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Che cosa succede in Brasile?
I brasiliani contestano ai poteri pubblici l’uso distorto delle risorse finanziarie. L’investimento di decine di miliardi di dollari per gli eventi sportivi dei prossimi anni stride con le grandi necessità interne del paese
L’ondata di proteste che ha toccato il Brasile nelle ultime settimane ha sorpreso praticamente tutti gli osservatori del paese e gli stessi uomini politici e di governo. Se appare relativamente agevole di frequente capire ex-post le ragioni delle turbolenze che si verificano in un qualche paese, è sempre difficile prevedere invece ex-ante che delle difficoltà note da tempo possano avere degli sbocchi turbolenti.
In un articolo dedicato al Brasile e pubblicato il 13 maggio 2013 su questo stesso sito, avevamo del resto individuato con una certa precisione la maggior parte delle questioni che ora agitano una parte almeno dell’opinione pubblica brasiliana, ma non pensavamo certo che esse avrebbero portato alle scene che si trovano ora sotto i nostri occhi.
L’aumento relativamente moderato dei prezzi dei biglietti per il trasporto urbano in molte città del paese ha funzionato persino incredibilmente da detonatore in una situazione che presenta da tempo un quadro per alcuni aspetti difficile. Ma come diceva, mi sembra, Bertoldt Brecht tanti anni fa, la situazione in Egitto appare rivoluzionaria da 5.000 anni.
Si può partire ricordando che il paese, come del resto tutti gli altri che fanno parte del cosiddetto raggruppamento dei Bric, hanno registrato di recente un più o meno marcato rallentamento nei processi di crescita economica e il Brasile anche un po’ più degli altri.
In effetti, nel periodo 2003-2010 il pil della nazione sudamericana è cresciuto in media del 4% all’anno, mentre le riforme sociali portate avanti da Lula hanno permesso tra l’altro di ridurre in modo importante i livelli di povertà, togliendo dalla miseria circa 40 milioni di brasiliani e riducendo sia pure di poco i livelli di diseguaglianza in un paese tradizionalmente collocato tra i meno egualitari del mondo. Inoltre, sul fronte del lavoro, con Lula si è raggiunta una situazione vicina alla piena occupazione.
Invece nell’ultimo periodo si è registrato un aumento del pil del solo 2,7% nel 2011 e dell’1,0% nel 2012, mentre le prospettive di crescita per il 2013 sono stimate intorno ad un po’ meno del 3%.
Tale rallentamento dell’economia, per il Brasile come per gli altri paesi del Bric, appare generato in termini generali dall’esaurimento almeno parziale dei modelli di sviluppo sin qui da essi perseguiti e dalle difficoltà di portare avanti le riforme necessarie a cambiare le cose.
In particolare, mentre negli altri Bric il rallentamento è dovuto, a nostro parere, essenzialmente a ragioni interne, nel caso del Brasile alle questioni interne si associano strettamente quelle esterne.
Lo sviluppo del paese si è in effetti affidato in passato e per una larga parte a tre fattori importanti. Da una parte, una forte domanda del mercato internazionale, e in particolare della Cina, di molte materie prime possedute in abbondanza dal paese; poi, la rilevante crescita dei consumi interni, favorita, oltre che dall’aumento dei redditi medi, anche da una forte spinta positiva generata da un credito bancario abbondante; infine, il rilevante afflusso di capitali esteri attratti dalle buone prospettive di crescita del paese e da una situazione di denaro abbondante sui mercati finanziari internazionali.
Ma ora la domanda di materie prime rallenta, i consumi interni mostrano una certa stanchezza dovuta anche al rilevante livello di indebitamento dei consumatori, mentre l’afflusso di capitali frena in ragione di alcune misure di controllo avviate nel paese per contrastare alcuni risvolti negativi indotti da tale afflusso.
Mentre il governo era alle prese con i tentativi di rilanciare i processi di sviluppo per contrastare il rallentamento dell’economia, è scoppiata la rivolta. Essa sembra generata in particolare da alcuni importanti problemi alla cui soluzione il governo forse non stava dando, per varie ragioni, la priorità necessaria. Le tensioni sono poi complicate e spinte anche dall’esistenza di grandi differenze economiche regionali e di classe all’interno del paese.
Intanto c’è la questione di una diffusa e profonda corruzione, fenomeno del resto comune a tutti i Bric. Lula su questo fronte non si era forse attivato a sufficienza, mentre la Rousseff aveva dato inizio al suo mandato proprio licenziando clamorosamente e con decisione ministri e funzionari non troppo onesti; ma il suo governo si basa su di una coalizione di molti partiti, grandi e piccoli, e gli esponenti di alcuni di essi hanno minacciato di far crollare l’edificio se la campagna fosse proseguita con troppa decisione.
