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Le donne nella grande crisi. Sfide e opportunità

09/12/2009

Abstract. La crisi economica attuale è molto diversa dalle precedenti. Una delle differenze più rilevanti è che stavolta il peso della recessione è più uniformemente diviso tra donne e uomini, per i cambiamenti intervenuti nel tasso di occupazione femminile, nella composizione del budget familiare, e nella ripartizione dell’impatto della crisi tra i diversi settori dell’economia, con un più rilevante impatto, rispetto al passato, su quelli maggiormente femminilizzati. Ma tutto ciò rischia di restare nell’ombra, e non essere considerato nei programmi di policy contro la crisi, a causa del peso comunque preponderante della perdita di occupazione maschile e anche a causa di alcuni problemi di visibilità nelle statistiche del lavoro femminile. In più, i programmi esistenti di sostegno alla disoccupazione nella maggior parte dei casi penalizzano economicamente le donne che hanno perso il lavoro. La sfida è invece quella di fare della crisi un’occasione per cambiare i sistemi di protezione sociale e investire nelle infrastrutture sociali: se tutti e due i sessi sono investiti dallo stesso problema, le donne possono essere parte della soluzione.

 

 

 

Impatto della crisi sull’occupazione e il reddito femminile

 

Nel 2007, poco prima dell’arrivo della recessione, le donne pesavano per il 44% sull’occupazione totale nell’Unione europea, una percentuale maggiore di quella di tutte le altre recessioni del passato. Parallelamente è cresciuto il numero delle famiglie che contano su due redditi per arrivare a fine mese (il 61% delle coppie con o senza figli nella media di 26 paesi europei, con picchi del 76-77% nei paesi scandinavi). Ne consegue un impatto più sensibile, rispetto al passato, della perdita di posti di lavoro femminili sui bilanci familiari. Anche stavolta, come nelle passate recessioni, si sono persi più posti di lavoro nei settori a prevalente occupazione maschile, cioè manifattura, costruzioni e trasporti. Ma al quarto posto nella classifica dei posti di lavoro persi, troviamo il settore finanziario, e subito dopo settori prima protetti, come l’istruzione e la pubblica amministrazione: dunque si sono indeboliti alcuni fattori tradizionali di protezione del lavoro femminile. Ciononostante, le donne hanno contenuto le perdite, nel totale l’occupazione maschile mostra una perdita molto maggiore di quella femminile: meno 1,4% dal primo trimestre 2008 al primo del 2009, contro un meno 0,2% dell’occupazione femminile (meno 0,8% complessivo).

Anche se ci sono evidenti segnali del fatto che le donne stanno pagando questa recessione molto più duramente che nel passato, il loro lavoro retribuito resta dunque relativamente isolato dalla grande tempesta. Non altrettanto può dirsi per il lavoro non retribuito, domestico e di cura, che cresce sia per compensare il calo complessivo del reddito familiare che per i tagli di budget a livello locale e nazionale che riducono i servizi sociali. Insieme a questi, altri fattori contribuiscono a sottostimare l’impatto della crisi sulle donne: il modo superficiale nel quale spesso sono lette sui media le statistiche ufficiali; e il fatto che le stesse statistiche non contemplano la reale portata della disoccupazione femminile: ad esempio, una donna che accetta il part time perché non riesce a trovare un lavoro full-time viene considerata “occupata” a tutti gli effetti, giacché non si tiene conto del cd part-time involontario. Le dimensioni del problema sono rilevanti: nella stessa Svezia il numero di part-timers involontarie è superiore a quello dei disoccupati, uomini e donne. A tutto ciò si aggiunga il fatto che le donne disoccupate ricevono sussidi mediamente più bassi dei maschi, perché hanno storie contributive più spezzettate e redditi inferiori, oppure perché - in proporzione maggiore dei maschi - rientrano in categorie non coperte dai sussidi, come quella delle persone alla ricerca della prima occupazione. Secondo stime effettuate sui single di 25 paesi europei il differenziale medio nell’ammontare del sussidio di disoccupazione è dell’11%, ed è ragionevole attendersi che la disparità aumenti quando si allarga il confronto a donne e uomini con famiglia.

