroliere dalla laguna, ma oggi non più necessario perché gli impianti Eni che consumavano il greggio trasportato dalle petroliere, non ne consumano più. E allora il presidente dell’AP è costretto a giustificare il terminal off shore come opera di “mitigazione” del Mose, tesi piuttosto ardita ma che l’ineffabile Ciaccia – già responsabile, come ricordava Il Fatto Quotidiano di ottobre, di aver lasciato la banca a lui affidata da Passera, la Banca Infrastrutture e Servizi (Biis), con 500 milioni di buco 1 – aveva accolto con convinzione. Particolarmente sconcertante, questa vicenda, perché rischia di azzerare una delle poche “vision” di grande respiro partorite dalla portualità italiana in questi ultimi anni, proprio per merito del presidente dell’AP di Venezia, la visione di una proiezione strategica dei porti del Nord Adriatico sul “corridoio” Adriatico-Baltico, progetto europeo appoggiato dal Commissario ai trasporti Kallas, ex primo ministro dell’Estonia. Se portato avanti con intelligenza, questo progetto potrà contribuire a spostare l’equilibrio dei traffici container tra nord e sud, e sottrarre una parte di traffici ai porti tedeschi per restituirli ai porti dell’Alto Adriatico. Basti pensare che 22 dei 50 servizi feeder del porto di Amburgo sono destinati alle repubbliche baltiche e a San Pietroburgo. È un progetto questo che può correre solo su gambe ferroviarie, può avere successo a condizione che i porti del Nord Adriatico sappiano poter dire a un operatore logistico o a un grande spedizioniere della Baviera, della Slovacchia, della Repubblica Ceca, dell’Ungheria, della Serbia: “questa è la tariffa se passi da sud, confrontala con quello che paghi al nord”. Invece di ragionare così, il porto di Venezia, come la grande maggioranza dei porti italiani, pensa solo a scavare fondali ed a costruire banchine di dimensioni tali che nemmeno un boom economico decennale riuscirebbe a riempire, puri esercizi di megalomania, prodotti di previsioni di traffico fantasiose quanto superficiali. Appunto, previsioni che non hanno mai tenuto conto di quel che succede nel traffico container e nelle istituzioni che lo finanziano. E continuano ad ignorarlo, con imperdonabile leggerezza. Basti pensare che oggi il porto di Venezia non riceve e non spedisce nemmeno un container (1) via treno, mentre Trieste alla fine di quest’anno avrà realizzato 3.900 treni di trasporti intermodali per il centro Europa, unico porto italiano a servire i mercati d’oltralpe.
2. Ma le enormità non sono finite e percorrendo le coste dell’Italia giù verso Ravenna, Ancona, Bari, Brindisi, incontriamo la martoriata città di Taranto alla quale una stampa irresponsabile promette 50 mila posti di lavoro che risulterebbero dalla realizzazione di un’improbabile “piastra logistica”, partorita da alcune lobbies locali per regalare soldi pubblici ai soliti costruttori. 2 E poi, proseguendo lungo la costa ionica arriviamo a Gioia Tauro, gioiello un tempo delle tecniche di transhipment ma ormai in difficoltà per la concorrenza dei tanti porti di transhipment mediterranei. Ma basta spostarsi ancora un po’ a ovest, lungo le coste della Sicilia, per imbattersi in quello che, onestamente, stentiamo a credere: il progetto di un nuovo terminal container nel porto di Augusta. Qui debbo introdurre un ricordo personale. Alcuni anni fa, si era ancora nel periodo del boom dei traffici marittimi est-ovest, Sviluppo Italia (l’attuale Investitalia) mi chiese di far parte di un gruppo di esperti che doveva esprimere un parere “scientifico” sulla fattibilità di un terminal di transhipment nel porto di Augusta (un porto che è come un distributore di benzina, serve alle navi per fare bunkeraggio). Non mi ci volle molto studio per dare una risposta assolutamente negativa, sapevo che nel Mediterraneo si stavano costruendo a pieno ritmo i porti di trasbordo, sarebbero entrati in servizio in tempi rapidi, quelli italiani già cominciavano a vedere il traffico calare, Cagliari in particolare, Taranto cercava nuovi soci, insomma una situazione che sconsigliava un investimento destinato ad avere la vita assai dura, una volta ultimato. Ricordo di aver avuto l’opportunità di parlare senza peli sulla lingua a una riunione presieduta da una bravissima dirigente della Regione Sicilia e che non faticai molto a convincerla. Negli anni successivi non ne sentii più parlare, ma evidentemente qualche talpa ha continuato a scavare e, sorpresa delle sorprese, le sue gallerie sbucano ai giorni nostri, non a