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L’etichettatura sociale dei beni contro il neoliberismo

04/05/2014

L’obbligo dell’etichetta sociale permetterebbe di garantire il commercio internazionale senza la competizione al ribasso su diritti e garanzie

È indiscutibile che la libera circolazione globale delle merci abbia avuto un effetto negativo sulle garanzie del lavoro, sui diritti sindacali, con il risultato di peggiorare la qualità della vita di una fascia elevata della popolazione, di redistribuire in senso regressivo il reddito e di diffondere l’idea che la difesa di tali diritti fosse troppo costosa e antistorica. Questo non è tuttavia una conseguenza necessaria del libero commercio, tutt’altro. Dai tempi della rivoluzione industriale, i diritti e le garanzie dei lavoratori (diritti di associazione sindacale, di sciopero, diritto alle ferie pagate, alla pensione, etc.) si sono diffusi insieme con l’espansione dell’industria e l’aumentare degli scambi.

La globalizzazione ha interrotto questo processo: ha creato un unico grande mercato privo però di un qualsiasi referente politico e di un luogo dove i conflitti sociali e distributivi trovino una definizione politica. Al contrario, le economie hanno iniziato un processo concorrenziale tutto giocato sulla deregolamentazione dei mercati e principalmente del mercato del lavoro. È un caso da manuale di fallimento del coordinamento.

Ci sono due soluzioni di scuola: creare un governo mondiale o ritornare a far coincidere lo spazio economico con lo spazio politico frenando il processo d’integrazione economica e adottando forme più o meno velate di protezionismo. Il primo è al momento utopistico, il secondo sembra specularmente anacronistico e pericoloso sia perché alimenta sentimenti nazionalistici sia perché appare perdente rispetto alla globalità dei problemi attuali (pensiamo alle questioni ambientali.

Esiste anche un’altra strada: introdurre l’etichettatura sociale obbligatoria dei beni.

L’introduzione dell’obbligo dell’etichetta sociale permetterebbe di garantire il commercio internazionale senza la competizione al ribasso sui diritti e le garanzie, facendo in modo che il commercio dei beni incorpori informazioni sul processo produttivo che riguardino anche le condizioni di lavoro e le tutele dei lavoratori.

Il principio di partenza è quello che il consumatore ha diritto a tutte le informazioni possibili sul bene che intende acquistare e che possano influenzare le sue scelte. Fra queste informazioni, non ci possono non essere anche le caratteristiche sociali del bene.

Il libero commercio e la libera concorrenza fra le imprese serve a massimizzare il benessere dei consumatori che nella teoria economica neoclassica, alla base della dottrina liberista, sono sovrani. Orbene, i consumatori per esercitare sostanzialmente la loro sovranità hanno come primo diritto quello a una scelta pienamente informata e consapevole.

Come funziona

Tutti i beni sono accompagnati da un’etichetta sociale che dà indicazioni sulle condizioni di lavoro, sulla tipologia dei contratti, sull’esistenza di libertà sindacali, sul rispetto delle condizioni di salubrità e sicurezza del posto di lavoro.

L’etichettatura è già in essere per tanti beni, ad esempio per gli elettrodomestici che vengono etichettatati da E a AAA in base all’efficienza energetica.

Esiste già uno standard relativamente usato a livello internazionale, la certificazione SA8000 definita dalla Social Accountability International - un organismo cui aderiscono molte organizzazioni sindacali, NGO, imprese private - che utilizza una procedura di tipo ISO e considera nove elementi (fra i quali, lavoro minorile, salute e sicurezza, libertà di associazione, contrattazione collettiva, discriminazione, orario di lavoro, remunerazione).

Non esiste nessuna grande difficoltà a usare gli stessi parametri per costruire un’etichetta obbligatoria dei beni che potrebbe andar da E (nessuna garanzia) a AAA (massimo rispetto dei diritti dei lavoratori).

Finalità

Il primo obiettivo è stabilire il principio che il consumatore ha diritto a essere informato su tutte le caratteristiche del bene, il che avrebbe positive conseguenze anche in altri settori come quello della tutela dell’ambiente e della salute. Con l’etichettatura sociale, le condizioni di lavoro umano impiegate smettono di essere trasparenti al consumatore.

Per le imprese e specialmente per quelle dotate di un marchio conosciuto diventerebbe conveniente investire in maggiore responsabilità sociale migliorando le condizioni di lavoro per ottenere un’etichettatura sociale favorevole. Sarebbe lo stesso meccanismo concorrenziale a spingere le imprese a investire in rapporti di lavoro sempre migliori per ottenere positivi effetti d’immagine.

Nel medio periodo è prevedibile attendersi alcuni risultati: a) le condizioni di lavoro dei lavoratori nei paesi in via di sviluppo miglioreranno sensibilmente con effetti positivi anche sui livelli salariali; b) s’interromperà il circolo vizioso che vuole che l’apertura commerciale porti alla competizione al ribasso sulle garanzie sociali connesse all’uso del fattore lavoro, c) anche i lavoratori dei paesi industrializzati vedranno migliorare i salari e le condizioni di vita ; d) vi saranno effetti redistributivi di tipo funzionale con l’aumento della quota di ricchezza che va ai possessori del fattore lavoro rispetto ai proprietari del fattore capitale.

La proposta non distorce le scelte di consumo perché lascia piena libertà di scelta al consumatore, non introduce costi aggiuntivi obbligatori per le imprese, se non quelli minimi dell’etichettatura, non mette in discussione l’idea di base della libertà di circolazione delle merci. Da un punto di vista astratto è assolutamente in linea con l’ideale liberista della supremazia del consumatore. Un consumatore più informato può migliorare il suo processo decisionale facendo scelte più consapevoli e in grado di fargli raggiungere livelli di benessere più elevati.

Si tratta al contempo di una proposta anche rivoluzionaria. Equivale a una rivoluzione copernicana del commercio internazionale, al centro del quale fino ad ora vi erano i beni e le imprese. Invece al centro del commercio ci devono essere i consumatori e i loro diritti, il primo dei quali è proprio quello di avere tutte le informazioni necessarie per prendere le proprie decisioni in modo corretto e consapevole.

È una modifica radicale delle politiche del Wto che affermano che il libero commercio possa essere limitato solo in alcuni casi molto particolari ritenendo che qualsiasi ostacolo al commercio è un ostacolo alla crescita economica. Va in direzione diametralmente opposta rispetto alla strada che Europa e Usa hanno intrapreso con le contrattazioni sul famigerato Ttip che vorrebbe abbattere totalmente proprio quelle barriere di tipo non tariffarie come potrebbe essere interpretata la etichettatura sociale obbligatoria dei beni.

Costituirebbe, usando la retorica vincente, un radicale e innovativo cambio di verso nelle “non” politiche del commercio internazionale seguite finora.

 

 

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