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Green economy per il Sud
Per un’area come il nostro Mezzogiorno la green economy può rappresentare un’ottima occasione per entrare in nuovi settori emergenti e per diventare essa stessa un luogo di localizzazione di produzioni ad alto contenuto di innovazione. Ma per promuovere lo sviluppo di un’economia ecologica occorre un’azione politica su vari livelli
La fotografia che emerge dalle anticipazioni del Rapporto SVIMEZ 2015 sull’economia del Mezzogiorno è tragica. Il Sud scivola sempre più nell’arretramento: nel 2014 per il settimo anno consecutivo il Pil del Mezzogiorno è ancora negativo (-1,3%); il divario di Pil pro capite è tornato ai livelli di 15 anni fa; negli anni di crisi 2008-2014 i consumi delle famiglie meridionali sono crollati quasi del 13% e gli investimenti nell’industria in senso stretto addirittura del 59%; nel 2014 quasi il 62% dei meridionali guadagna meno di 12mila euro annui, contro il 28,5% del Centro-Nord, mentre la perdita occupazionale dopo sette anni crisi è stata di oltre 575.000 unità.
La “Green economy” come opportunità di crescita per il Mezzogiorno
Ma non dobbiamo considerare questa situazione come qualcosa di immodificabile: il Mezzogiorno ha delle grandi potenzialità di crescita, però, serve un impegno del governo nazionale per farle realizzare.
I settori delle nuove tecnologie energetiche e più in generale le attività legate alla green economy sono in forte espansione e sono caratterizzate da un notevole dinamismo tecnologico e industriale a livello mondiale. Per un’area in ritardo di sviluppo questa può rappresentare un’ottima occasione per entrare in nuovi settori emergenti non ancora consolidati e per diventare essa stessa un luogo di localizzazione di produzioni che hanno un alto contenuto di ricerca e di innovazione. Al riguardo è importante segnalare che il Mezzogiorno dispone di una rete universitaria di alto livello con Dipartimenti specializzati in aree scientifiche che possono ben raccordarsi ai settori dell’industria ambientale: nel Sud sono presenti 35 strutture universitarie che operano in comparti scientifico-tecnologici, pari ad oltre il 25% del totale nazionale. Inoltre, sono presenti anche importanti centri di ricerca pubblici del CNR e dell’ENEA che svolgono attività di R&S nei settori delle nuove tecnologie energetiche, dell’efficienza energetica e dei nuovi materiali. Tale situazione costituisce un terreno molto favorevole per gli spin-off della ricerca pubblica e più in generale per la nascita e la crescita di imprese innovative.
Le energie rinnovabili e l’efficienza energetica rappresentano la componente principale della green economy, ossia di un’economia a basso impatto ambientale, che comprende una vasta gamma di attività. Un’economia più ecologica può essere infatti costruita anche attraverso lo sviluppo dell’agricoltura di qualità, la riconversione dell’industria manifatturiera, la produzione di beni a più basso impatto ambientale, gli interventi nel sistema dei trasporti e nel settore dei rifiuti e attraverso la ristrutturazione del patrimonio edilizio.
La crescita della “green economy”, oltre a permettere di ridurre le importazioni di combustibili fossili, l’inquinamento e le emissioni di anidride carbonica, costituisce una grande opportunità per promuovere l’espansione dell’economia. E ciò vale per la produzione di nuovi beni, per la nascita di imprese in settori innovativi, per una riconversione industriale volta ad innalzare l’efficienza energetica dei processi produttivi, a ridurre le emissioni inquinanti e la produzione di rifiuti, a usare in modo più efficiente acqua, materie prime e prodotti intermedi, a utilizzare materiali a minore impatto ambientale, a riciclare gli scarti della lavorazione. Dunque, la green economy può avere sviluppi interessanti sia per quel che riguarda le innovazioni di prodotti esistenti e il miglioramento dei processi produttivi, sia per la progettazione di nuovi prodotti ad alto contenuto di innovazione e quindi per la crescita di nuovi settori di attività, sia per lo spostamento di settori tradizionali verso nuove produzioni.
Più precisamente, esistono grandi margini di miglioramento in termini di efficienza energetica e di riduzione dell’impatto ambientale in prodotti esistenti come l’automobile, i mezzi navali, gli elettrodomestici, i motori elettrici per l’industria, i prodotti in metallo; nei processi produttivi dei settori ad alta intensità di energia come la metallurgia e la petrolchimica; nei settori del Made in Italy come l’agroalimentare, il legno-arredamento, il tessile-abbigliamento e la ceramica; nel settore edilizio.
