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Se globale è la finanza e non la legge

31/05/2013

Lo scorso martedì una Commissione del Senato americano ha ascoltato Tim Cook, amministratore delegato della Apple, accusata di evasione fiscale per mancato pagamento delle imposte sugli enormi profitti realizzati, attraverso una pianificazione fiscale di una rete di società controllate irlandesi. Il senatore Levin, presidente della Commissione, ha sottolineato durante il dibattito che trenta delle maggiori multinazionali americane, con più di 160 miliardi di dollari di profitti negli ultimi tre anni, non hanno pagato nessuna imposta federale. Il commento significativo di Tim Cook è stato: «Sfortunatamente il sistema fiscale americano (Tax Code) non si è adeguato all'era digitale».
Siamo di fronte all'inquietante ossimoro "evasione fiscale legale"? Paradossalmente, l'Unione Europea, con l'Irlanda, l'Olanda, il Lussemburgo e l'Austria, è diventata essa stessa paradiso fiscale. Le varie legislazioni interne, in mancanza di una legge comunitaria adeguata, fanno perdere al bilancio dell'Unione un gettito di mille miliardi, cioè una somma cento volte superiore ai dieci miliardi mobilizzati per venire in soccorso a Cipro.
È pur vero che a Bruxelles si vanno preparando proposte di direttive per imporre trasparenza alle multinazionali e scambi di informazioni fra Paesi, ma purtroppo finora queste iniziative e le concordanti autorevoli dichiarazioni appaiono tutte asseverare la pesante definizione apparsa sulla copertina dell'ultimo numero dell'Economist: "i sonnambuli" (The sleepwalkers), a proposito dei maggiori responsabili della politica europea. Infatti, il rischio che alcuni importanti Paesi dell'Unione Europea blocchino o limitino tali riforme rimane assai elevato, mentre per il degrado istituzionale e politico la stessa frode e l'evasione fiscale palesemente "illegali" rimangono perseguite in modi assai discutibili dai vari poteri del singolo Stato, sovente in conflitto fra loro.
Da questo complesso e confuso quadro risultano definitivamente crollate tutte le tesi sbandierate sulla verità e l'efficienza dei mercati, sulla necessità delle politiche di austerità e di tagli alla spesa pubblica, e soprattutto sui rimedi solo economici prospettati per la soluzione di una crisi che la civiltà occidentale sta attraversando a livello non solo economico, ma ormai soprattutto politico e sociale.
L'estrema gravità del problema è dovuta al fatto - come più volte ho sottolineato - che la globalizzazione economica del capitalismo finanziario dell'era digitale non è stata accompagnata da un'adeguata globalizzazione giuridica. Le grandi multinazionali si sono dotate di un loro privato ordinamento interno che, proprio in assenza di un diritto globale, tende a favorire la legalità della frode e dell'evasione fiscale.
A questo fenomeno, non si può non collegare una povertà sempre più diffusa, la concentrazione di enormi ricchezze in pochissimi, quell'uno per cento, oggi indicato come privilegiato da Manuel Castells (Reti di indignazione e speranza. Movimenti sociali nell'era di internet, Milano, 2012), rispetto a quel 99 per cento degli esclusi, vittime di ineguaglianze che mettono a repentaglio le stesse istituzioni politiche che, con la democrazia e il diritto, avevano finora accompagnato le varie fasi dello sviluppo del capitalismo.

continua