 

Le tendenze finora rilevate ci portano a dire che la crisi economica comporta grandi rischi sul cammino verso la gender equality, soprattutto se usata dai governi come pretesto per ripensare le politiche per l’eguaglianza o tagliare le spese in quelle politiche che aiutano le donne a stare sul mercato del lavoro.

 

Le proposte politiche

 

Dall’autunno del 2008 i governi europei hanno varato diverse misure anticrisi. Tra esse trasferimenti finanziari individuali, programmi di assistenza a chi ha perso il lavoro, supporto diretto al settore finanziario e settori economici specifici come il turismo, l’industria automobilistica, l’agricoltura, la pesca. Rispondendo a specifici quesiti della Commissione, pochi tra gli Stati membri hanno indicato di aver calcolato l’impatto di genere nello scegliere tra le varie misure. Per dirla tutta: nei pacchetti anticrisi la prospettiva di genere è quasi del tutto assente.

 

Eppure, è in tempi di crisi che maturano le trasformazioni e vanno colte le nuove occasioni. I paesi dell’Unione europea hanno di fronte due grandi sfide:

 

- riconoscere esplicitamente che è necessario monitorare e valutare l’impatto differente sulle donne e sugli uomini di ciascuna scelta politica che si fa, comprese le misure anti-crisi

 

- più nello specifico, scegliere misure che incentivino e sostengano la ripresa tenendo conto della nuova realtà del mercato del lavoro, e del modo in cui vi si pongono donne, uomini, coppie e famiglie.

 

Per porre le basi di tali politiche, l’Advisory Committee on Equal Opportunities della Commissione Europea ha stilato una lista di raccomandazioni per gli Stati membri. Tre le grandi aree di intervento: revisione del sistema di sostegno al reddito per la disoccupazione, del sistema dei congedi - parentali o altro - e investimenti in infrastrutture sociali.

 

La recessione fa scattare le trappole delle statistiche sulla disoccupazione e dell’assistenza al reddito. Rendendo evidente e ancora più impellente la necessità di riformare gli ammortizzatori sociali per la disoccupazione, con misure che non necessariamente comportano un incremento di spesa. Le opzioni spaziano dall’introduzione di un assegno fisso uguale per tutti, per ridurre le disparità di trattamento, alla transizione verso forme universali di benefit. Fino a misure specifiche di riequilibrio tra il lavoro retribuito e quello di cura. Ad esempio, gli uomini potrebbero essere meno restii a svolgere lavoro di cura se l’alternativa è perdere il posto: perché non usare la crisi per aumentare gli incentivi per i padri lavoratori o per il lavoro domestico maschile?

 

La strada principale, tuttavia, passa per gli investimenti. Le infrastrutture sociali dovrebbero entrare nei piani di lavori pubblici insieme alle infrastrutture fisiche, anzi con priorità rispetto a queste ultime. Oltre a rafforzare il modello sociale europeo, questo tipo di investimenti riscuote anche un crescente consenso nel mondo per la sua grande efficacia nella creazione di posti di lavoro. In paesi diversi come Sud Africa e Giappone l’impatto su occupazione e povertà di investimenti infrastrutturali di tipo tradizionale si è rivelato inferiore a quello di progetti di sostegno alla prima infanzia o al lavoro di cura. Finora in Europa si sono mossi in questa direzione alcuni singoli programmi in due Stati membri, Gran Bretagna e Finlandia. Si può fare molto, molto di più.

 

Conclusioni

 

La crisi attuale sta colpendo sia le donne che gli uomini, in maniera differente. E’ opportuno analizzare più approfonditamente tali differenze, poiché l’effetto ottico della maggiore occupazione femminile rispetto alle altre recessioni e la sottostima di alcuni dati possono portare a sottovalutare l’impatto della crisi sull’occupazione femminile. Ma se tutti e due i sessi sono parte del problema-economia, le donne oggi possono essere parte della soluzione. Perché questo sia possibile, le politiche anti-crisi dovrebbero riformulare completamente i sistemi di sostegno contro la disoccupazione e spostare gli investimenti verso le infrastrutture sociali.

 

 

 

* Sintesi del paper “Women in the current recession. Challenges and Opportunities”, presentato nella conferenza "What does gender equality mean for economic growth and employment?", (Stoccolma, 15-16 ottobre 2009), nell'ambito del programma della presidenza svedese della Commissione europea, qui allegato.

Tratto da www.ingenere.it