Tra i nuovi prodotti ad alto contenuto di innovazione rivestono, ad esempio, particolare interesse i materiali biodegradabili e le bioplastiche in sostituzione dei prodotti chimici e delle materie plastiche; i nuovi autoveicoli ibridi, elettrici e a idrogeno in sostituzione dei tradizionali veicoli a benzina; i prodotti dell’agricoltura biologica.
In sintesi, la crescita di nuovi settori di produzione e la riconversione di quelli esistenti possono riguardare processi di innovazione e di trasformazione della gran parte dei settori economici, come l’agricoltura, l’industria, i trasporti, e l’edilizia. Allo stesso modo, la transizione di un sistema energetico basato su grandi impianti a combustibili fossili verso un sistema più decentrato che sia in grado di sfruttare le fonti rinnovabili rappresenta un cambiamento epocale per il nostro sistema economico. Tali cambiamenti richiederebbero una programmazione e politiche energetiche e industriali da parte del Governo, delle Regioni e degli Enti locali, elevati investimenti sia pubblici sia privati e un coinvolgimento sempre maggiore delle Università e dei centri di ricerca. Inoltre, la riconversione energetica e produttiva implica un ruolo attivo del lavoro, in quanto l’innovazione non passa solo attraverso gli investimenti delle imprese ma dipende anche dal coinvolgimento dei lavoratori che, attraverso le loro competenze, possono dare una spinta determinante sia ai processi di innovazione della produzione e dei prodotti sia all’organizzazione della produzione.
Infine, lo sviluppo di un’economia ecologica permetterebbe di migliorare notevolmente la qualità dell’ambiente e l’accoglienza del territorio e quindi consentirebbe di aumentare l’attrattività turistica delle regioni meridionali che costituisce un punto di forza per l’economia del Mezzogiorno.
La debolezza delle regioni e delle imprese meridionali e l’importanza di una politica industriale a livello nazionale
Forti criticità hanno impedito al Mezzogiorno di utilizzare al meglio le risorse finanziarie nazionali ed europee e di realizzare al massimo le potenzialità di crescita di cui dispone. In linea generale si è parlato dell’assenza di una “strategia unitaria” della politica di coesione, che non ha dato coerenza e continuità alla realizzazione degli interventi e di un’eccessiva frammentazione di tali interventi.
Un fattore negativo di particolare importanza è derivato dal permanere di una bassa qualità delle infrastrutture che affligge le regioni del Mezzogiorno. In primo luogo, questa situazione scoraggia l’insediamento di imprese multinazionali che potrebbero svolgere un ruolo trainante nei confronti delle piccole e medie imprese locali con le commesse che verrebbero attivate dall’attuazione di grandi investimenti e con la conseguente diffusione di know-how sul territorio. In secondo luogo, il deficit infrastrutturale condiziona la nascita e lo sviluppo delle imprese locali e quindi rende più difficile innescare processi di sviluppo industriale “dal basso”. Nel quadro della generale debolezza infrastrutturale del Mezzogiorno, va sottolineata l’arretratezza della rete elettrica che determina congestioni del sistema di trasmissione e interruzioni del servizio elettrico nella rete di distribuzione e non favorisce l’utilizzo diffuso delle tecnologie energetiche innovative che sono caratterizzate da una notevole variabilità nella produzione di elettricità.
Inoltre, se è vero che le Regioni meridionali spesso non sono dotate di personale qualificato in grado di valutare e di selezionare i migliori progetti tecnologici e industriali afferenti l’impiantistica ambientale, è altrettanto vero che spesso le Regioni non hanno di fronte interlocutori industriali in grado di presentare progetti di una certa consistenza. Il risultato è la frammentazione e la dispersione delle iniziative senza che vengano raggiunti obiettivi precisi e misurabili. In particolare, è emersa l’incapacità di attivare filiere produttive, di costituire modelli integrati di ricerca, produzione e utilizzo, anche con il coinvolgimento di grandi imprese esterne al Mezzogiorno, e di lanciare progetti pilota su cui aggregare le imprese locali.
Linee di intervento
Per promuovere lo sviluppo di un’economia ecologica occorre un’azione politica su vari livelli: industriale, infrastrutturale e di governance. Le Regioni meridionali non devono essere lasciate sole nella gestione dei fondi europei e nei rapporti con l’industria, ma dovrebbero essere affiancate dal Governo centrale il quale potrebbe utilizzare tutti gli strumenti a sua disposizione, a partire dalle grandi imprese che hanno i mezzi tecnologici e le risorse finanziarie per lanciare grandi progetti d’investimento in grado di esercitare un’azione trainante sul tessuto produttivo locale.
