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Cara Confindustria, la crescita non si autoavvera

04/02/2015

Confindustria e Governo prefigurano uno scenario di crescita. Ma la struttura produttiva italiana non è allineata a quella europea. E la crescita non si auto-avvera perché l’agogniamo

Qualcosa non funziona nella pubblicistica semi-ufficiale. Il Centro Studi Confindustria prefigura una crescita potenziale del 2,1% per il 2015 (0,6% dalla riduzione del prezzo del petrolio, 0,8% dal tasso di cambio, 0,5% dal commercio internazionale e 0,2% dalla riduzione dei tassi di interesse a lungo termine), mentre il Ministero dell’Economia intravvede delle inedite opportunità di crescita in grado di spingere la crescita ben oltre i modesti incrementi stimati solo qualche mese fa.

Confindustria e ministero dell’economia assegnano ai così detti fattori esogeni un peso esorbitante, come se la struttura produttiva del paese fosse allineata a quella europea e internazionale. Se poi guardiamo con attenzione alle variabili esogene (prezzo petrolio, svalutazione dell’euro e la riduzione dei tassi di interesse), al netto della crescita del commercio internazionale, occorre ripetere che l’Italia continua a perdere quote, i fattori considerati rappresentano bene lo standard della politica industriale italiana. All’orizzonte c’è sempre la riduzione dei costi, dimenticando che tutto il sistema economico europeo beneficerà della contrazione dei tassi, del valore dell’euro e del petrolio. C’è poi la previsione della crescita occupazionale. Confindustria sostiene che il (recente) calo dell’occupazione è attribuibile all’attesa del jobs act. Con il nuovo anno si attendono variazioni positive. Difficile crederlo. Per definizione le imprese assumono per soddisfare la domanda crescente. Ma la politica economica del governo è la politica di Confindustria.

Il Ministero dell’economia e Confindustria mettono al centro della loro analisi anche il cambio delle politiche economiche europee. La crescita sembrerebbe tornata al centro della discussione politica ed economica. Speriamo nella Grecia, perché le politiche di “flessibilità” e il piano Juncker sono delle bufale. Il QE (quantitative easing) è, forse, l’unica misura di buon senso, ma servirebbe ben altro: un QE di un trilione di euro per nuovi investimenti pubblici, non certo per comprare, sul mercato secondario, titoli di stato in circolazione.

La crescita non si auto-avvera perché l’agogniamo. Sia il Ministero e sia Confindustria non comprendono la diversità della crisi italiana rispetto a quella di una parte dei paesi europei. Se il pil negli ultimi 10 anni è cresciuto di 12,5 punti percentuali meno della media europea, nonostante gli investimenti delle imprese fossero equivalenti a quelli realizzati dalle imprese tedesche, qualcosa non funziona nel sistema economico nazionale.

Ma come fanno Ministero e Confindustria a prefigurare la crescita economica quando il valore aggiunto per addetto delle imprese italiane è una frazione di quello delle concorrenti europee? Un recente report di Edison e Confindustria di Bergamo ha sottolineato la divergenza di struttura della industria italiana, ancorché ben nascosta tra le pieghe del rapporto. Solo per informazione, il valore aggiunto per addetto di Brescia, Bergamo, Vicenza, Monza Brianza, Modena è prossimo a 60.000 euro, mentre il valore aggiunto per addetto di Wolfsburg, Boblingen, Ingolstadt e Ludwishafen am Rhein è saldamente al di sopra di 110.000 euro.

Comprendo lo sforzo di sostenere l’ultimo provvedimento a favore delle imprese (Investiment Compact, 20 Gennaio), che non si avvicina in nessun modo al progetto europeo Industrial Compact, ma le politiche delineate alimentano sempre la despecializzazione produttiva. Cosa dire del così detto patent box? La misura interessa marchi e modelli, non la formazione di beni e servizi ad alto contenuto tecnologico. Una sconfitta per chi sostiene la necessità di modificare la struttura produttiva del Paese condizionata dalla de-specializzazione produttiva. Le imprese italiane hanno sempre prodotto marchi e pochi brevetti tecnologici. Si è consolidata la cultura del made in, mentre nel mondo viaggiava verso il made in tecnologia. La crescita? Realmente speriamo nello stimolo politico della Grecia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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