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La crisi mondiale vista dal mondo

03/07/2009

Si accendono i riflettori su un G8 tanto stanco quanto inutile. Mentre poco si parla delle discussioni nell'unica sede legittimata a discutere dei destini del globo: le Nazioni Unite, dove si è appena conclusa la Conferenza sulla crisi. Con spunti interessanti anche se timidi

Le pagine dei giornali si sono riempite di speranza di fronte all’innovativo G20 che avrebbe dato le ricette giuste per superare la difficile congiuntura. Le campagne di pressione della società civile fremono in attesa delle nuove promessse del G8 verso l’Africa. Nessuno ha però ritenuto necesssario monitorare quanto stava succedendo a New York, nelll’unica sede legittima di discussione dei destini del mondo: l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Dal 24 al 26 giugno si è infatti tenuta la “Conferenza delle Nazioni Unite sulla crisi economica e finanziaria e il suo impatto sullo sviluppo”. Si tratta dell’unica assise dove tutti i 192 paesi del mondo possono discutere delle strategie globali di risposta al crollo dei mercati finanziari e alla conseguente recessione, tenendo in considerazione la crisi ambientale, quella energetica e quella alimentare, cioé le grandi sfide che si pongono di fronte all’umanità in questa fase storica. Si tratta dell’unica sede accettabile per garantire scelte minimamente democratiche per farci uscire da questa situazione. Il G8 ha ormai da tempo perso la propria legittimità. Si tratta di una sede anacronistica che, anche volendo accettare un’istituzione in cui siano solo i più ricchi a decidere, è semplicemente composta male. Che l’Italia, la Francia e il Canada discutano a porte chiuse lasciando fuori la Cina e l’India ad aspettare pazientemente il proprio turno per essere ricevute a colloquio dai “grandi” appare quanto meno imbarazzante. E così da anni durante i G8 si parla solo di dare nuovi aiuti all’Africa rilanciando promesse disattese, che a loro volta non saranno mantenute. Il tutto senza naturalmente mai mettere in discussione quei meccanismi che rendevano ricchi gli 8 e che imponevano al resto del mondo: privatizzazioni, smantellamento dello stato sociale e produzioni votate solo all’esportazione. Il G14 e il G 20 non sono altro che attualizzazioni dello stesso sistema, tirando dentro quei paesi che a pieno titolo vogliono iniziare a fare quello che gli ex Otto Grandi hanno fatto per tanti anni. Ma questa volta il contesto internazionale è profondamente cambiato. Le politiche del lasseiz faire, lo stato che non può intervenire nell’economia, la deregolamentazione e lo strapotere della finanza si sono rivelati ingiusti e inadeguati e hanno condotto alla moltiplicazione delle crisi (sociale, economica, finanziaria, ambientale, alimentare, energetica). I Gn (con n = 8, 14, 20 o quant’altro), come li chiama Stiglitz, terranno sempre fuori della porta i restanti (192 – n) paesi che subiscono le crisi, spesso in maniera vigorosa, essendone vittime innocenti.
Che si riparta allora dal G192, dall’Assemblea Generale.

La conferenza di New York della settimana scorsa si è chiusa, tuttavia, senza prese di posizione particolarmente entusiasmanti. Riconosce la necessità di una riforma rapida e profonda di Banca Mondiale e Fmi, ma non definisce linee guida concrete. Sostiene l’appello di molti paesi in via di sviluppo ad una maggiore flessibilità politica (la possibilità di adottare misure anticicliche e ammortizzatori sociali) ma non esplicita una moratoria delle condizioni imposte dalle istituzioni internazionali. Auspica una maggiore cooperazione sulle questioni fiscali in particolare per superare la concorrenza al ribasso tra paesi, ma non impone la fine del segreto bancario e una lotta strenua contro i paradisi fiscali (il tema era già stato affrontato al G20 ma tenendo fuori delle liste nere i paradisi di Usa, Cina e Gran Bretagna ovvero quelli sui territori del G20 stesso, alla faccia del conflitto d’interessi). Anche l’Assemblea Generale non ha individuato la giustizia sociale quale obiettivo per il superamento della crisi, ma quanto meno tanto nei documenti preparatori come in quello conclusivo osserva attentamente l’impatto sociale della crisi. E se i media (e i governi) si degnassero di darle il ruolo che merita, allora anche i risultati si farebbero molto piú interessanti.

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