Il settore dei trasporti presenta delle problematiche particolari poiché una grande massa di finanziamenti è rivolta verso il potenziamento del trasporto ferroviario e richiede quindi un forte coinvolgimento delle Ferrovie dello Stato, che hanno le competenze e le capacità per trainare il processo di modernizzazione della rete ferroviaria e dei treni che vi devono circolare.
Anche per il potenziamento dei porti e del trasporto navale devono essere coinvolte le grandi imprese che operano nel settore: da un lato si tratta di potenziare le infrastrutture portuali e dall’altro di aumentare i mezzi navali adibiti al trasporto delle merci e delle persone.
Diverso è il caso del trasporto urbano dove si possono mettere in campo nuovi veicoli innovativi: qui è auspicabile anche un’azione sul piano della ricerca e sviluppo e della sperimentazione di nuovi mezzi a basso impatto ambientale che possano sostituire i tradizionali mezzi a benzina specialmente nell’ambito del trasporto pubblico.
Nel contempo, occorre mettere in campo delle politiche industriali, infrastrutturali e organizzative per il settore dei rifiuti che oggi presenta problemi enormi e che quindi ha notevoli margini di miglioramento. Si tratta non solo di potenziare la raccolta differenziata, ma di sviluppare un’industria per la selezione, il trattamento e il riciclo dei rifiuti.
Per sostenere il rafforzamento dell’industria impiantistica ambientale del Sud vi sono diverse strade che potrebbero essere prese in considerazione e cioè: A. un più stretto collegamento tra la ricerca e la produzione; B. il coinvolgimento delle grandi imprese energetiche nei programmi di ricerca e negli investimenti su grandi progetti; C. l’aggregazione tra centri di ricerca e imprese e la costituzione di consorzi su progetti pilota; D. la messa a punto di un sistema di incentivi che colleghi la domanda con la produzione di nuove tecnologie energetiche, impianti e prodotti e che coinvolga il sistema bancario; E. un piano di investimenti per ammodernare e per ampliare la rete di trasmissione e di distribuzione dell’elettricità.
In particolare, le grandi imprese potrebbero svolgere un ruolo fondamentale per lo sviluppo dell’industria delle nuove tecnologie energetiche e ecologiche sia potenziando l’impegno nella ricerca sia mettendo in campo dei grandi progetti d’investimento.
La crescita dell’impegno in ricerca e sviluppo delle grandi imprese energetiche non solo è importante per i loro processi di innovazione e di diversificazione energetica ma è fondamentale anche per il ruolo trainante che tali imprese potrebbero svolgere nei confronti dei Centri di Ricerca pubblici e del tessuto industriale composto da piccole e medie imprese. In particolare, il coinvolgimento delle grandi imprese può costituire un potente motore di innovazione in grado di sfruttare da un punto di vista industriale i risultati della ricerca che sono realizzati dalle Università e dai Centri di Ricerca pubblici come l’Enea e il Cnr. Inoltre, i maggiori investimenti nella ricerca e nella diversificazione energetica delle grandi imprese sono cruciali anche per trainare lo sviluppo locale poiché le grandi imprese possono essere una fonte di commesse e di diffusione del know-how sul territorio, stimolando l’aggregazione e la crescita di nuove imprese innovative.
In questo quadro, per prima cosa andrebbero maggiormente coinvolte le grandi imprese di cui lo Stato detiene ancora la maggioranza relativa del capitale, e cioè ENI, ENEL, Terna e Finmeccanica, a cui si dovrebbero aggiungere le aziende municipalizzate controllate dai Comuni. In particolare, sembrerebbe necessario che ENI ed ENEL, società con elevati profitti, aumentassero le spese in R&S, che attualmente si collocano su una quota inferiore allo 0,2 % del fatturato (molto distante dall’obiettivo del 3% indicato dalla “Strategia di Lisbona”) e potenziassero gli investimenti “ecologici” sul territorio predisponendo dei progetti pilota con le piccole e medie imprese locali.
Grandi imprese private potrebbero essere attratte invece mettendo a punto una vera fiscalità di vantaggio, intesa come fiscalità differenziata a favore delle regioni meridionali nel loro complesso anche ai fini di stimolare la nascita, la crescita e l’aggregazione delle piccole e medie imprese come nel caso dell’Etna Valley.
Conclusioni
In una situazione così negativa non dobbiamo cadere nella rassegnazione, ma dobbiamo mettere in campo tutte le risorse finanziarie, tecnologiche e professionali di cui il nostro Paese dispone. Il Mezzogiorno ha delle potenzialità di crescita immense che vanno sostenute attraverso adeguate politiche industriali, energetiche, infrastrutturali e del lavoro.
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