Parallelamente ci troviamo di fronte ad una burocrazia pubblica molto inefficiente. In tale ambito, poi, come almeno in qualche caso la brutale repressione delle dimostrazioni ha indicato, la polizia non è stata nella sostanza riformata ed essa sembra essere ancora, per larga parte, quella del periodo della dittatura. Peraltro essa ha a che fare, altro grave male del paese, con un tasso di criminalità molto elevato: ogni anno, ad esempio, si verificano 50.000 delitti; comunque in certe aree urbane l’insicurezza regna sovrana.
Ma quello che i brasiliani contestano in questo momento ai poteri pubblici sembra soprattutto la questione dell’uso distorto delle risorse finanziarie. L’investimento di decine di miliardi di dollari per gli eventi sportivi dei prossimi anni sembra stridere fortemente con le grandi necessità interne di servizi.
Il paese manca crudelmente di infrastrutture di trasporto (porti, strade, aeroporti, ferrovie, metropolitane), che costituiscono una strozzatura fondamentale dei processi di sviluppo e poi è molto carente di scuole, ospedali ed altri servizi sociali.
In un ambiente urbano dal traffico già cronicamente congestionato il governo ha di recente concesso molti incentivi all’acquisto di nuove auto. Incidentalmente, ricordiamo che nella sola città di San Paolo dal 2002 ad oggi sono stati immessi sulla strada ben 2,6 milioni di nuovi veicoli. Nella città, che è stato il centro della protesta, esistono molte poche linee di trasporto urbano rispetto ai bisogni ed esse sono sempre sovraffollate; ecco anche perché un piccolo aumento delle tariffe ha contribuito a far esplodere la protesta.
Così, più in generale, le città brasiliane sono oggi delle catastrofi urbane (Ituassu, 2013), segnate, oltre che dal traffico fuori controllo, da una speculazione edilizia rampante, dalla mancanza di servizi pubblici, dall’insicurezza.
Per citare ancora alcuni dei casi di carenze infrastrutturali, ricordiamo come, a causa dell’assenza di infrastrutture, le navi che trasportano le merci esportate e importate sono costrette a fare soste nei porti di molte settimane, se non di mesi, con perdite di efficienza molto rilevanti. In ragione poi delle grandi deficienze del sistema scolastico il paese ha, tra l’altro, una grande carenza di personale qualificato.
La risposta della Rousseff alle proteste sembrano comunque aver raggiunto il cuore dei problemi. La presidente, a parte il ritiro degli aumenti delle tariffe dei trasporti in varie città, ha promesso di accelerare gli investimenti nella sanità pubblica, tra l’altro importando presto dall’estero molte migliaia di medici e di dedicare tutte le royalties provenienti dal settore petrolifero all’istruzione; essa ha anche parlato del varo di un piano nazionale per la mobilità.
Il problema è quello che, in generale, per rispondere alle richieste dei dimostranti, il governo deve aumentare fortemente gli investimenti pubblici, ma il budget brasiliano è già oggi sotto stress e il paese è a rischio di declassamento da parte delle agenzie internazionali.
Va poi considerato che mentre le proteste, almeno per il momento, non sembrano cessare, va sottolineato ancora un aspetto dei problemi brasiliani. Nell’articolo pubblicato qualche settimana fa sottolineavamo come Marina Silva, oppositrice da sinistra al partito di governo e che alle ultime elezioni presidenziali aveva raccolto molti milioni di voti, ci ricordava che il modello di sviluppo brasiliano aveva bisogno di grandi riforme che portassero ad uno sviluppo sostenibile, mentre il governo attuale, a detta dell’esponente politica, si curava poco di molti degli aspetti sociali ed ambientali dei processi di crescita.
Si può affermare, in maniera anche più esplicita, che mentre nel periodo Lula erano state applicate vaste politiche di inclusione sociale ed interculturale, da quando la presidente Rousseff ha cominciato ad esercitare le sue funzioni si è verificato un rallentamento se non un insabbiamento di molte di tali politiche (De Sousa Santos, 2013). La presidente sembra aver in particolare assunto un atteggiamento di evidente ostilità verso i movimenti sociali ed i popoli indigeni.
Il compito che ha ora di fronte il governo appare certamente difficile, in presenza di risorse finanziarie scarse, di un’inflazione sempre in agguato, di difficoltà con i partiti alleati, di una opposizione e di organi di stampa conservatori che ora cercano di soffiare sul fuoco, di un evidente disorientamento della sua base elettorale. Ma hic Rhodus, hic salta.
Testi citati nell’articolo
De Sousa Santos B., Un progresso senza dignità. Un paese diverso dalla sua immagine, Il Manifesto, 22 giugno 2013
Ituassu A., Brazil, a crisis of representation, www.opendemocracy.net, 20 giugno 2013
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