Roma, come si potrebbe credere, ma a Bruxelles. È con occhi increduli che leggo il comunicato stampa della Commissione Europea Aiuti di Stato: la Commissione approva un aiuto di 100 milioni di euro per il porto di Augusta. La data è il 19 dicembre 2012 – un mese esatto dopo la dichiarazione della Maersk che il business del container è un business in perdita. Si dice che la Commissione approva “un aiuto di 100 milioni di EUR concesso dall’Italia a fronte di un progetto di investimento di 145,33 milioni di EUR nelle infrastrutture del porto siciliano di Augusta”. Il progetto consentirà “al porto di Augusta di ristrutturare le infrastrutture esistenti destinate al traffico di merci e di ospitare il traffico di container”. E prosegue “L’aiuto è stato ritenuto compatibile con le norme dell’Ue in materia di aiuti di Stato in quanto persegue un obiettivo di comune interesse, ossia l’adattamento delle infrastrutture esistenti al trasporto intermodale (…) le potenziali distorsioni della concorrenza sono relativamente limitate.” Il passaggio dal trasporto tradizionale a quello intermodale avviene quando più di un modo di trasporto viene coinvolto nella catena, nel caso specifico la nave e il treno, ma non risulta che ad Augusta siano in corso progetti di terminal intermodali ferroviari; Gioia Tauro non è lontana, che farà Augusta quando sarà pronto il terminal? Taglierà le tariffe per portare via traffico a Gioia Tauro, tipica concorrenza suicida, non è distorsione della concorrenza questa? Facciamoci coraggio e continuiamo la lettura: ”Per quanto riguarda il progetto di investimento nelle infrastrutture del porto di Augusta, l’Italia ha condotto un’approfondita analisi del rapporto tra costi e benefici economici e finanziari, dalla quale risulta che gli introiti per l’autorità portuale generati dall’utilizzo dell’infrastruttura non sarebbero sufficienti a coprire i costi degli investimenti. Il tasso di gap finanziario per il progetto è stato stimato a 68,87%.” Dunque gli introiti previsti riusciranno a coprire solo il 31,13% dell’investimento. Non è ragione sufficiente per dire che è un investimento sbagliato, non abbiamo sempre detto che vogliamo i privati nei porti? Ci manca il fiato, ma continuiamo. “Il finanziamento pubblico di 100 milioni di EUR è pertanto indispensabile per realizzare il progetto ed è limitato a quanto necessario per sopperire al deficit di finanziamento. La capacità supplementare di traffico di merci e di container che sarà generata dal progetto nel porto di Augusta dal 2015, anno in cui è previsto il completamento del progetto, non è tale da provocare significative distorsioni della concorrenza e sugli scambi tra Stati membri.” Cioè il traffico previsto è poca roba, ininfluente sul terreno competitivo, e allora che senso ha farlo? E conclude: “La versione non riservata della decisione sarà consultabile con numero di riferimento SA.33540 nel Registro degli aiuti di Stato, sul sito internet della DG Concorrenza, una volta risolte eventuali questioni di riservatezza.” Rigore vorrebbe che prima di esprimere giudizi si debba leggere il testo della decisione, ma in quel momento mi vien solo da pensare alle decine e decine di progetti, dettagliati nella loro parte economica, presentati da soggetti imprenditoriali di provata serietà, credibili, ragionevoli – soprattutto nel campo dei trasporti intermodali – che la DG Concorrenza ha bocciato perché il sostegno pubblico che questi progetti chiedevano per potersi avviare veniva cassato come “aiuto di Stato, contrario alle regole di concorrenza della UE”. Ma mi viene da pensare anche ai milioni di precari italiani che non hanno uno straccio di sostegno al reddito o di sussidio di disoccupazione, ai professionisti con partita Iva, agli artigiani, ai microimpreditori che non ce la fanno più a portare avanti l’attività, oberati dal fisco, dalle vessazioni della burocrazia, da normative assurde, indifesi rispetto ai clienti che non li pagano. Allora mi sale alla gola un grido: fermiamoli, con tutti i mezzi possibili!
1 Il cemento di Ciaccia: la fabbrica degli sprechi, di Giorgio Meletti, 18 ottobre 2012
2 Corriere della Sera, inserto Sette, di Ferruccio Pinotti, 31 agosto 2012.Taranto, dal porto arriva la speranza. Un piano da 400 milioni per fare della città la Rotterdam del Mediterraneo. Ma i cinesi minacciano di lasciare lo scalo, se non si fa in fretta
2-fine. La prima parte è qui: La nuova bolla esploderà dal mare.
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